E ora, Veltroni? Cosa resta del quadro
politico italiano?
«Resta il riformismo di cui
il Pd, come dimostra il voto, è il perno insostituibile. Questo voto consegna
all'Italia un'alternativa secca: o un'altra stagione di incertezza,
instabilità, populismo di vecchio e nuovo stampo; oppure provare l'unica cura
che il Paese non ha mai provato, il riformismo. È il solo modo per fronteggiare
una situazione storicamente inedita. Io non so se si ha la consapevolezza di
vivere in un momento del tutto particolare, forse unico nel dopoguerra. Diceva
Burckhardt: "Noi vorremmo conoscere l'onda sulla quale vaghiamo
nell'oceano, ma noi siamo quest'onda". Parlando con Bersani ho
usato un'espressione che mi fa piacere lui abbia ripreso: viviamo insieme il
'29 e il '92, due cifre capovolte, un mix pericolosissimo di recessione
economica e crisi politico-istituzionale. Con il voto l'Italia ha
gridato un bisogno di cambiamento. O lo raccogliamo, trovando una
soluzione razionale coraggiosamente innovativa, oppure il nostro Paese è
esposto a rischi molto seri e molto drammatici».
Quali rischi?
«Pensiamo al contesto europeo. Da
una parte, il messaggio di speranza che viene dalla Bastiglia; anche se al
primo turno la destra francese ha preso più voti della sinistra e si è
confermata la giustezza del sistema a doppio turno. Dall'altro, il voto greco,
con il successo dei neonazisti. La Grecia è un Paese a rischio, non solo
finanziario. E stata la culla della democrazia. Non vorrei fosse il Paese in
cui il contrasto tra le esigenze di una società veloce, globalizzata,
frammentata e i tempi e le modalità della democrazia come l'abbiamo conosciuta
finora produca una qualche forma di autoritarismo».
Teme per la democrazia?
«C'è il rischio che sulla crisi
e sulla disperazione si innesti nel continente un'involuzione
antieuropea. Nello stesso tempo, in Italia Si può aprire un'opportunità
gigantesca. La destra è esplosa e non tornerà più com'era prima. Ma in politica
i vuoti si riempiono. Chi pensasse, come si pensò nel '93, che si va alle
elezioni con la situazione di oggi, si sbaglia. Si manifesteranno pulsioni
antieuropee, estremiste: non a caso La Russa si è subito congratulato con
Marine Le Pen. Esiste poi un elettorato moderato che troverà una sua forma
politica».
Con i moderati voi non dovevate allearvi?
«La discussione tattica sulle alleanze
nasce dalla convinzione che il sistema sia immobile e si possano spostare solo
gli stati maggiori. Il voto ha dimostrato che non è così. Sono sempre stato
convinto che una proposta innovativa possa innescare una grande mobilità
elettorale. Casini ha tutt'altro disegno strategico rispetto al nostro. Noi
dobbiamo puntare su noi stessi, avere fiducia nella possibilità che il
riformismo risponda sia alla domanda di radicale rinnovamento che si esprime
con il voto al Movimento 5 Stelle, sia alla domanda di innovazione di un
elettorato che aveva creduto a Berlusconi o al centro. La grande vittoria della
sinistra estrema, che il malessere sociale poteva produrre, non c'è stata. Se
il Pd sa essere nel contempo più radicale e più riformista, può rivelarsi,
certo non da solo, la soluzione del problema italiano».
Intanto il Pd perde voti e Grillo ne
guadagna. Cosa pensa di lui?
«Grillo sugli immigrati
e sulla mafia ha detto cose inaccettabili. Ma preferisco parlare dei
suoi elettori. Vogliono una politica diversa e hanno trovato questo modo per
dirlo. E successo altre volte, si pensi ai grandi successi dei radicali. La politica
può fare due cose. Può scrollare le spalle, può demonizzare. Oppure può dare il
segno di aver capito la
lezione. Ritirarsi dal potere indebitamente occupato, dai
consigli di amministrazione. Ridurre il numero dei parlamentari, dimezzare il finanziamento
pubblico dei partiti, rivedere le spese della pubblica amministrazione.
Spero che il mio partito porti in Parlamento il suo pacchetto complessivo di
riforme della politica. Occorre una politica più lieve nella gestione del
potere e più ferma negli aspetti di regolazione; come nei Paesi anglosassoni,
gli unici - e non è un caso - in cui non c'è mai stata una dittatura. Se si
vuole evitare il riflesso autoritario bisogna che la politica riapra i polmoni,
sia capace di rappresentare una dimensione di progetto dentro un tempo storico
del tutto inedito, segnato dalla bulimia comunicativa».
Cosa pensa dei social network? Come
cambiano la politica?
«Opporsi al nuovo è un
atteggiamento romantico che può diventare stoltamente antimoderno. I social
network sono una grande risorsa democratica. Ma è sbagliato pure non capire
le contraddizioni che il nuovo propone. Mi preoccupa la radicalizzazione
estrema delle posizioni: l'invettiva, le grida, la rimozione della complessità.
Ma questo non è tempo di urla e grida; se c'è stato un tempo complesso nella
storia è questo, e come ha notato Michele Serra non sempre tutto è riducibile
nei 140 caratteri di un tweet»
Ma ora gli elettori hanno la possibilità di
esprimersi non solo con il voto.
«E vero. Se un cittadino voleva
criticare Moro o Berlinguer doveva scrivere una lettera, che dopo 10
giorni sarebbe arrivata sul tavolo di una segretaria, che la smistava al
funzionario di turno. A Moro e a Berlinguer la critica non sarebbe mai
arrivata. Ora sul telefonino arriva in tempo reale. E una bellezza per il
riavvicinamento del rapporto. Ma dipende anche dal grado di autonomia del
leader: la persona che ti scrive non è il mondo. Ci sono poi momenti della
storia in cui l'uomo politico ha il dovere della solitudine. Dagli ultimi
discorsi di Moro traspare una solitudine che pagò con la vita. Ma anche Berlinguer
ha vissuto momenti di immensa solitudine, quando da sinistra gli arrivavano
bordate terribili: revisionista, traditore. Un grande uomo politico, se ha il
senso e la visione dello Stato, coltiva il prezzo della solitudine e sa
dire dei no. L'opposto di Berlusconi, che a forza di inseguire i sondaggi
ha disfatto il Paese».
Nel pacchetto di riforme che lei propone
c'è anche il dimezzamento dei vostri stipendi?
«Il problema vero è l'efficienza.
La gente è stanca di pagare un sistema che non genera decisioni. I parlamentari
precedenti guadagnavano anche più di quelli di oggi, ma davano l'impressione
che il meccanismo decisionale funzionasse meglio, e quindi valesse il
costo. Le retribuzioni vanno ridotte ulteriormente e senza esitazione portate
ai livelli europei, ma la riforma dev'essere complessiva. Il centrosinistra si
intesti questa battaglia».
Che impressione le fanno i suicidi?
«Il piccolo imprenditore che si
suicida e l'operaio che si toglie la vita sono fratelli. Finché non si capirà
la comunanza di destino tra il sistema imprenditoriale italiano e il lavoro,
l'Italia non ce la farà.
Occorre un salto culturale, un grande patto tra i produttori,
non la riapertura di un conflitto tra il piccolo imprenditore e i suoi operai,
che sono la sua famiglia. E non si parla abbastanza dell'esistenza in Italia di
650.000 bambini in povertà assoluta. Senza solidarietà, crescita
ed equità il Paese si sfascia. Mettiamo al centro del nostro vocabolario
due parole-chiave: legalità e comunità».
Nessun commento:
Posta un commento