Il profilo trimestrale del Pil,
si sa, è molto variabile, quindi non è saggio leggere troppe cose basandosi
soltanto su uno o due trimestri di dati. Nell'esaminare la differenza tra i
dati tedeschi e italiani voglio andare quindi più indietro nel tempo e proporre
due finestre di osservazione.
Prima finestra, gli ultimi sei
anni. La Figura 1, quadrante di sotto, mostra che il tasso di crescita del
Pil dei due Paesi si muove in modo molto sincronizzato, ma in Italia, sia prima
sia dopo la recessione del 2008, è in media più basso di circa due punti. Non è
così per l'export. Il quadrante superiore della stessa figura mostra come il
tasso di crescita delle esportazioni nei due Paesi sia praticamente identico.
Se ne deduce che, a
differenza di quanto si sente spesso dire, lo scarto di crescita del Pil tra
Italia e Germania va soprattutto attribuito alla domanda interna, cioè consumo,
investimento e spesa pubblica al netto delle tasse. In parte questo è
certamente legato alle politiche di austerità, ma il tasso di crescita del Pil
in Italia era più basso di quello tedesco anche prima della crisi e quindi le
cause devono essere più complesse.
Prendiamo ora la seconda
finestra, quella degli ultimi quarant'anni e esaminiamo il livello del Pil
pro capite. La crescita è un termine astratto, ma se la crescita stagna per
molti anni questo finisce per avere un effetto sul livello del reddito, cioè su
quanto i cittadini si mettono in tasca.
La figura 2 mostra il Pil pro
capite di Germania, Italia, oltre alla media dei primi dodici Paesi entrati
nella zona euro meno l'Italia. E quello degli Stati Uniti.
Negli anni Settanta Germania,
Italia e la media dei dodici avevano livelli di reddito simili tra loro ma
erano Paesi più poveri degli Stati Uniti, con uno scarto tra il 25 e il 35%.
Fino a circa il 1995 la Germania e Italia si sono poi mosse insieme, ma da quel
punto, mentre la media dell'eurozona e della Germania continuano nella
traiettoria storica, l'Italia si discosta. La crescita diminuisce e questo ha
un effetto sul livello del reddito degli italiani. Da qui nasce il grande
rallentamento italiano: la moneta unica, creata nel 1999, non lo ha né
arrestato né peggiorato. Con questa finestra più ampia si vede che in Italia la
bassa crescita viene da lontano ed è questo che ci rende più poveri in modo persistente.
Ma c'è un'altra lezione da
trarre da grafico 2. Nonostante i tanto declamati successi della Germania,
il gap tra il reddito pro capite di Germania e Stati Uniti rimane stabile.
Anche lasciando fuori la crisi recente i cittadini tedeschi e europei sono più
poveri in media del 25% rispetto a quelli americani e questa differenza è molto
simile a quella che si aveva quaranta o dieci anni fa. Ancora una volta né
l'euro né il mercato unico hanno provocato visibili cambiamenti.
Ci sono tre lezioni da trarre
da questi fatti. Primo, le deludenti performance recenti dell'Italia
rispetto alla Germania non sono dovute al maggiore successo nell'export di
quest'ultima ma a una domanda interna che in Italia è particolarmente depressa.
Da qui l'importanza di pensare a politiche che la sostengano. Secondo ,
la bassa crescita del nostro Paese è un problema tutto italiano che nasce
quindici anni fa e che poco ha a che fare con la crisi dell'euro. Questo
problema va risolto affrontandone le sue cause strutturali. Terzo, l'Europa nel
suo insieme, compresa la più virtuosa delle sue figlie, la Germania, è da
quarant'anni ad un livello di reddito molto più basso di quello degli Stati
Uniti. La sopravvivenza dell'euro e dell'Unione Europea dipenderà dal sapere
affrontare con coraggio le cause di questa differenza e dalla capacità di
analisi del perché il mercato unico e la unione monetaria abbiano largamente
deluso le loro promesse iniziali. Forse questo sarà il momento in cui si
smetterà di dare colpa agli speculatori e si comincerà a guardare alle vere
cause dei nostri insuccessi.
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