La riforma degli ammortizzatori sociali è uno dei piatti forti del confronto fra governo e sindacati avviato ieri mattina. Il ministro Fornero ha proposto di ridisegnare l'attuale sistema di tutele caratterizzato da marcate sperequazioni e lacune. L'idea non è certo nuova: quasi tutti i governi dell'ultimo decennio hanno cercato di riformare gli ammortizzatori. Ma i tempi sembrano oggi maturi per fare sul serio.
Il sistema è oggi imperniato sulla cassa integrazione guadagni (cig), che consente alle grandi imprese in crisi (aziendale o settoriale) di tenere a casa i dipendenti, erogando loro parte della retribuzione per un periodo che può durare fino a 48 mesi. Quanti non possono accedere alla Cassa (ad esempio i dipendenti delle piccole imprese) hanno diritto, se perdono il lavoro, a un'indennità di importo più basso e di durata molto più breve. Non tutti i disoccupati riescono però a ottenere questa prestazione, soprattutto per mancanza di requisiti assicurativi: col risultato che l'Italia ha il record europeo di disoccupati privi di qualsiasi tutela.
Dagli anni Settanta in poi la cig è stata l'ammortizzatore sociale per eccellenza, molto apprezzato sia dalle imprese sia dai sindacati. La crisi scoppiata nel 2008 è stata fronteggiata principalmente tramite questo strumento: attraverso una serie di «deroghe», i cancelli della cig sono stati aperti anche alle piccole imprese e ad alcune fasce di lavoratori atipici. Nessun Paese europeo ha investito così tanto durante la crisi su questo tipo di schema e così poco sulle tradizionali indennità di disoccupazione. Il sistema delle deroghe ha consentito, è vero, di tamponare l'emergenza occupazionale, ma non può durare ancora a lungo. Non solo costa troppo, ma può diventare inefficiente e iniquo. Da un lato congela l'occupazione esistente anche in aziende o settori senza prospettive di recupero, dall'altro continua a lasciar scoperti un numero molto alto di outsider.
La proposta del governo è quella di correggere la situazione in due modi. Da un lato, riconducendo la cassa integrazione alla sua funzione originaria di sostegno a crisi aziendali temporanee, così come avviene in tutti i Paesi Ue. Dall'altro lato, creando un robusto «secondo pilastro» volto a erogare prestazioni di importo e durata europea a tutti i lavoratori che perdono l'impiego.
Il nuovo sistema andrebbe accuratamente raccordato con le altre riforme del mercato del lavoro, in particolare quelle sul contratto unico, sui servizi per l'impiego e sulle nuove forme di flessibilità in uscita previste per le imprese disponibili a sperimentare forme innovative di flexsecurity.
Le organizzazioni sindacali sono uscite dall'incontro di ieri esprimendo forti perplessità sull'approccio Fornero. Eppure gli orientamenti di riforma da loro stessi formulati nel documento unitario (encomiabilmente) portato all'incontro non sembrano affatto lontani da questo approccio: tutt'altro. È vero che il ridimensionamento della cig ridurrebbe il ruolo dei sindacati nella gestione delle crisi. Ma tale ruolo potrebbe essere recuperato ed anzi accresciuto tramite la contrattazione decentrata e la sperimentazione di schemi integrativi di welfare a livello aziendale o settoriale. Il terreno per un accordo c'è, il tempo stringe. Al Paese non servono polveroni polemici, ma riforme serie, efficaci e senza strappi.
Dagli anni Settanta in poi la cig è stata l'ammortizzatore sociale per eccellenza, molto apprezzato sia dalle imprese sia dai sindacati. La crisi scoppiata nel 2008 è stata fronteggiata principalmente tramite questo strumento: attraverso una serie di «deroghe», i cancelli della cig sono stati aperti anche alle piccole imprese e ad alcune fasce di lavoratori atipici. Nessun Paese europeo ha investito così tanto durante la crisi su questo tipo di schema e così poco sulle tradizionali indennità di disoccupazione. Il sistema delle deroghe ha consentito, è vero, di tamponare l'emergenza occupazionale, ma non può durare ancora a lungo. Non solo costa troppo, ma può diventare inefficiente e iniquo. Da un lato congela l'occupazione esistente anche in aziende o settori senza prospettive di recupero, dall'altro continua a lasciar scoperti un numero molto alto di outsider.
La proposta del governo è quella di correggere la situazione in due modi. Da un lato, riconducendo la cassa integrazione alla sua funzione originaria di sostegno a crisi aziendali temporanee, così come avviene in tutti i Paesi Ue. Dall'altro lato, creando un robusto «secondo pilastro» volto a erogare prestazioni di importo e durata europea a tutti i lavoratori che perdono l'impiego.
Il nuovo sistema andrebbe accuratamente raccordato con le altre riforme del mercato del lavoro, in particolare quelle sul contratto unico, sui servizi per l'impiego e sulle nuove forme di flessibilità in uscita previste per le imprese disponibili a sperimentare forme innovative di flexsecurity.
Le organizzazioni sindacali sono uscite dall'incontro di ieri esprimendo forti perplessità sull'approccio Fornero. Eppure gli orientamenti di riforma da loro stessi formulati nel documento unitario (encomiabilmente) portato all'incontro non sembrano affatto lontani da questo approccio: tutt'altro. È vero che il ridimensionamento della cig ridurrebbe il ruolo dei sindacati nella gestione delle crisi. Ma tale ruolo potrebbe essere recuperato ed anzi accresciuto tramite la contrattazione decentrata e la sperimentazione di schemi integrativi di welfare a livello aziendale o settoriale. Il terreno per un accordo c'è, il tempo stringe. Al Paese non servono polveroni polemici, ma riforme serie, efficaci e senza strappi.
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