Monti, ospite a “Che tempo che fa”, ha dichiarato che l’impegno del Governo è indirizzato “alla lotta all’evasione fiscale senza quartiere, alle liberalizzazioni ed alla riforma del mercato del lavoro”. Su quest’ultimo tema il Governo procederà “senza dogmi, senza voler dividere i sindacati”. Monti sull’art. 18 afferma “abbiamo un atteggiamento mentale per il quale non abbiamo tabù …… non abbiamo bisogno simboli bensì di lavoro non precario per i giovani”.
Considerata l’emergenza del lavoro in Italia (disoccupazione giovanile, precari, vertenze aperte al Ministero dello Sviluppo economico), occorre discutere ad ampio raggio ed anche dell’articolo 18 perché occorre costruire un quadro coerente di misure che affrontino in modo efficace il dualismo del mercato del lavoro, il sostegno alle imprese, il sostegno ai lavoratori senza lavoro e nuove condizioni di lavoro che facilitino l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni.
Ritengo che siano inutili le dichiarazioni finalizzate a non discutere dell’articolo 18 o a porre tale argomento in ultima posizione rispetto ai tanti problemi che sono emersi nel mondo del lavoro. E’ un approccio sbagliato in quanto gli ammortizzatori sociali, l’ingresso o l’uscita dal mondo del lavoro ed altri argomenti oggetto di confronto sono condizionati dalla visione del quadro complessivo del lavoro e dell’articolo 18.
Occorre tenere presente che i lavoratori oggi operano in un contesto produttivo diverso e nuovo rispetto agli anni ’70.
Negli anni ’60 e ’70 vi era ancora la produzione di massa e l’organizzazione scientifica del lavoro, che oggi permane in buona parte nelle PA, caratterizzata da una offerta di prodotti e servizi che venivano accolti dal mercato. Per tale motivo la pianta organica delle imprese volgeva verso l’alto. Il processo di produzione era scomposto in fasi elementari e ripetitive che chiunque poteva eseguire dopo un breve addestramento e non occorrevano grandi conoscenze. Rispetto al periodo pre-industriale era aumentata notevolmente la produttività ed i salari dei lavoratori erano bassi.
L’imprenditore era il padrone assoluto ed occorreva equilibrare questo suo immenso potere con una legislazione del lavoro che garantisse i diritti e le tutele dei lavoratori.
Alla fine degli anni ’60 il ministro del lavoro Giacomo Brodolini iniziò a lavorare sullo Statuto dei lavoratori che venne approvato, dopo la sua morte, nel mese di maggio del 1970 nel contesto appena descritto.
Oggi l’impresa, l’organizzazione del lavoro ed i processi di produzione di beni e servizi sono cambiati grazie alla ricerca, all’innovazione, alle nuove tecnologie, alla gestione per processi ed alla mutevolezza dei mercati che non accolgono sempre e comunque i prodotti delle imprese. La vita dei prodotti e delle imprese è diventata più corta e la competitività nel mercato globale è più agguerrita.
In tale contesto ritengo che le tutele ed i diritti dei lavoratori vadano reinterpretati ed adattati alle mutate esigenze e bisogni dei lavoratori. Inoltre, va tenuto presente che l’impresa ed i lavoratori per ruoli e significati diversi vadano tutelati perché rappresentano la fonte di ricchezza di una nazione e le risorse dello Stato non sono infinite e vanno investite in modo produttivo ed efficiente a favore dell’impresa e dei lavoratori.
Le imprese per sopravvivere hanno bisogno di adattarsi in modo continuo alle condizioni del mercato. Infatti, le imprese che prevedono o sono in crisi (produzione superiore alla domanda, prodotti vecchi non richiesti, processi di produzione obsoleti) assumono molteplici decisioni: - cessazione dell’attività produttiva nel caso in cui non vi siano prospettive future; - l’abbandono programmato per intraprendere nuove e diverse attività che soddisfino i consumatori; - ristrutturazione; - innovazione dei prodotti; - creazione di nuovi settori; - nuovi processi di produzione; - innovazione tecnologica e altro. Una volta attuata la strategia decisa la base occupazionale dell’impresa si comprime ed i lavoratori escono dal mondo del lavoro. Mantenere il cordone ombelicale tra l’impresa che ha scarse prospettive di sviluppo ed i lavoratori non produce risultati né a favore dell’impresa né a favore dei lavoratori.
Occorre che l’impresa utilizzi tutte le leve gestionali inclusa quella della pianta organica (ampliamento e riduzione degli organici rispettivamente nei momenti di crescita e di decrescita) al fine di adattarsi alla domanda del mercato e non accumulare costi del personale non recuperabili. Alcuni esponenti dichiarano che questo è possibile per le imprese con le procedure previste dalla legge n. 223/91. Tale processo è lungo e l’impresa ha bisogno di tempi veloci e certi per migliorare la propria performance altrimenti perde quote di mercato e si avvantaggiano le imprese concorrenti.
Per tale motivo condivido la proposta del senatore Pietro Ichino diretta a modificare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nel senso di rendere possibile il licenziamento per motivi economici ed organizzativi. Nel progetto di Ichino è prevista la conferma dell’art. 18 nella parte che difende la libertà e la dignità dei lavoratori e la tutela contro i licenziamenti discriminatori e la sua applicazione ai lavoratori precari che al momento non hanno nessuna garanzia. La nuova tutela proposta da Ichino si applica ai nuovi assunti mentre i rapporti di lavoro già esistenti non vengono toccati. Chi parla di licenziamenti facili lo fa sapendo di mentire e per alimentare paure tra i lavoratori.
Per evitare effetti negativi sui lavoratori il progetto Flexisecurity prevede un sistema di ammortizzatori sociali moderni che non si limiti a sostenere in modo insufficiente il reddito dei lavoratori coinvolti nella crisi dell’azienda ma che comprenda altri tipi di servizi importanti finalizzati alla riqualificazione professionale ed alla rioccupazione delle persone licenziate.
Di solito vi sono lunghi periodi di cassa integrazione, vertenze aperte da anni, lavoratori che mantengono l’unica speranza di essere ricollocati nell’azienda di provenienza ed un fiume di denaro speso senza la prospettiva di ripresa dell’impresa in crisi o di reinserimento dei lavoratori nel mondo del lavoro. Attualmente vi sono 230 vertenze aperte al Ministero dello Sviluppo che interessano una pluralità di settori e circa 300mila posti di lavoro.
Il sistema degli ammortizzatori sociali applicati in Italia va cambiato per garantire una maggiore protezione ai lavoratori e per eliminare le spese che non hanno l’obiettivo principale di rioccupare i lavoratori. Questo cambiamento può essere realizzato con il progetto di Flexsecurty proposto da Pietro Ichino che prevede: sostegno per 3 anni (90% del salario al primo anno di disoccupazione, 80% al secondo anno e 70% al terzo anno); - innalzamento dell’importo della prestazione; - riqualificazione professionale; - servizi di outplacement; - partecipazione complementare delle imprese ai costi delle indennità; - finanziamento dei servizi di rioccupazione da parte delle regioni attraverso l’utilizzazione dei contributi del Fondo Sociale Europeo.
Gli ammortizzatori sociali devono rispondere all’obiettivo di rioccupare i lavoratori espulsi dal lavoro e di sostenere i lavoratori disoccupati con una prestazione adeguata al costo della vita. Va tenuto presente che la vita lavorativa delle persone è più lunga della vita dell’impresa e, quindi, si pone il problema della rioccupazione dei lavoratori licenziati.
L’economia italiana è caratterizzata da bassa produttività e bassi salari come se ci fosse un accordo tacito tra imprese e lavoratori, da un tasso di disoccupazione giovanile del 30,1%, da una disoccupazione generica dell’8,6%, da 2 milioni e mezzo di lavoratori precari, dai Neet che coprono il 24,2% dei giovani tra i 25 e i 30 anni che non lavorano né studiano e rappresentano un costo di circa 27 miliardi (1,7 del Pil) per la mancata partecipazione al mercato del lavoro.
Nel mondo del lavoro in Italia emergono discriminazioni e disuguaglianze che vengono di seguito indicate:
- L’apartheid fra protetti e non protetti. Alcuni provvedimenti legislativi hanno moltiplicato la tipologia dei contratti atipici (la Cgil ha contato 46 tipi di contratti ed il Ministero del Lavoro 36) ed il numero dei lavoratori che operano nell’impresa in modo precario. E’ un fenomeno globale che crea sperequazioni e diseguaglianze tra i lavoratori e ritarda la costruzione del futuro da parte delle nuove generazioni. Tale tipo di rapporto costa meno rispetto al lavoro dipendente e permette alle imprese di liberarsi di tali lavoratori allo scadere del contratto. Alcuni esponenti politici propongono di elevare il costo dei lavoratori atipici al fine di incentivare l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato. Il vantaggio delle imprese deriva dalla possibilità di licenziare o meglio di non rinnovare i contratti atipici e non dal basso costo del lavoro del contratto atipico. Infatti, negli ultimi tempi 500mila contratti atipici non sono stati rinnovati.
Il progetto flexsecurity prevede per i nuovi assunti la creazione di un contratto di lavoro unico a tempo indeterminato nelle imprese con più di 15 lavoratori e l’introduzione del licenziamento per motivi economici ed organizzativi. Rimane inalterato la tutela contro i licenziamenti discriminatori Il progetto punta alla eliminazione di tutte le forme di contratto a tempo determinato (esclusi gli stagionali, le sostituzioni e pochi altri). Pietro Ichino con la sua proposta intende realizzare il superamento del dualismo nel mercato del lavoro tra garantiti e non.
Per affrontare tale grave problematica sociale sono stati presentati altri disegni di legge da parte di Paolo Nerozzi che si richiama al contratto unico di inserimento di Boeri-Garibaldi e Marianna Madia che promuove il contratto unico d’inserimento formativo.
Il contratto unico di inserimento proposto da Paolo Nerozzi e sottoscritto da Pietro Ichino, il quale ha contribuito alla stesura del progetto, si presta a realizzare una posizione unitaria sul lavoro da parte del PD così come hanno dichiarato Franco Marini e Pietro Ichino.
Il contratto unico di inserimento formativo di Marianna Madia (che è diventato per miracolo il disegno di Cesare Damiano) presenta dei problemi riguardo allo sgravio contributivo ed alla contribuzione figurativa nei confronti dell’Unione Europea che potrebbe non approvarlo o dell’importo della pensione dei lavoratori assunti con tale contratto se non viene tenuta in considerazione la parte di contribuzione soggetta a sgravio contributivo. Il contratto proposto da Madia assomiglia troppo al vecchio contratto di formazione e lavoro, abrogato nel 2003 dalla legge Biagi e contestato dall’Unione Europea.
- Il rapporto di lavoro dipendente regolare. Tutti i disegni di legge, presentati per riformare il mercato del lavoro, definiscono con qualche piccola differenza il lavoro dipendente considerando i seguenti fattori: - dipendenza economica; limite della retribuzione che varia tra i 30mila (Nerozzi) ed i 40mila euro (Ichino e Madia); monocommittenza nel senso che il lavoratore ricava il proprio reddito di lavoro per più di due terzi da un unico rapporto. Questa proposta di definizione del rapporto di lavoro dipendente è molto utile per differenziare il lavoro dipendente da altre forme di collaborazione da cui trae beneficio l’impresa e per porre termine al dualismo del lavoro ed a forme di contratti atipici che coprono nella sostanza rapporti di lavoro dipendente.
Personalmente condivido il progetto di Pietro Ichino che si presta a creare nuovi equilibri e cambiamenti positivi nel mondo del lavoro finalizzati ad eliminare diseguaglianze e discriminazioni correnti e costanti. Tale cambiamento non si ferma ai lavoratori ma coinvolge impresa, sindacato ed istituzioni, i quali devono espletare i loro compiti in modo nuovo e puntuale senza rimanere fermi a simboli e valori che vanno reinterpretati alla luce dei cambiamenti avvenuti nel pianeta. Mi rendo conto che non è facile questa missione e che bisogna oggi accontentarsi di avviare la locomotiva e creare nuove condizioni affinché il prossimo futuro sia più giusto ed adeguato per i lavoratori che hanno bisogno di nuove protezioni e prospettive non inferiori a quelle di oggi.
La locomotiva oggi può partire adottando i seguenti strumenti:
- Contratto unico d’inserimento di Paolo Nerozzi. Occorre rivedere il periodo di tre anni, forse troppo lungo;
- Ammortizzatori sociali secondo la proposta di Pietro Ichino;
- Sperimentazione del progetto Flexsecurity in qualche regione;
- Il tentativo di mediare tra la proposta di Nerozzi e di Madia rappresenta un esercizio sterile ed inutile in quanto le due proposte sono completamente diverse.
Non realizzare quanto proposto significa cambiare per non cambiare nulla, dimenticando la disperazione dei lavoratori precari che oggi sono ai margini del lavoro e fuori dal sindacato e dai partiti.
L’imprenditore era il padrone assoluto ed occorreva equilibrare questo suo immenso potere con una legislazione del lavoro che garantisse i diritti e le tutele dei lavoratori.
Alla fine degli anni ’60 il ministro del lavoro Giacomo Brodolini iniziò a lavorare sullo Statuto dei lavoratori che venne approvato, dopo la sua morte, nel mese di maggio del 1970 nel contesto appena descritto.
Oggi l’impresa, l’organizzazione del lavoro ed i processi di produzione di beni e servizi sono cambiati grazie alla ricerca, all’innovazione, alle nuove tecnologie, alla gestione per processi ed alla mutevolezza dei mercati che non accolgono sempre e comunque i prodotti delle imprese. La vita dei prodotti e delle imprese è diventata più corta e la competitività nel mercato globale è più agguerrita.
In tale contesto ritengo che le tutele ed i diritti dei lavoratori vadano reinterpretati ed adattati alle mutate esigenze e bisogni dei lavoratori. Inoltre, va tenuto presente che l’impresa ed i lavoratori per ruoli e significati diversi vadano tutelati perché rappresentano la fonte di ricchezza di una nazione e le risorse dello Stato non sono infinite e vanno investite in modo produttivo ed efficiente a favore dell’impresa e dei lavoratori.
Le imprese per sopravvivere hanno bisogno di adattarsi in modo continuo alle condizioni del mercato. Infatti, le imprese che prevedono o sono in crisi (produzione superiore alla domanda, prodotti vecchi non richiesti, processi di produzione obsoleti) assumono molteplici decisioni: - cessazione dell’attività produttiva nel caso in cui non vi siano prospettive future; - l’abbandono programmato per intraprendere nuove e diverse attività che soddisfino i consumatori; - ristrutturazione; - innovazione dei prodotti; - creazione di nuovi settori; - nuovi processi di produzione; - innovazione tecnologica e altro. Una volta attuata la strategia decisa la base occupazionale dell’impresa si comprime ed i lavoratori escono dal mondo del lavoro. Mantenere il cordone ombelicale tra l’impresa che ha scarse prospettive di sviluppo ed i lavoratori non produce risultati né a favore dell’impresa né a favore dei lavoratori.
Occorre che l’impresa utilizzi tutte le leve gestionali inclusa quella della pianta organica (ampliamento e riduzione degli organici rispettivamente nei momenti di crescita e di decrescita) al fine di adattarsi alla domanda del mercato e non accumulare costi del personale non recuperabili. Alcuni esponenti dichiarano che questo è possibile per le imprese con le procedure previste dalla legge n. 223/91. Tale processo è lungo e l’impresa ha bisogno di tempi veloci e certi per migliorare la propria performance altrimenti perde quote di mercato e si avvantaggiano le imprese concorrenti.
Per tale motivo condivido la proposta del senatore Pietro Ichino diretta a modificare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nel senso di rendere possibile il licenziamento per motivi economici ed organizzativi. Nel progetto di Ichino è prevista la conferma dell’art. 18 nella parte che difende la libertà e la dignità dei lavoratori e la tutela contro i licenziamenti discriminatori e la sua applicazione ai lavoratori precari che al momento non hanno nessuna garanzia. La nuova tutela proposta da Ichino si applica ai nuovi assunti mentre i rapporti di lavoro già esistenti non vengono toccati. Chi parla di licenziamenti facili lo fa sapendo di mentire e per alimentare paure tra i lavoratori.
Per evitare effetti negativi sui lavoratori il progetto Flexisecurity prevede un sistema di ammortizzatori sociali moderni che non si limiti a sostenere in modo insufficiente il reddito dei lavoratori coinvolti nella crisi dell’azienda ma che comprenda altri tipi di servizi importanti finalizzati alla riqualificazione professionale ed alla rioccupazione delle persone licenziate.
Di solito vi sono lunghi periodi di cassa integrazione, vertenze aperte da anni, lavoratori che mantengono l’unica speranza di essere ricollocati nell’azienda di provenienza ed un fiume di denaro speso senza la prospettiva di ripresa dell’impresa in crisi o di reinserimento dei lavoratori nel mondo del lavoro. Attualmente vi sono 230 vertenze aperte al Ministero dello Sviluppo che interessano una pluralità di settori e circa 300mila posti di lavoro.
Il sistema degli ammortizzatori sociali applicati in Italia va cambiato per garantire una maggiore protezione ai lavoratori e per eliminare le spese che non hanno l’obiettivo principale di rioccupare i lavoratori. Questo cambiamento può essere realizzato con il progetto di Flexsecurty proposto da Pietro Ichino che prevede: sostegno per 3 anni (90% del salario al primo anno di disoccupazione, 80% al secondo anno e 70% al terzo anno); - innalzamento dell’importo della prestazione; - riqualificazione professionale; - servizi di outplacement; - partecipazione complementare delle imprese ai costi delle indennità; - finanziamento dei servizi di rioccupazione da parte delle regioni attraverso l’utilizzazione dei contributi del Fondo Sociale Europeo.
Gli ammortizzatori sociali devono rispondere all’obiettivo di rioccupare i lavoratori espulsi dal lavoro e di sostenere i lavoratori disoccupati con una prestazione adeguata al costo della vita. Va tenuto presente che la vita lavorativa delle persone è più lunga della vita dell’impresa e, quindi, si pone il problema della rioccupazione dei lavoratori licenziati.
L’economia italiana è caratterizzata da bassa produttività e bassi salari come se ci fosse un accordo tacito tra imprese e lavoratori, da un tasso di disoccupazione giovanile del 30,1%, da una disoccupazione generica dell’8,6%, da 2 milioni e mezzo di lavoratori precari, dai Neet che coprono il 24,2% dei giovani tra i 25 e i 30 anni che non lavorano né studiano e rappresentano un costo di circa 27 miliardi (1,7 del Pil) per la mancata partecipazione al mercato del lavoro.
Nel mondo del lavoro in Italia emergono discriminazioni e disuguaglianze che vengono di seguito indicate:
- L’apartheid fra protetti e non protetti. Alcuni provvedimenti legislativi hanno moltiplicato la tipologia dei contratti atipici (la Cgil ha contato 46 tipi di contratti ed il Ministero del Lavoro 36) ed il numero dei lavoratori che operano nell’impresa in modo precario. E’ un fenomeno globale che crea sperequazioni e diseguaglianze tra i lavoratori e ritarda la costruzione del futuro da parte delle nuove generazioni. Tale tipo di rapporto costa meno rispetto al lavoro dipendente e permette alle imprese di liberarsi di tali lavoratori allo scadere del contratto. Alcuni esponenti politici propongono di elevare il costo dei lavoratori atipici al fine di incentivare l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato. Il vantaggio delle imprese deriva dalla possibilità di licenziare o meglio di non rinnovare i contratti atipici e non dal basso costo del lavoro del contratto atipico. Infatti, negli ultimi tempi 500mila contratti atipici non sono stati rinnovati.
Il progetto flexsecurity prevede per i nuovi assunti la creazione di un contratto di lavoro unico a tempo indeterminato nelle imprese con più di 15 lavoratori e l’introduzione del licenziamento per motivi economici ed organizzativi. Rimane inalterato la tutela contro i licenziamenti discriminatori Il progetto punta alla eliminazione di tutte le forme di contratto a tempo determinato (esclusi gli stagionali, le sostituzioni e pochi altri). Pietro Ichino con la sua proposta intende realizzare il superamento del dualismo nel mercato del lavoro tra garantiti e non.
Per affrontare tale grave problematica sociale sono stati presentati altri disegni di legge da parte di Paolo Nerozzi che si richiama al contratto unico di inserimento di Boeri-Garibaldi e Marianna Madia che promuove il contratto unico d’inserimento formativo.
Il contratto unico di inserimento proposto da Paolo Nerozzi e sottoscritto da Pietro Ichino, il quale ha contribuito alla stesura del progetto, si presta a realizzare una posizione unitaria sul lavoro da parte del PD così come hanno dichiarato Franco Marini e Pietro Ichino.
Il contratto unico di inserimento formativo di Marianna Madia (che è diventato per miracolo il disegno di Cesare Damiano) presenta dei problemi riguardo allo sgravio contributivo ed alla contribuzione figurativa nei confronti dell’Unione Europea che potrebbe non approvarlo o dell’importo della pensione dei lavoratori assunti con tale contratto se non viene tenuta in considerazione la parte di contribuzione soggetta a sgravio contributivo. Il contratto proposto da Madia assomiglia troppo al vecchio contratto di formazione e lavoro, abrogato nel 2003 dalla legge Biagi e contestato dall’Unione Europea.
- Il rapporto di lavoro dipendente regolare. Tutti i disegni di legge, presentati per riformare il mercato del lavoro, definiscono con qualche piccola differenza il lavoro dipendente considerando i seguenti fattori: - dipendenza economica; limite della retribuzione che varia tra i 30mila (Nerozzi) ed i 40mila euro (Ichino e Madia); monocommittenza nel senso che il lavoratore ricava il proprio reddito di lavoro per più di due terzi da un unico rapporto. Questa proposta di definizione del rapporto di lavoro dipendente è molto utile per differenziare il lavoro dipendente da altre forme di collaborazione da cui trae beneficio l’impresa e per porre termine al dualismo del lavoro ed a forme di contratti atipici che coprono nella sostanza rapporti di lavoro dipendente.
Personalmente condivido il progetto di Pietro Ichino che si presta a creare nuovi equilibri e cambiamenti positivi nel mondo del lavoro finalizzati ad eliminare diseguaglianze e discriminazioni correnti e costanti. Tale cambiamento non si ferma ai lavoratori ma coinvolge impresa, sindacato ed istituzioni, i quali devono espletare i loro compiti in modo nuovo e puntuale senza rimanere fermi a simboli e valori che vanno reinterpretati alla luce dei cambiamenti avvenuti nel pianeta. Mi rendo conto che non è facile questa missione e che bisogna oggi accontentarsi di avviare la locomotiva e creare nuove condizioni affinché il prossimo futuro sia più giusto ed adeguato per i lavoratori che hanno bisogno di nuove protezioni e prospettive non inferiori a quelle di oggi.
La locomotiva oggi può partire adottando i seguenti strumenti:
- Contratto unico d’inserimento di Paolo Nerozzi. Occorre rivedere il periodo di tre anni, forse troppo lungo;
- Ammortizzatori sociali secondo la proposta di Pietro Ichino;
- Sperimentazione del progetto Flexsecurity in qualche regione;
- Il tentativo di mediare tra la proposta di Nerozzi e di Madia rappresenta un esercizio sterile ed inutile in quanto le due proposte sono completamente diverse.
Non realizzare quanto proposto significa cambiare per non cambiare nulla, dimenticando la disperazione dei lavoratori precari che oggi sono ai margini del lavoro e fuori dal sindacato e dai partiti.
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