Renato Di Gregorio ha operato in aziende di grandi dimensioni (Italsider, Aeritalia, Enichem), è il fondatore dell'Istituto di Ricerca sulla Formazione-Intervento e della società di consulenza Impresa Insieme S.r.l., ha pubblicato diversi libri tra i quali L’organizzazione territoriale, Guerini e Associati, opera come consulente per imprese, agenzie di formazione, Scuole, Enti locali e Aziende di servizio pubblico, Ministeri, e propone un nuovo modello di organizzazione per i comuni.
Considerata l'importanza del nuovo modello ho pensato di intervistare Renato Di Gregorio.
Può raccontare la sua esperienza nell’impresa prima di dedicarsi alla consulenza direzionale?
Dopo i primi anni vissuti come “capo di produzione” in Italsider, a Bagnoli, all’epoca dell’autunno caldo, sono passato a occuparmi di “ricerca-intervento” per l’innovazione organizzativa, sempre a Bagnoli, fino al 1979. Poi sono passato all’Aeritalia come responsabile centrale dell’organizzazione del lavoro (ODL). Qui ho costituito la funzione dell’ODL a livello centrale e nelle divisioni e ho seguito i progetti d’innovazione organizzativa e tecnologica dell’Azienda- Nel 1983 sono stato chiamato in Enichem, a Milano, come responsabile centrale sempre dell’organizzazione del lavoro. Anche qui ho costituito la funzione e ho sviluppato i progetti di integrazione e ottimizzazione organizzativa. In Enichem sono rimasto fino al 1996 ricoprendo anche ruoli diversi: lo sviluppo del personale, la formazione, la comunicazione e occupandomi del progetto “Ambiente Insieme si può” improntato alla logica del “responsible care”.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno indotta a lasciare l’impresa per dedicarsi alla consulenza direzionale? In azienda, dal 1972 in avanti ho sempre ricoperto un ruolo a supporto dell’innovazione, una sorta di “consulente interno” e nel 1994 avevo già scritto quattro libri raccontando le esperienze maturate nel cambiare le organizzazioni complesse. La P.A. in quell’epoca, dopo tangentopoli, stava cambiando pelle e richiedeva amministratori che venissero dalle professioni e consulenti che avessero un’esperienza nuova, maturata nelle imprese. Il campo mi sembrava affascinante per la novità e per l’ampiezza che potevano assumere gli interventi di cambiamento. Avevo 50 anni e ho deciso di lasciare la sicurezza dell’azienda e avventurarmi nel campo della consulenza, anche perché pensavo che ciò mi consentisse di esprimere più liberamente la metodologia che sentivo di possedere e di poterla così più largamente diffondere.
Nel 1999 ha fondato l'Istituto di Ricerca Formazione – Intervento, alla quale hanno aderito diversi esponenti della cultura organizzativa. Vuole spiegare le metodologie che ispirano l’Istituto a favore del cambiamento delle organizzazioni pubbliche e private?
La metodologia aveva preso una sua prima forma all’epoca della “ricerca-intervento” negli anni ’70 (Italsider), si era poi sviluppata negli anni ‘80 e ‘90 nelle grandi imprese a partecipazione statale (Aeritalia, Enichem) e infine le prime sperimentazioni nella P.A., dal 1994 fino al 1999, l’aveva ulteriormente consolidata. Fu così che decidemmo di costituire un’Associazione che consentisse di preservare questa conoscenza accumulata, questo know how, come un tesoro della cultura italiana sulla gestione del cambiamento organizzativo. L’Associazione fu fondata con le persone che avevano vissuto quella stessa esperienza, seppur in contesti italiani diversi. Ad essa fu data il nome di Istituto di Ricerca sulla formazione intervento proprio perché l’intento era quello di continuare a fare ricerca per arricchire ulteriormente la metodologia e i suoi campi di applicazione. Essa si è infatti progressivamente trasformata assumendo la funzione, non solo di gestione di processi di cambiamento organizzativo, ma anche di gestione di processi di apprendimento, soprattutto dopo i miei cinque anni di insegnamento a Cassino alla Facoltà di Scienze della Formazione. Oggi, infatti essa viene usata sia per cambiare le organizzazioni e sia per fare formazione su qualsiasi tema e per qualsiasi persona.
Uno dei grandi problemi del sistema Italia è l’efficienza e l’efficacia delle PA. Con la riforma Brunetta sembra che le Amministrazioni Centrali abbiano intrapreso la strada del cambiamento. Rimangono fuori gli enti locali, i quali per la maggior parte sono impegnati ad applicare la riforma solo dal punto di vista formale e non realizzativo. Secondo lei bastano le sole regole normative per avviare il cambiamento negli enti locali oppure occorre una visione organizzativa coerente ai tempi che viviamo?
Le regole normative sono necessarie perché la P.A. non promuove dall’interno l’innovazione, ma almeno prova a perseguirla se viene stimolata dalle leggi. Le leggi però non bastano e ciò è dimostrato dal fatto che molte di esse sono disattese. Si pensi al SUAP (sportello unico per le attività produttive) la cui legge risale al 1997, ma che ancora non è stato istituito in ogni comune e stenta a funzionare laddove è stato attivato.
Il cambiamento organizzativo è peraltro ostacolato dalle stesse norme, che dovendo essere generali, finiscono per non essere calzanti per tutte le diverse realtà su cui si applicano. Infine va considerato che il cambiamento costa e gli enti locali sono quelle realtà che hanno visto progressivamente ridursi la sua capacità di spesa.
Nella P.A. così come nelle imprese però il cambiamento va sostenuto da professionisti dei processi di cambiamento e non solo dagli amministratori. Per questo motivo è importante riconoscere alla consulenza di direzione e in particolare ai consulenti di processo un ruolo di primaria importanza per sostenere e realizzare il cambiamento. Invece nella P.A. la consulenza viene vista con sospetto, quasi come un meccanismo per fare favori e distribuire denaro, oppure viene trattata al pari di venditori di mercanzie che pertanto vanno trattati come fornitori. La consulenza di processo è invece un ruolo che va espresso da una consulenza di grande professionalità che riesce a vivere i problemi della sua clientela e la segue lungamente perché si sente responsabile dei risultati che assieme riesce nel tempo a realizzare.
Nel suo ultimo libro, L’organizzazione territoriale, propone un modello di organizzazione innovativo per gli enti locali. I fattori che si utilizzano nella nuova organizzazione degli enti locali sono: il territorio, la rete di comuni, la comunità di persone. Vuole descrivere tale modello organizzativo?
Il modello si basa sul fatto che sul territorio gli esseri viventi si sono dati un’organizzazione del lavoro che consente loro di vivere e di svilupparsi, esattamente come fa una qualsiasi organizzazione. Se per un’organizzazione la ripartizione del lavoro che effettua al suo interno porta a costituire “funzioni” e ruoli, anche il territorio costituisce delle funzioni e dei ruoli. L’organizzazione raggiunge il massimo dell’efficienza quando riesce a integrare le sue funzioni interne e la massima efficacia quando riesce a produrre uno scambio favorevole per tutti coloro che entrano in contatto con essa. La stessa cosa vale per il territorio. Solo che nel territorio le funzioni sono costituite da organizzazioni che esercitano una funzione, ma non si sentono parte di un’organizzazione né sono raccordate da una gerarchia integratrice. Gli stessi enti locali che costituiscono, nel loro insieme, una funzione del territorio, trovano una forma di integrazione.
Il modello dell’O.T. (organizzazione territoriale) suggerisce pertanto di integrare per prima cosa i Comuni formando una Associazione e formalizzandola con una convenzione. Esso suggerisce poi di dare ad essa una forma organizzativa “divisionale” che consenta di ottimizzare l’erogazione dei servizi (attraverso economie di scala e strutture a rete) e al tempo stesso di sostenere lo sviluppo locale riconoscendo la distintività delle diverse aree territoriali interne e facendo leva sulle loro vocazioni e potenzialità.
La formazione intervento è la metodologia con cui si attua il cambiamento sia culturale che organizzativo che il modello dell’O.T. suggerisce.
La consulenza di processo che supporta il cambiamento finisce per far parte della stessa organizzazione e assume la responsabilità dei risultati assieme alle altre figure che il cambiamento chiama in causa.
Quali sono le esperienze realizzate ed i risultati conseguiti dal punto di vista organizzativo, della qualità dei servizi e dell’economicità di gestione?
Le esperienze sono andate maturando dal 1994 in avanti. Un primo risultato lo abbiamo avuto in Sardegna, con l’Associazione Territorio, nel 2000, centrata sull’ottimizzazione dei servizi innovativi ( SUAP, URP, Marketing territoriale, Scuole) per i Comuni del Nord. Il modello è stato premiato al Forum P.A..
Le altre sono state sviluppate nel Lazio e in Puglia a partire dal 2004 in avanti centrando l’attenzione ancora sui servizi. Nel 2007 si è andata affiancando l’esperienza delle aree di sviluppo distintivo e le Associazioni hanno arricchito la loro articolazione passando alla formula divisionale e consolidando la formula dell’O.T..
Oggi siamo di fronte ad un modello consolidato che consente ai Comuni di associarsi senza gli oneri delle formule più note: Unioni, Comunità, Consorzi, ma ricorrendo alla semplice convenzione e dandosi una articolazione organizzativa che consenta di operare sia sui servizi che sullo sviluppo locale.
Per operare sia sul primo che sul secondo piano le associazioni siffatte sviluppano progetti di cui cercano il finanziamento attraverso il ricorso ai bandi pubblici emessi dalla Provincia, dalla Regione e dal Governo e con il supporto della consulenza di processo di cui si sono dotati.
La progettualità viene utilizzata non solo per realizzare i cambiamenti necessari e acquisire le tecnologie utili, ma anche per sviluppare l’apprendimento di una nuova cultura e formare i nuovi promotori, sostenitori e realizzatori del cambiamento.
I cittadini stessi sono considerati clienti da soddisfare e membri di un organizzazione che deve vivere e svilupparsi e in quanto tali soggetti che devono apprendere come difendere e sviluppare la propria organizzazione territoriale.
Gli esempi si trovano concretamente descritti sui siti web delle tre associazioni di comuni del Lazio (www.associazioneseraf.it, www.associazioneseral.it, wwww.associazioneserar.it).
La maggior parte dei Comuni delle tre associazioni hanno ora un sito web istituzionale con la comunicazione dei servizi erogati, oramai tutti omogeneizzati. Tutti i siti dispongono del collegamento con un portale web di marketing territoriale per la promozione del territorio e con software gestionali per consentire di svolgere on line le pratiche delle imprese. Tutti i siti sono peraltro collegati al portale web dell’Associazione dei Comuni dove si possono seguire i finanziamenti acquisiti, i progetti sviluppati e i risultati conseguiti. Una serie di protocolli d’intesa tra le Associazioni dei comuni e gli altri Enti della P.A., con le Associazioni imprenditoriali e sindacali, con le altre Associazioni e gli Ordini professionali, con le Scuole, consente di sviluppare progetti e iniziative comuni per il miglioramento della vivibilità sul territorio. La costituzione di laboratori per i giovani in ogni Comune consente di formare la nuova classe dirigente dell’organizzazione territoriale e di sviluppare una consapevolezza diffusa della responsabilità sociale, garantendo così lo sviluppo del capitale sociale dell’O.T.. Gli interventi nelle scuole sui docenti e, con loro, sui giovani, consente di costituire una identità di fondo e un orgoglio di appartenenza all’O.T.. La Rete dei centri Anziani e il loro coinvolgimento sul tema della promozione del territorio a partire dalla loro memoria sviluppa l’integrazione intergenerazionale che salvaguarda l’integrità del capitale sociale e il suo rinnovamento.
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