Ho ricevuto con ritardo le risposte di Mario Lonardi e si è creata una disparita tra le due interviste (D’Arienzo e Lonardi). Infatti Lonardi ha risposto dopo la pubblicazione dell’intervista a D’Arienzo e, quindi, ha usufruito della conoscenza e dei contenuti pubblicati.
La velocità è un fattore competitivo molto importante nella società del terzo millennio perché tutto cambia e si evolve in modo continuo e veloce. Fermarsi significa prendere decisioni in un contesto ambientale già mutato.
Mario Lonardi è candidato alla Segreteria Provinciale del PD di Verona.
Considerata la crisi del sistema politico chiaramente visibile con la forte presenza del partito delle astensioni, quali fattori di cambiamento intende utilizzare al fine di recuperare e realizzare un rapporto di fiducia tra il PD ed i cittadini della provincia di Verona?
Qui il resto del post Il cambiamento non può essere di facciata, per essere tale deve poter essere percepito dai cittadini delusi e dalle persone che non ci hanno più votato e non si sono più iscritte al PD. Il primo segno di discontinuità si leggerà nella biografia del prossimo segretario provinciale, e questo sarà un dato “non governabile” con dichiarazioni.
Un secondo segno si potrà vedere nelle prime scelte del nuovo segretario: formazione della governance del partito con attenzione alle competenze e alle esperienze, scegliendo di dare rappresentanza a tutti a prescindere dal risultato congressuale; capacità di autorevolezza e di autonomia del segretario e dei nuovi organi del partito; presidio dei problemi del territorio e dei cittadini con posizioni chiare; capacità di comunicazione.
Quale approccio intende adottare per elevare la crescita di Verona nel contesto internazionale e, quindi, della sua Provincia nel momento in cui la crisi economica impone un ruolo ed una ipotesi di sviluppo delle città?
Bisogna che ci capiamo sul significato di “crescita” e che ci confrontiamo sul modello di sviluppo verso il quale tendere. Questa crisi economica è più grave di quanto ci si vuole far credere e impone un progetto politico che individui due percorsi paralleli di intervento: una linea di impegno sugli aspetti “emergenziali” quali il lavoro, il disagio sociale, i problemi degli anziani e delle famiglie, i servizi relativi alla salute.
Una seconda linea di impegno sugli aspetti strutturali che riguardano il sistema economico e dei servizi, il rilancio dei settori produttivi e delle filiere che hanno creato lavoro e opportunità economiche, l’individuazione di nuove opportunità che, con attenzione al territorio e ai cittadini, possano offrire nuove prospettive per la nostra città e la provincia.
Per entrambe le linee di impegno serve una valutazione strategica che funga da quadro di insieme e che tenga le ipotesi di lavoro dentro ad una prospettiva condivisa con i rappresentanti dei circoli e che metta a frutto il consistente lavoro di analisi che, dal 2002, le nostre amministrazioni hanno compiuto e che è stato, fino ad ora, poco valorizzato.
Per elevare la qualità della vita dei cittadini veronesi e la competitività delle imprese occorre migliorare la gestione dei servizi pubblici locali. Cosa non ha funzionato fino adesso e cosa pensa di fare per il futuro?
Una bizzarra interpretazione del federalismo ha portato a una situazione nella quale ogni ente o azienda che svolge un compito di servizio alla città e alla provincia, è diventata luogo di compensazione politica e occasione di acquisizione di rendite economiche: tutto questo in una logica spesso frammentaria.
Bisogna ritornare alle competenze e a una visione comune del futuro a cui tendere: ne seguirà una ripresa di competitività che non può essere acquisita singolarmente dai soggetti pubblici o privati.
Se le imprese sono il luogo “del fare” la politica deve essere il luogo “del pensare” e la competitività è il frutto della combinazione delle due attitudini.
I costi della burocrazia e dell’inefficienza delle PA incidono sulla competitività delle imprese, in modo particolare delle Piccole e Micro Imprese, e sulla qualità della vita dei cittadini veronesi. Come pensa di sostenere il cambiamento delle PA nella provincia di Verona nel quadro della riforma per migliorare l’offerta di servizi pubblici?
La PA può assumere un ruolo fondamentale rispetto a temi che riguardano l’armonizzazione dei servizi, l’informazione, la formazione, la pianificazione dello sviluppo e l’accompagnamento di processi di investimento e intrapresa, l’attenzione all’ambiente, la partecipazione dei portatori di interesse.
Il suo è un ruolo non sostituibile che, se assente o male interpretato, costringe le imprese a giocare il proprio ruolo in un ambiente altamente competitivo con “una gamba sola”.
Le organizzazioni hanno realizzato un continuo adattamento ai cambiamenti veloci che sono intervenuti nel pianeta al fine di mantenere o accrescere la competitività. Al contrario le organizzazioni politiche, quali i partiti, molto spesso sono rimasti fermi rispetto ai cambiamenti radicali. Come pensa di operare in provincia di Verona per superare il gap descritto?
Il nostro partito e, in generale il centrosinistra, non è rimasto molto fermo negli ultimi anni, anzi, la molteplicità delle forme e dei simboli, oltre che delle alleanze, ha spesso disorientato il nostro elettorato.
Questa “dinamicità delle forme” non è stata accompagnata da una altrettanto forte “dinamica dei volti” ma è stata sicuramente contraddistinta da uno sforzo di elaborazione delle proposte.
Credo che in questo momento sia auspicabile una minore variabilità delle forme che consenta una più efficace elaborazione di progetti. E, conseguentemente, una apertura al confronto e alla collaborazione che tenda ad includere in un comune orizzonte strategico tutte le realtà disponibili a discutere e condividere un progetto amministrativo proponibile per la guida della città e della provincia.
Le condizioni politiche attuali consiglierebbero al PD di Verona di celebrare il proprio congresso in forma unitaria o almeno di realizzare la più ampia convergenza possibile? Perché questo obiettivo non è stato realizzato? Si possono cogliere degli interessi di parte (per esempio le candidature alle prossime elezioni politiche, sempre più vicine, o altri interessi)?
Il nostro partito è nato per fare incontrare e collaborare storie e sensibilità politiche diverse ma che condividevano quei principi civili e politici che trovano nella Costituzione la sintesi più alta. I pochi anni trascorsi dalla nascita del partito ci hanno visto molto concentrati sulle procedure e sulla organizzazione interna, ma meno disposti ad un confronto sulle idee. È successo che, in questa fase “organizzativa” le occasioni di dialettica interna siano diventate motivo di divisioni, a volte definitive, piuttosto che occasione di mediazione e sintesi.
Per questo, nella occasione principale che come partito abbiamo per far emergere le opzioni e le idee – cioè nel Congresso – è molto opportuno che il dialogo sia reso visibile attraverso la discussione delle diverse mozioni.
Questo nel comune obiettivo di trovare la sintesi e un esito unitario del percorso congressuale: l’unitarietà in un partito come il nostro non può essere una premessa ma il risultato.
Nel PD vi sono delle posizioni minoritarie che si richiamano all’autosufficienza ed alla vocazione maggioritaria? Rispetto a tali proposte cosa pensa?
La nostra transizione verso una politica più moderna e una Repubblica (seconda, terza o quarta che sia) che attui compiutamente gli indirizzi costituzionali e garantisca la governabilità, non è certo compiuta.
Non credo siamo nelle condizioni di “costringere al silenzio” le minoranze, anzi, per evitare che il pensiero differente trovi forme di esplicazione potenzialmente dannose per il partito, è opportuno mantenere aperta, pubblica e trasparente la nostra discussione sui modi della partecipazione democratica, senza dimenticarci che l’orizzonte su cui si proiettano le nostre scelte è quello europeo.
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