Intervista a Federico Testa a cura di Stefano Agnoli pubblicata sul Corriere della Sera il 26 marzo 2012
La bolletta scoppia. A danno di famiglie e piccole imprese, che per la stragrande maggioranza sono escluse dalla selva di esenzioni e contributi che mettono invece al riparo le aziende più grandi, che potrebbero meglio sostenere l’onere di costi dell’energia più elevati. Quelle delle agevolazioni, spiega Federico Testa (esperto di questioni energetiche, deputato Pd e professore a Verona di Economia e gestione delle imprese) è una sorta di riserva esclusiva dove non i intravede politica industriale: “ Il sostegno è concesso sulla base di criteri meramente quantitativi, senza alcuna selezione di merito o di priorità strategiche. Sarebbe ora, aggiunge, di rimettere mano a questo schema logico”.
La stangata
L’anno in corso, secondo le previsioni raccolte da Testa, si segnalerà come un altro periodo di costi boom. Non solo per i quasi fisiologici aumenti del prezzo dell’energia, legati alla congiuntura internazionale. Tra i maggiori imputati del caro-bolletta ci sarà ancora la cosiddetta componente A3, quelle deputata alla “promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate”. La parte verde del costo dell’energia, insomma, che toccherà secondo le stime del Gse quota 10,4 miliardi di euro. Un record, il 43% in più rispetto ai 7,27 miliardi del 2011; un incremento del 153% rispetto ai 4,1 miliardi di euro registrati nel 2010. Un balzo in avanti coperto per la maggior parte dal fotovoltaico, che nel 2012 peserà per circa 6 miliardi su totale.
Ma non c’è solo l’energia rinnovabile (Cip6 compreso) a zavorrare la bolletta. Ad essa, spiega Testa, “ vanno sommate una serie di riduzioni di costo riservate ai grandi consumatori che finiscono per essere pagate da chi grande consumatore non è”.
Quali? Eccone un breve compendio: 1) il servizio di interrompibilità (tornato di attualità con la crisi del gas del gennaio scorso) che costa alla collettività circa 500-550 milioni l’anno; 2) la riduzione istantanea dei prelievi (la misura pro-Alcoa estesa alle isole maggiori) per 160 milioni; 3) l’esenzione degli oneri di dispacciamento (100-150 milioni); 4) l’import virtuale, introdotto per incentivare la realizzazione di interconnessioni (330 milioni); 5) l’esenzioni degli oneri di sistema sui consumi eccedenti 12 gigawattora (300-400 milioni).
Una lista di costi poco conosciuti dai cittadini-consumatori cui si deve aggiungere un’altra serie di costi “sommersi”, come quelli di trasmissione e dispacciamento che sono quadruplicati dal 2004 al 2012 e che vanno attribuiti all’extra remunerazione riconosciuta a Terna per buona parte dei suoi investimenti (nel 2008-2010 circa due terzi considerati sempre come “ opere strategiche”) e alla necessità di bilanciare l’apporto discontinuo delle fonti rinnovabili.
Una exit strategy
Come se ne esce? Certo, i difetti di fondo sono quelli già conosciuti: l’assenza di una strategia energetica nazionale e il pegno pagato all’incentivazione del solare, senza che si sia prodotta una vera filiera industriale nazionale. Qualche misura di contenimento potrebbe essere adottata, aggiunge Testa. Non solo rideterminando che cosa vada pagato in bolletta e che cosa debba passare alla tassazione generale (ad esempio i regimi tariffari speciali per le ferrovie), questione sulla quale l’attuale governo sembra non sentirci a causa della situazione del bilancio.
Ma anche rivedendo il sistema delle agevolazioni, selezionando i settori energivori e quelli di base più rilevanti per la competitività del sistema industriale o più esposti alla concorrenza. E ancora: spostando da Terna e Enel ai produttori di rinnovabili (e non più sulle spalle dei consumatori) l’onere di dotarsi di sistemi di accumulo; spingere sulla generazione distributiva; accelerare gli investimenti di interconnessione con gl altri Paesi europei. Dove la bolletta è certamente meno salata.
Quali? Eccone un breve compendio: 1) il servizio di interrompibilità (tornato di attualità con la crisi del gas del gennaio scorso) che costa alla collettività circa 500-550 milioni l’anno; 2) la riduzione istantanea dei prelievi (la misura pro-Alcoa estesa alle isole maggiori) per 160 milioni; 3) l’esenzione degli oneri di dispacciamento (100-150 milioni); 4) l’import virtuale, introdotto per incentivare la realizzazione di interconnessioni (330 milioni); 5) l’esenzioni degli oneri di sistema sui consumi eccedenti 12 gigawattora (300-400 milioni).
Una lista di costi poco conosciuti dai cittadini-consumatori cui si deve aggiungere un’altra serie di costi “sommersi”, come quelli di trasmissione e dispacciamento che sono quadruplicati dal 2004 al 2012 e che vanno attribuiti all’extra remunerazione riconosciuta a Terna per buona parte dei suoi investimenti (nel 2008-2010 circa due terzi considerati sempre come “ opere strategiche”) e alla necessità di bilanciare l’apporto discontinuo delle fonti rinnovabili.
Una exit strategy
Come se ne esce? Certo, i difetti di fondo sono quelli già conosciuti: l’assenza di una strategia energetica nazionale e il pegno pagato all’incentivazione del solare, senza che si sia prodotta una vera filiera industriale nazionale. Qualche misura di contenimento potrebbe essere adottata, aggiunge Testa. Non solo rideterminando che cosa vada pagato in bolletta e che cosa debba passare alla tassazione generale (ad esempio i regimi tariffari speciali per le ferrovie), questione sulla quale l’attuale governo sembra non sentirci a causa della situazione del bilancio.
Ma anche rivedendo il sistema delle agevolazioni, selezionando i settori energivori e quelli di base più rilevanti per la competitività del sistema industriale o più esposti alla concorrenza. E ancora: spostando da Terna e Enel ai produttori di rinnovabili (e non più sulle spalle dei consumatori) l’onere di dotarsi di sistemi di accumulo; spingere sulla generazione distributiva; accelerare gli investimenti di interconnessione con gl altri Paesi europei. Dove la bolletta è certamente meno salata.
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