Oggi è stato presentato il rapporto Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia a cura della Caritas e della Fondazione Zancan.
Dal rapporto emerge che nel 2010 erano povere 8 milioni e 272 mila persone (13,8%), contro i 7,810 milioni del 2009 (13,1%). Secondo i dati Istat (2011) il 2010 ha registrato un lieve incremento nel numero di famiglie in condizioni di povertà: si è passati da 2,657 milioni (10,8%) a 2,734 milioni (11%).
Nel 2010 la povertà relativa è aumentata, rispetto all’anno precedente, tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9 al 29,9%), tra le famiglie monogenitoriali (dall’11,8 al 14,1%), tra i nuclei residenti nel Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7 al 47,3%) e tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7 al 17,1%). Ma la povertà è aumentata anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore autonomo (dal 6,2 al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8 al 5,6%). Per queste ultime è aumentata anche la povertà assoluta, passando dall’1,7 al 2,1%.
Le condizioni dei giovani sono allarmanti in quanto non hanno la possibilità di costruire il proprio futuro. I seguenti dati fotografano la realtà sociale dei giovani:
- il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il picco del 27,8% (+ 2,4% rispetto al 2009);
- l’occupazione giovanile è calata del 5,3% nel 2010;
- sono pari al 30% del totale i giovani disoccupati sotto i 25 anni in cerca di lavoro; nel Sud raggiungono una percentuale superiore al 50%;
- un giovane su quattro, tra i 25 e i 29 anni, non ha ancora avuto una prima esperienza lavorativa;
- nel 2009, in Italia, la quota di giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), erano poco più di 2,1 milioni (+6,8% rispetto al 2008);
- in Italia, l’incidenza percentuale dei Neet sul totale dei giovani è pari al 20,5%, superiore alla media europea (14,7%);
Il rapporto sottolinea che i poveri non hanno il diritto di sperare in una vita migliore e di sapere che è possibile uscire dalla povertà. Le azioni dello stato a favore dei poveri sono una benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui non facile uscire.
Questo aspetto nega i diritti fondamentali tra cui si indicano i seguenti:
- Il diritto alla famiglia. La povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. Senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le riper‐cussioni a livello demografico saranno pesanti. Tuttavia, nel bilancio di previsione dello stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra i seguenti decrementi: 185,3 mi‐lioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2010 e 31,4 milioni nel 2013.
- Il diritto al lavoro. In Italia, i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito so‐no quasi 22 milioni e 900 mila, il 56,9% dei cittadini. La percentuale è tra le più basse dell’Occidente. Ci sono poi tre categorie particolarmente vulnerabili: i giovani (l’occupazione è crollata dell’8% nel 2009 e del 5,3% nel 2010); le donne (in Italia lavora solo il 47%); le persone di‐sabili (nel 2008 hanno fatto domanda di assunzione 99.515 disabili e nel 2009 83.148, ma gli av‐viamenti effettivi al lavoro sono stati rispettivamente 28.306 e 20.830).
- Il diritto al futuro per i giovani: I giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.
Il rapporto specifica che le politiche governative adottate si sono dimostrate fallimentari perché non sono riuscite ad incidere sul fenomeno povertà ed indica alcune strade da percorrere:
- Recuperare i crediti di solidarietà (basati sull’erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impe‐gnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri. I fallimenti dei trasferimenti monetari senza responsabilizzazione sono la principale ragione per mettere in discussione le politiche di ieri e di oggi di lotta alla povertà, basate su «misure» standardizzate, di tipo burocratico, che non guardano l'effettiva condizione delle persone, ma solo alle carte;
- Incrementare il rendimento della spesa sociale e la professionalizzazione dell’aiuto. Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastrutture di welfare. Molte donne con figli e molti giovani uscirebbero dalla disoccupazione e dalla povertà lavorando a servizio degli altri.
- Investire i 17-18 miliardi di euro, oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare, in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento ben superiore a quello attuale (il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.
- l’occupazione giovanile è calata del 5,3% nel 2010;
- sono pari al 30% del totale i giovani disoccupati sotto i 25 anni in cerca di lavoro; nel Sud raggiungono una percentuale superiore al 50%;
- un giovane su quattro, tra i 25 e i 29 anni, non ha ancora avuto una prima esperienza lavorativa;
- nel 2009, in Italia, la quota di giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), erano poco più di 2,1 milioni (+6,8% rispetto al 2008);
- in Italia, l’incidenza percentuale dei Neet sul totale dei giovani è pari al 20,5%, superiore alla media europea (14,7%);
Il rapporto sottolinea che i poveri non hanno il diritto di sperare in una vita migliore e di sapere che è possibile uscire dalla povertà. Le azioni dello stato a favore dei poveri sono una benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui non facile uscire.
Questo aspetto nega i diritti fondamentali tra cui si indicano i seguenti:
- Il diritto alla famiglia. La povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. Senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le riper‐cussioni a livello demografico saranno pesanti. Tuttavia, nel bilancio di previsione dello stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra i seguenti decrementi: 185,3 mi‐lioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2010 e 31,4 milioni nel 2013.
- Il diritto al lavoro. In Italia, i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito so‐no quasi 22 milioni e 900 mila, il 56,9% dei cittadini. La percentuale è tra le più basse dell’Occidente. Ci sono poi tre categorie particolarmente vulnerabili: i giovani (l’occupazione è crollata dell’8% nel 2009 e del 5,3% nel 2010); le donne (in Italia lavora solo il 47%); le persone di‐sabili (nel 2008 hanno fatto domanda di assunzione 99.515 disabili e nel 2009 83.148, ma gli av‐viamenti effettivi al lavoro sono stati rispettivamente 28.306 e 20.830).
- Il diritto al futuro per i giovani: I giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.
Il rapporto specifica che le politiche governative adottate si sono dimostrate fallimentari perché non sono riuscite ad incidere sul fenomeno povertà ed indica alcune strade da percorrere:
- Recuperare i crediti di solidarietà (basati sull’erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impe‐gnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri. I fallimenti dei trasferimenti monetari senza responsabilizzazione sono la principale ragione per mettere in discussione le politiche di ieri e di oggi di lotta alla povertà, basate su «misure» standardizzate, di tipo burocratico, che non guardano l'effettiva condizione delle persone, ma solo alle carte;
- Incrementare il rendimento della spesa sociale e la professionalizzazione dell’aiuto. Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastrutture di welfare. Molte donne con figli e molti giovani uscirebbero dalla disoccupazione e dalla povertà lavorando a servizio degli altri.
- Investire i 17-18 miliardi di euro, oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare, in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento ben superiore a quello attuale (il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.
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