Non passa giorno senza che gli organi di informazione lancino messaggi allarmanti sulla situazione economica internazionale, con riflessi più o meno preoccupanti per i conti pubblici nazionali e, di riflesso, locali. Qualche mese fa è toccato alla Grecia, in questi giorni all’Irlanda. Mancano all’appello ancora tre paesi il cui indebitamento presenta sensibili squilibri: l’Italia, il Portogallo e la Spagna. C’è solo da augurarsi che l’ordine prescelto dalla ruota della fortuna non segua rigorosamente quello alfabetico, altrimenti non sarebbe necessario l’intervento di una cartomante per conoscere il paese a cui toccherà il turno domani. Eppure in Italia esistono e sono esistiti personaggi che del rigore nell’amministrare la finanza pubblica hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Su quelli viventi è difficile esprimere un’opinione, perché le contrapposizioni di modelli non trovano consenso unanime. Su quelli ormai passati a miglior vita si potrebbe resuscitare Giacomo Matteotti, che, nella sua pur breve carriera, indipendentemente dal credo politico, era l’incubo dei Sindaci e dei Segretari Comunali. La sua maniacale attenzione agli equilibri di bilancio era imperniata sul rispetto di quella compatibilità, che oggi si potrebbe tradurre con sostenibilità, dei preventivi di spesa con le risorse pubbliche a disposizione. Uno dei principi cardine della sua politica era quello secondo il quale in assenza di mezzi finanziari l’Ente non doveva indebitarsi, ma più banalmente rinunciare alla spesa. Un convinzione che, oggi, troverebbe ampie divergenze di vedute, se non conclamate incompatibilità, con qualsiasi Amministratore Pubblico, molto più attento a mantenere alti il tasso di visibilità quotidiana ed il coefficiente di clientelismo acquisito, piuttosto che in equilibrio il documento sul quale sono costruite le politiche pubbliche locali. Fare politica allo stato attuale è come andare ad una festa di Carnevale, dove tutto è organizzato da Pantalone. Il secondo pensiero politico ruotava intorno all’utilizzo della leva fiscale, da manovrare per finanziare le opere pubbliche, qualora le entrate disponibili si fossero rivelate insufficienti. Oggi, questa strada, se perseguita rischierebbe di tradursi in un boomerang, in quanto da anni si parla in tutte le lingue di riduzione della pressione fiscale, e non l’opposto, per rilanciare una economia asfittica attraverso la ripresa dei consumi. E’ facile, quindi, constatare come, all’interno di ogni Ente manchi quel senso di responsabilità capace di spingere tutti gli Amministratori a cercare le risorse all’interno di quelle esistenti, seppure scarse, attraverso una riduzione degli sprechi. Quello che un Sindaco serio e credibile dovrebbe comprendere e far comprendere ai membri della sua Giunta è che la riduzione della spesa della struttura amministrativa non implica necessariamente una riduzione di potere. Rappresenta, al contrario, un biglietto da visita di più alto valore, in grado di spalancare il portone del consenso. Liberare risorse dall’interno per destinarle ad oculati investimenti a beneficio dei Cittadini sembra, tuttavia, troppo difficile da attuare. In primo luogo, perché occorre essere in possesso della giusta conoscenza e competenza, dimostrando di esserne capace. In secondo luogo, l’attività da svolgere richiederebbe fatica e voglia di lavorare. E’ molto più elementare, invece, depauperare il patrimonio pubblico attraverso svendite per far cassa, piuttosto che farlo rendere, così come è semplicistico ricorrere all’indebitamento che porsi questioni per evitare di farsi nemici all’interno dell’esecutivo. Pertanto, è normale che alla fine chiunque si chieda dove si collochi il problema. La naturale conseguenza è che i Cittadini si trovano sempre costretti ad aprire il portafoglio per sostenere silenziosamente i costi delle scelte effettuate da altri. Ma ora che l’acqua è arrivata alla gola, ha senso chiedersi se è potabile?
venerdì 3 dicembre 2010
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