Sono ormai due anni che in Italia non si parla d’altro. La crisi economica è entrata con prepotenza a pieno titolo nel linguaggio comune e, purtroppo, nell’esperienza di vita quotidiana. Una recessione che sembra non concedere tregua, che ha imposto una radicale rivisitazione delle abitudini e degli stili di vita degli Italiani, chiamandoli a sostenere ulteriori sacrifici. Ma questa congiuntura sfavorevole che perseguita l’Italia ha solo due anni di vita o, nell’indifferenza generale, senza rendersene conto, ha già compiuto la maggiore età? Correva, infatti, l’anno 1992 quando le prime avvisaglie sul potenziale default del debito pubblico, inscenarono un attacco alla valuta nazionale, spingendo il governo tecnico di allora ad adottare misure straordinarie per limitarne le conseguenze e scongiurare il peggio. Decisioni drastiche per consentire all’Italia di potersi aggrappare ad una scialuppa di salvataggio, per non perdere il treno dello sviluppo europeo. Svalutazione della lira, tassa patrimoniale sulle giacenze bancarie e privatizzazioni furono, tra le altre, le mosse di maggior significato inserite in una Legge Finanziaria di rigore. Da quel momento, gli Italiani di sacrifici ne hanno fatti veramente tanti, mentre, al contrario, di risultati ne hanno visto tristemente pochi, se non, addirittura, nessuno. E’ difficile, quindi, poter affermare che dopo diciotto anni la situazione della finanza pubblica abbia registrato un sensibile miglioramento. Purtroppo, è vero l’esatto contrario. Quindi, rimane aperto l’interrogativo su che fine abbiano fatto quelle risorse incassate dalle privatizzazioni e destinate, a parole, all’abbattimento del debito pubblico, alla luce del fatto che oggi è più elevato di allora. In questi anni lo scenario ha subito profondi mutamenti. La vendita del patrimonio pubblico non è più in grado di assicurare alla finanza pubblica una boccata di ossigeno. La politica dell’Unione Europea è definitivamente orientata verso forme di aiuti finanziari, per evitare che la situazione in cui versano i conti pubblici di alcuni partner europei diventi sempre più insostenibile. In mancanza di un concreto finanziamento, l’impatto sull’intero sistema economico europeo rischierebbe di aprire le porte ad uno scenario apocalittico. Dopo la Grecia, l’Irlanda. L’elenco non è finito. Seguono a ruota altri venticinque paesi e l’Italia si trova, come gli altri, in coda. I dubbi sull’efficacia di tali interventi rimangono aperti. Se l’aiuto finanziario sarà erogato a pioggia a tutti quegli Stati Membri che ne faranno richiesta, la soluzione sarà ottimale per uscire da questa crisi economica? Come faranno a ripartire i consumi se le risorse eventualmente risparmiate dalle famiglie sono destinate prioritariamente a rimborsare quei debiti contratti con facilità nel passato? La speranza è che, una volta raschiato il fondo al barile della Banca Centrale Europea, non ci si trovi in una situazione peggiore di quella attuale, con la triste constatazione di dover ricominciare di nuovo da capo! Come nel 1992 e diciotto anni più tardi.
venerdì 10 dicembre 2010
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