“Signor Presidente, colleghi e colleghi, si muore d'amore o di quello che scambiamo per amore ma soprattutto si muore se l'indifferenza vince, se le persone e le istituzioni non prestano ascolto, non assumono impegni e doveri di donne ed uomini nei confronti di
altri: donne, uomini e bambini. Oggi è una giornata importante perché con questo provvedimento che ci accingiamo ad approvare si colpisce uno degli aspetti importanti della questione del femminicidio, della violenza sulle donne.
Se la solennità dell'approvazione di una legge ha un senso, lo ha nel nostro caso, perché finalmente si mette allo scoperto, alla conoscenza e alla coscienza di tutte e tutti, quello che viene considerato, invece, normalmente, a torto, un fatto privato. Si mira perciò un giusto bersaglio: le porte sono aperte, non possiamo più scambiare, per tutela della privacy, la noncuranza nei confronti di ciò che avviene nel nostro condominio. E questo decreto lo condivido, perché si muove nella logica di una protezione non a prescindere, ma nei confronti effettivamente di persone in situazioni di fragilità e riconosciute in quanto tali, senza invadere la sfera privata, ma
delegando alla struttura pubblica il ruolo di garante, perché la convivenza nel nostro Paese si possa modulare in forme civili.
Con questo provvedimento, finalmente, il privato entra nel discorso pubblico: e andiamo a togliere il primo velo, il primo alibi, direi, anche se siamo consapevoli che la strada è lunga, perché il cuore della violenza è quello che si nasconde nelle ancestrali
convinzioni di rapporti di coppia fondati sulla prevaricazione, spesso silenziosa, sulla fissità dei ruoli nel rapporto tra uomo e donna, convinzioni talmente consolidate da tramandarsi con un codice non scritto, senza distinzione di censo, istruzione, di età. E se, come diceva Hannah Arendt, esiste una complicità tra il fantasma della forza e l'attitudine alla sottomissione, ebbene, oggi è proprio la ribellione a questa attitudine a generare violenza. È di questa rottura che le donne sono vittima e da cui vanno salvaguardate.
L'attenzione anche mediatica alla denuncia di questi fatti e il largo spazio che stanno trovando nell'opinione pubblica anche i provvedimenti che questo Parlamento sta approvando – dalla Convenzione di Istanbul oggi più volte ricordata a questo decreto – sono la prima dimostrazione che il silenzio è stato rotto, ma dall'altro lato, ci permettono anche di cogliere, attraverso chi, con superficialità, derubrica la questione etichettandola «di genere», quanto abbiamo colto e stiamo cogliendo nel segno. Tra loro, infatti, si nascondono i detrattori, gli ignavi, gli indifferenti: sono anche loro soprattutto complici nel creare quell'immaginario diffuso in cui, per un'indeterminata alchimia, i fatti di violenza contro le donne sono accettabili, sempre giustificabili; i fatti di violenza contro le donne sono pezzi di inevitabile normalità.
Noi ci ribelliamo a questo: questo Parlamento vuole esprimere e dare corpo e voce alla coscienza, anche giovane, che vuole rompere le strane alleanze che troviamo, nella politica e fuori, tra conservatori, tra uomini e persone che non si trovano a loro agio e anche l'alleanza con molta opinione pubblica, che impedisce qualsiasi cosa – come hanno detto molte colleghe prima di me – venga fatta perché non è mai abbastanza, perché presenta dei limiti e perché non va mai bene niente, con il solo fine, ci sembra, che nulla davvero venga fatto.
Sappiamo che questo provvedimento non è risolutivo di tutto, che non con le sole norme penali e con le azioni di polizia si salvano le donne, ma questo provvedimento riafferma il diritto alla sicurezza delle donne. E, poi, questo provvedimento va molto oltre, affrontando la questione culturale, che è alla base del problema. In particolare, quando si prevede un piano contro la violenza sessuale e di genere, che prevede campagne d'informazione e promozione in ambito scolastico – sono stati ricordati i vari provvedimenti –, la collaborazione tra le istituzioni. Anche questo, secondo me, è un fatto straordinariamente rilevante, perché tutta la società ne è finalmente coinvolta: non ci sono più soggetti titolati in via esclusiva, cui le altre istituzioni, la società italiana, delegano questo compito. Ma questo è un fatto sociale e come tale ce ne assumiamo tutti la piena responsabilità.
Penso a quanto sta già avvenendo grazie all'azione legislativa e alle risposte che abbiamo e possiamo vedere sui territori, dove pure respiriamo sete di fare qualcosa, dove tutte e tutti chiedono di essere coinvolti; penso alle iniziative già partite, alle campagne di educazione nelle scuole; penso ad altre che stanno nascendo, dalla riflessione approfondita sul tema, dallo scambio e dalle relazioni tra donne e istituzioni; penso a chi sta immaginando iniziative per garantire quell'indipendenza economica alle donne vittime di violenza che rischiano, altrimenti, una volta uscite dalla loro famiglia di violenza, di trovare altri nuovi carnefici senza questa indipendenza; penso ad un altro traguardo che va proprio in questa direzione, ovvero quella che la violenza contro le donne è una violenza contro tutte e tutti.
Il GIP di Trento, il dottor Forlenza, recentemente, nel processo a carico di Vittorio Ciccollini che il 12 agosto ha ucciso Lucia Bellucci, ha accettato che un'associazione di cittadine e cittadini dal nome «Isolina e», nata proprio per la prevenzione del femminicidio a Verona, a fine giugno, si costituisse parte civile in quanto parte offesa nel processo, e dunque nei processi a venire, per «uccisione di una donna». Questa associazione si è costituita non solo nella fase del giudizio, ma anche nel momento processuale antecedente, quello delle indagini preliminari; in questi giorni infatti è stato accolto il perito di parte. Il significato simbolico va ben oltre il caso in oggetto perché la decisione del GIP sancisce che da oggi in Italia, per l'ordinamento italiano, il femminicidio non è più una questione privata, tra l'omicida e la vittima, ma è una questione pubblica, tra l'omicida e tutte le donne rappresentate dalle loro associazioni.
Questo, penso anche sia frutto del lavoro intrapreso non solo in Parlamento ma dentro quest'Aula e fuori. Oggi abbiamo visto, appunto, che si può morire d'amore, si muore d'amore e che di questo ci dobbiamo occupare, ma che si muore anche di frontiera, mi riferisco a quello che si è consumato oggi, ancora una volta, nell'indifferenza dell'Europa, nel canale di Sicilia; speriamo di occuparci presto anche di questo in quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
L'attenzione anche mediatica alla denuncia di questi fatti e il largo spazio che stanno trovando nell'opinione pubblica anche i provvedimenti che questo Parlamento sta approvando – dalla Convenzione di Istanbul oggi più volte ricordata a questo decreto – sono la prima dimostrazione che il silenzio è stato rotto, ma dall'altro lato, ci permettono anche di cogliere, attraverso chi, con superficialità, derubrica la questione etichettandola «di genere», quanto abbiamo colto e stiamo cogliendo nel segno. Tra loro, infatti, si nascondono i detrattori, gli ignavi, gli indifferenti: sono anche loro soprattutto complici nel creare quell'immaginario diffuso in cui, per un'indeterminata alchimia, i fatti di violenza contro le donne sono accettabili, sempre giustificabili; i fatti di violenza contro le donne sono pezzi di inevitabile normalità.
Noi ci ribelliamo a questo: questo Parlamento vuole esprimere e dare corpo e voce alla coscienza, anche giovane, che vuole rompere le strane alleanze che troviamo, nella politica e fuori, tra conservatori, tra uomini e persone che non si trovano a loro agio e anche l'alleanza con molta opinione pubblica, che impedisce qualsiasi cosa – come hanno detto molte colleghe prima di me – venga fatta perché non è mai abbastanza, perché presenta dei limiti e perché non va mai bene niente, con il solo fine, ci sembra, che nulla davvero venga fatto.
Sappiamo che questo provvedimento non è risolutivo di tutto, che non con le sole norme penali e con le azioni di polizia si salvano le donne, ma questo provvedimento riafferma il diritto alla sicurezza delle donne. E, poi, questo provvedimento va molto oltre, affrontando la questione culturale, che è alla base del problema. In particolare, quando si prevede un piano contro la violenza sessuale e di genere, che prevede campagne d'informazione e promozione in ambito scolastico – sono stati ricordati i vari provvedimenti –, la collaborazione tra le istituzioni. Anche questo, secondo me, è un fatto straordinariamente rilevante, perché tutta la società ne è finalmente coinvolta: non ci sono più soggetti titolati in via esclusiva, cui le altre istituzioni, la società italiana, delegano questo compito. Ma questo è un fatto sociale e come tale ce ne assumiamo tutti la piena responsabilità.
Penso a quanto sta già avvenendo grazie all'azione legislativa e alle risposte che abbiamo e possiamo vedere sui territori, dove pure respiriamo sete di fare qualcosa, dove tutte e tutti chiedono di essere coinvolti; penso alle iniziative già partite, alle campagne di educazione nelle scuole; penso ad altre che stanno nascendo, dalla riflessione approfondita sul tema, dallo scambio e dalle relazioni tra donne e istituzioni; penso a chi sta immaginando iniziative per garantire quell'indipendenza economica alle donne vittime di violenza che rischiano, altrimenti, una volta uscite dalla loro famiglia di violenza, di trovare altri nuovi carnefici senza questa indipendenza; penso ad un altro traguardo che va proprio in questa direzione, ovvero quella che la violenza contro le donne è una violenza contro tutte e tutti.
Il GIP di Trento, il dottor Forlenza, recentemente, nel processo a carico di Vittorio Ciccollini che il 12 agosto ha ucciso Lucia Bellucci, ha accettato che un'associazione di cittadine e cittadini dal nome «Isolina e», nata proprio per la prevenzione del femminicidio a Verona, a fine giugno, si costituisse parte civile in quanto parte offesa nel processo, e dunque nei processi a venire, per «uccisione di una donna». Questa associazione si è costituita non solo nella fase del giudizio, ma anche nel momento processuale antecedente, quello delle indagini preliminari; in questi giorni infatti è stato accolto il perito di parte. Il significato simbolico va ben oltre il caso in oggetto perché la decisione del GIP sancisce che da oggi in Italia, per l'ordinamento italiano, il femminicidio non è più una questione privata, tra l'omicida e la vittima, ma è una questione pubblica, tra l'omicida e tutte le donne rappresentate dalle loro associazioni.
Questo, penso anche sia frutto del lavoro intrapreso non solo in Parlamento ma dentro quest'Aula e fuori. Oggi abbiamo visto, appunto, che si può morire d'amore, si muore d'amore e che di questo ci dobbiamo occupare, ma che si muore anche di frontiera, mi riferisco a quello che si è consumato oggi, ancora una volta, nell'indifferenza dell'Europa, nel canale di Sicilia; speriamo di occuparci presto anche di questo in quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
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