Articolo di Peppino Caldarola pubblicato su l’Unità il 15 gennaio 2013
Oggi a Roma, ai Musei capitolini in Campidoglio, presenteremo un libro, "Controcorrente", edito da Laterza, in cui affronti la politica italiana degli ultimi trent'anni, discuti sul rischio dell'antipolitica e sul futuro della sinistra. Il libro si chiude a ridosso dello scioglimento delle Camere. Monti allora era indeciso se restare super partes o salire-scendere in politica. Poi ha scelto. Questo passaggio è il capitolo mancante del libro e sarà l'ultimo capitolo della prossima edizione. "L'Unità" gentilmente ci ospita facendoci riprendere la nostra chiacchierata. Allora partiamo proprio dall'ultimo Monti.
«Abbiamo scritto un libro di politica e sulla politica a ferro ancora caldo. Non abbiamo preteso di scrivere la Divina commedia, quindi siamo nelle condizioni di proseguire il ragionamento per cercare di interpretare il cambiamento di scenario e ín particolare per valutare la più grande novità: il venire in campo di un Terzo polo che ha un'ambizione che non ha mai avuto, quella di ridisegnare lo scenario politico italiano. Non so se l'obiettivo dell'operazione Monti, e delle forze che intorno a Monti si raccolgono, sia quella di creare le condizioni di un dominio centrista. Probabilmente la vera ambizione è quella di ridisegnare l'area moderata italiana in chiave europeista, con un più forte collegamento con le forze conservatrici democratiche europee, in particolare con i democristiani tedeschi, e di archiviare l'anomalia Berlusconi...»
Detto così il giudizio sull'intera operazione è positivo...
«È un'aspirazione positiva, ma c'è in Italia lo spazio per una grande forza maggioritaria democratica europeista che prescinda dalla sinistra? Nel passato è accaduto, ma nelle condizioni della guerra fredda. La Dc poté contenere forze, culture, passioni che, con la scomparsa di quel partito, si sono liberate da questo vincolo e si sono divise. Non a caso, le componenti riformiste e europeiste più coerenti hanno dato vita, insieme a noi, al Pd. Dall'altra parte, è venuta in campo una destra populista che ha trovato in Berlusconi e nella Lega il suo punto di riferimento. E non credo si tratti di un fenomeno transitorio. Oggi siamo di fronte a un mutamento che in qualche modo ci sfida, ma non vedo, nell'operazione Monti, l'inizio di una nuova egemonia moderata neI Paese. Penso che in qualche modo il centro, questo centro democratico europeista, sarà costretto a misurarsi con il Pd e la sinistra. Ecco perché Monti avrebbe potuto svolgere un ruolo diverso, essere punto di riferimento dí un ampio arco di forze. Nel momento in cui, invece, ha scelto di diventare parte, capo di un partito, con tutto il peso dei compromessi, dei prezzi che una scelta di questo genere impone, è chiaro che il suo ruolo si ridimensiona. Dopo le elezioni ci sarà bisogno di un'opera non semplice di ricucitura».
Perché il Professore preferisce fare il capo-partito piuttosto che essere, come suggerisci nel libro, il punto di riferimento di un asse fra il centro e il centrosinistra?
«Probabilmente dietro la sua scelta c'è la convinzione che senza di lui questo Terzo polo non avrebbe assunto consistenza politica, non avrebbe avuto un peso tale da portarlo a un confronto con la sinistra. È evidente che questa operazione è concepita per condizionare il governo del Paese in un rapporto con il Partito democratico. Torniamo a un tema che ho affrontato nel libro: ci sono forze, fra quelle che hanno spinto Monti, che mantengono una riserva, una diffidenza nei confronti della sinistra. E quindi, pur dovendosi arrendere all'idea che essendo in democrazia con molta probabilità l'Italia sarà governata da noi, ritengono di dover condizionare il più possibile il processo politico in atto. Si tratta di forze espressione del mondo economico, di componenti del mondo cattolico, in particolare quelle più istituzionali, e del mondo conservatore europeo. Non credo che gli americani abbiano avuto un ruolo ed è infondato dire che questa scelta di Monti l'abbia voluta l'Europa tout court. Questa è una mistificazione».
La spinta viene dal Partito popolare europeo...
«Non c'è dubbio che i progressisti europei vedono con molto favore lo spostamento dell'asse in Italia, perché ciò inciderebbe sugli equilibri politici continentali. Non è "l'Europa per Monti": sono i conservatori europei, in testa la signora Merkel, a dare la spinta. Preferiscono non avere un'Italia che entri nel campo progressista e scelgono di esercitare un condizionamento in senso conservatore. Oramai la battaglia politica e i rapporti di forze vanno visti in un'ottica europea. Questo i tedeschi l'hanno capito e infatti la loro politica non è provinciale. Da noi, invece, permane un elemento di provincialismo che porta a non vedere lo scenario nel suo insieme. La Merkel ha una visione europea in funzione della difesa di un'egemonia conservatrice che oggi è fortissima ed è chiaro che, in quest'ottica, Monti diventa riferimento per le forze moderate e conservatrici. D'altra parte, avevano bisogno di cambiare, di far dimenticare che fino ad appena pochi mesi fa il loro riferimento era Berlusconi. La politica dei conservatori europei è stata estremamente spregiudicata. Hanno imbarcato le forze peggiori, basti pensare che al tavolo dei moderati europei c'era l'ungherese Viktor Orban che noi definiremmo un fascista... È chiaro che oggi hanno bisogno di Monti».
Ci sono alcuni ambienti, anche interni al Pd, che sostengono che Monti c'è, e ci deve essere, perché il Pd è troppo spostato a sinistra, anche per la presenza ingombrante - dicono - di Vendola.
«Il Pd è una grande forza riformista europea. Il problema, come non mi stanco di ripetere, è che il nostro è un Paese in cui lo spirito conservatore e la prevenzione verso la sinistra sono particolarmente forti. È un dato italiano, in altri Paesi non è così. Non c'entra niente con l'accusa che saremmo troppo a sinistra. Trovo abbastanza intollerabile la demonizzazione di Vendola, il cui ruolo, fra l'altro, quando ha fatto comodo è stato enfatizzato contro di noi...».
Quando sembrava il vero competitor di Bersani...
«Allora Nichi andava benissimo, adesso invece è diventato il demonio. Ma così si cancella un dato politico innegabile: Vendola nasce in polemica con Rifondazione comunista, rifonda la sinistra radicale in polemica con l'estremismo. Tanto è vero che gran parte di questi partiti e partitini che erano con noi nel governo dell'Unione, oggi si riconosce nella coalizione arancione guidata da Ingroia. Si vuole imporre l'equazione Vendola uguale Bertínotti, secondo cui il centrosinistra, con Vendola, sarebbe uguale all'Unione. È una semplificazione propagandístíca e falsa. Il centrosinistra è guidato dal Pd di Bersani, che oggi in Italia è l'unico grande partito saldamente al dí sopra del 30% dei voti. Questa è la forza a cui spetta il compito di guidare il Paese, come è normale in una democrazia europea. Questa è la garanzia di una decisa e limpida impostazione riformista. Vendola va rispettato, ma non è lui alla testa dell'alleanza».
Vogliamo dare uno sguardo alla coalizione che ha messo assieme Monti?
«Dal mio libro si capisce che ho stima di Monti e non ho cambiato opinione malgrado i motivi di dissenso che sono, ora, significativamente emersi. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti dell'"operazione Monti" che rischiano di rendere difficile il cammino dopo le elezioni e la necessaria ricerca di una forma di collaborazione, che continuo a ritenere indispensabile, tra progressisti e moderati. Non mi piace la retorica sul fatto che destra e sinistra non esistono più. Non è vero, né in Italia né in Europa. E la pubblicità ingannevole non aiuta la chiarezza dei rapporti. Il vero problema è ricercare una convergenza nel nome dell'interesse nazionale e delle prospettive europee. La seconda questione riguarda la forte impronta antipolitica che caratterizza tutta l'"operazione Monti". Immagino che questo crei, in realtà, non pochi problemi anche a quei gruppi politici che a Monti si sono uniti in una comprensibile - ma credo sofferta - valutazione di convenienza. Ho letto, qualche giorno fa, che Monti avrebbe dichiarato di essere intento a "depurare" la presenza dei politici nelle sue liste, sulla base di una pretesa superiorità della cosiddetta società civile. Ma di quale società civile si tratta? In realtà, dietro Monti appare un robusto blocco di interessi che richiederebbe un'opera di "depurazione" non meno impegnativa. Noi abbiamo lamentato a lungo l'invadenza di Berlusconi nelle tv, ma l'invadenza di Monti nei giornali le cui proprietà figurano largamente tra gli sponsor e i sostenitori della sua lista, non è meno esorbitante. Nessuno nega a Montezemolo il diritto di fare politica, ma egli è anche il principale competitore delle Ferrovie dello Stato, e il giorno in cui un esponente del suo movimento dovesse diventare ministro dei Trasporti, si porrebbe più di qualche problema. Insomma, ci sarà pure una ragione per la quale normalmente nei Paesi democratici ci sono i partiti, proprio per rappresentare un filtro tra gli interessi particolari e l'interesse generale dello Stato. Quando la classe dirigente economica si fa partito, fenomeno che nel caso di Berlusconi è stato clamoroso, per quanto lo possa fare nel modo più anglosassone possibile, e sotto il controllo vigile del dottor Bondi, a pagare il prezzo è la trasparenza del potere. Meglio i partiti, quelli veri».
Stiamo parlando di Monti, mentre irrompe ancora una volta sulla scena mediatica, con un certo successo, Berlusconi...
«La battaglia per il governo è tra noi e Berlusconi. Credo che vinceremo noi, ma il patto di potere con la Lega consente a Berlusconi di tornare-in primo piano. Purtroppo, l'obiettivo del Terzo polo sembra essere quello di impedire al centrosinistra di avere la maggioranza al Senato. Guardiamo a quanto accade in Lombardia, dove, grazie al Terzo polo, si rischia di regalare a Berlusconi 27 senatori e di lasciare quella Regione, insieme a Piemonte e Veneto, nelle mani della Lega. Parliamo di un partito che rappresenta poco più del 5% e che sí troverebbe a governare, su una linea dí tipo secessionistico, la parte più moderna e più ricca del Paese. Domando: può una simile prospettiva essere irrilevante per chi ha una visione europea democratica?».
Il rapporto con Monti dipende anche dal tipo di campagna elettorale che il premier e i centristi faranno.
«Non c'è dubbio. Noi vogliamo una coalizione forte nel Paese, che sia rappresentativa di un largo blocco di forze sociali, quindi dobbiamo costruire un accordo di governo. Sarebbe bene che questo se lo ricordassero tutti, anche nel nostro campo. Non è bene spingere oltre un certo limite la contesa politica, culturale, programmatica. Vorrei dare un consiglio di saggezza a tutti. La cosa più conveniente per l'Italia è che si governi insieme, progressisti e moderati. Questo è il tono che Bersani ha dato alla sua campagna elettorale. Naturalmente, è necessaria una forte nostra caratterizzazione: è evidente che l'Italia ha bisogno di una fase nuova rispetto al governo Monti, che proietti il Paese oltre l'emergenza, che metta al centro i temi del lavoro, della crescita, della riduzione delle diseguaglianze sociali, della lotta alla povertà. C'è un'agenda del centrosinistra per l'Italia e per l'Europa e con questa ci si dovrà misurare».
Perché il Professore preferisce fare il capo-partito piuttosto che essere, come suggerisci nel libro, il punto di riferimento di un asse fra il centro e il centrosinistra?
«Probabilmente dietro la sua scelta c'è la convinzione che senza di lui questo Terzo polo non avrebbe assunto consistenza politica, non avrebbe avuto un peso tale da portarlo a un confronto con la sinistra. È evidente che questa operazione è concepita per condizionare il governo del Paese in un rapporto con il Partito democratico. Torniamo a un tema che ho affrontato nel libro: ci sono forze, fra quelle che hanno spinto Monti, che mantengono una riserva, una diffidenza nei confronti della sinistra. E quindi, pur dovendosi arrendere all'idea che essendo in democrazia con molta probabilità l'Italia sarà governata da noi, ritengono di dover condizionare il più possibile il processo politico in atto. Si tratta di forze espressione del mondo economico, di componenti del mondo cattolico, in particolare quelle più istituzionali, e del mondo conservatore europeo. Non credo che gli americani abbiano avuto un ruolo ed è infondato dire che questa scelta di Monti l'abbia voluta l'Europa tout court. Questa è una mistificazione».
La spinta viene dal Partito popolare europeo...
«Non c'è dubbio che i progressisti europei vedono con molto favore lo spostamento dell'asse in Italia, perché ciò inciderebbe sugli equilibri politici continentali. Non è "l'Europa per Monti": sono i conservatori europei, in testa la signora Merkel, a dare la spinta. Preferiscono non avere un'Italia che entri nel campo progressista e scelgono di esercitare un condizionamento in senso conservatore. Oramai la battaglia politica e i rapporti di forze vanno visti in un'ottica europea. Questo i tedeschi l'hanno capito e infatti la loro politica non è provinciale. Da noi, invece, permane un elemento di provincialismo che porta a non vedere lo scenario nel suo insieme. La Merkel ha una visione europea in funzione della difesa di un'egemonia conservatrice che oggi è fortissima ed è chiaro che, in quest'ottica, Monti diventa riferimento per le forze moderate e conservatrici. D'altra parte, avevano bisogno di cambiare, di far dimenticare che fino ad appena pochi mesi fa il loro riferimento era Berlusconi. La politica dei conservatori europei è stata estremamente spregiudicata. Hanno imbarcato le forze peggiori, basti pensare che al tavolo dei moderati europei c'era l'ungherese Viktor Orban che noi definiremmo un fascista... È chiaro che oggi hanno bisogno di Monti».
Ci sono alcuni ambienti, anche interni al Pd, che sostengono che Monti c'è, e ci deve essere, perché il Pd è troppo spostato a sinistra, anche per la presenza ingombrante - dicono - di Vendola.
«Il Pd è una grande forza riformista europea. Il problema, come non mi stanco di ripetere, è che il nostro è un Paese in cui lo spirito conservatore e la prevenzione verso la sinistra sono particolarmente forti. È un dato italiano, in altri Paesi non è così. Non c'entra niente con l'accusa che saremmo troppo a sinistra. Trovo abbastanza intollerabile la demonizzazione di Vendola, il cui ruolo, fra l'altro, quando ha fatto comodo è stato enfatizzato contro di noi...».
Quando sembrava il vero competitor di Bersani...
«Allora Nichi andava benissimo, adesso invece è diventato il demonio. Ma così si cancella un dato politico innegabile: Vendola nasce in polemica con Rifondazione comunista, rifonda la sinistra radicale in polemica con l'estremismo. Tanto è vero che gran parte di questi partiti e partitini che erano con noi nel governo dell'Unione, oggi si riconosce nella coalizione arancione guidata da Ingroia. Si vuole imporre l'equazione Vendola uguale Bertínotti, secondo cui il centrosinistra, con Vendola, sarebbe uguale all'Unione. È una semplificazione propagandístíca e falsa. Il centrosinistra è guidato dal Pd di Bersani, che oggi in Italia è l'unico grande partito saldamente al dí sopra del 30% dei voti. Questa è la forza a cui spetta il compito di guidare il Paese, come è normale in una democrazia europea. Questa è la garanzia di una decisa e limpida impostazione riformista. Vendola va rispettato, ma non è lui alla testa dell'alleanza».
Vogliamo dare uno sguardo alla coalizione che ha messo assieme Monti?
«Dal mio libro si capisce che ho stima di Monti e non ho cambiato opinione malgrado i motivi di dissenso che sono, ora, significativamente emersi. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti dell'"operazione Monti" che rischiano di rendere difficile il cammino dopo le elezioni e la necessaria ricerca di una forma di collaborazione, che continuo a ritenere indispensabile, tra progressisti e moderati. Non mi piace la retorica sul fatto che destra e sinistra non esistono più. Non è vero, né in Italia né in Europa. E la pubblicità ingannevole non aiuta la chiarezza dei rapporti. Il vero problema è ricercare una convergenza nel nome dell'interesse nazionale e delle prospettive europee. La seconda questione riguarda la forte impronta antipolitica che caratterizza tutta l'"operazione Monti". Immagino che questo crei, in realtà, non pochi problemi anche a quei gruppi politici che a Monti si sono uniti in una comprensibile - ma credo sofferta - valutazione di convenienza. Ho letto, qualche giorno fa, che Monti avrebbe dichiarato di essere intento a "depurare" la presenza dei politici nelle sue liste, sulla base di una pretesa superiorità della cosiddetta società civile. Ma di quale società civile si tratta? In realtà, dietro Monti appare un robusto blocco di interessi che richiederebbe un'opera di "depurazione" non meno impegnativa. Noi abbiamo lamentato a lungo l'invadenza di Berlusconi nelle tv, ma l'invadenza di Monti nei giornali le cui proprietà figurano largamente tra gli sponsor e i sostenitori della sua lista, non è meno esorbitante. Nessuno nega a Montezemolo il diritto di fare politica, ma egli è anche il principale competitore delle Ferrovie dello Stato, e il giorno in cui un esponente del suo movimento dovesse diventare ministro dei Trasporti, si porrebbe più di qualche problema. Insomma, ci sarà pure una ragione per la quale normalmente nei Paesi democratici ci sono i partiti, proprio per rappresentare un filtro tra gli interessi particolari e l'interesse generale dello Stato. Quando la classe dirigente economica si fa partito, fenomeno che nel caso di Berlusconi è stato clamoroso, per quanto lo possa fare nel modo più anglosassone possibile, e sotto il controllo vigile del dottor Bondi, a pagare il prezzo è la trasparenza del potere. Meglio i partiti, quelli veri».
Stiamo parlando di Monti, mentre irrompe ancora una volta sulla scena mediatica, con un certo successo, Berlusconi...
«La battaglia per il governo è tra noi e Berlusconi. Credo che vinceremo noi, ma il patto di potere con la Lega consente a Berlusconi di tornare-in primo piano. Purtroppo, l'obiettivo del Terzo polo sembra essere quello di impedire al centrosinistra di avere la maggioranza al Senato. Guardiamo a quanto accade in Lombardia, dove, grazie al Terzo polo, si rischia di regalare a Berlusconi 27 senatori e di lasciare quella Regione, insieme a Piemonte e Veneto, nelle mani della Lega. Parliamo di un partito che rappresenta poco più del 5% e che sí troverebbe a governare, su una linea dí tipo secessionistico, la parte più moderna e più ricca del Paese. Domando: può una simile prospettiva essere irrilevante per chi ha una visione europea democratica?».
Il rapporto con Monti dipende anche dal tipo di campagna elettorale che il premier e i centristi faranno.
«Non c'è dubbio. Noi vogliamo una coalizione forte nel Paese, che sia rappresentativa di un largo blocco di forze sociali, quindi dobbiamo costruire un accordo di governo. Sarebbe bene che questo se lo ricordassero tutti, anche nel nostro campo. Non è bene spingere oltre un certo limite la contesa politica, culturale, programmatica. Vorrei dare un consiglio di saggezza a tutti. La cosa più conveniente per l'Italia è che si governi insieme, progressisti e moderati. Questo è il tono che Bersani ha dato alla sua campagna elettorale. Naturalmente, è necessaria una forte nostra caratterizzazione: è evidente che l'Italia ha bisogno di una fase nuova rispetto al governo Monti, che proietti il Paese oltre l'emergenza, che metta al centro i temi del lavoro, della crescita, della riduzione delle diseguaglianze sociali, della lotta alla povertà. C'è un'agenda del centrosinistra per l'Italia e per l'Europa e con questa ci si dovrà misurare».
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