Articolo di Michele Salvati pubblicato sul Corriere della Sera il 19 gennaio 2013
Sul «Corriere» del 2 gennaio scorso un lungo articolo di Elsa Fornero spiega la logica e gli scopi della riforma degli ammortizzatori sociali che è appena entrata in vigore. E un articolo altrettanto lungo e documentato di Enrico Marro spiega quali sono gli ostacoli che la ministra ha incontrato e sta incontrando nel mandare avanti la sua riforma. A chi vuol saperne di più ? non solo degli ammortizzatori sociali, ma dell'intero sistema di Welfare oggi in vigore nel nostro Paese ? non saprei che cosa consigliare di meglio di un libro della collana storica della Banca d'Italia: Alle radici del Welfare all'italiana. Origini e futuro di un modello sociale squilibrato, di Maurizio Ferrera, Valeria Fargion e Matteo Jessoula (Marsilio). Un libro di storia, che percorre le principali tappe degli istituti che compongono il nostro Welfare dalla loro origine, negli ultimi due decenni dell'Ottocento, al primo impianto delle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione subito dopo la Prima guerra mondiale, sino ai nostri giorni. Il libro percorre queste tappe in modo efficace, ma sintetico, fino alla Seconda guerra mondiale, un periodo già ampiamente studiato; in modo dettagliato dalla guerra ad oggi.
La sconfitta bellica, la caduta del fascismo, l'avvento della democrazia e della «Repubblica dei partiti», lo sviluppo dei sindacati furono una cesura epocale che avrebbe consentito una nuova partenza, l'eliminazione o la correzione di insufficienze e distorsioni già evidenti nel sistema prebellico. Perché questa nuova partenza non avvenne? Perché l'enorme sviluppo quantitativo del Welfare (e soprattutto della previdenza) non si accompagnò a un ridisegno qualitativo, alla luce di criteri di equità e sostenibilità economica che le forze politiche democratiche e i sindacati pur affermavano di sostenere?Storia, dunque, ma storia ragionata, storia scritta da scienziati sociali ? politologi nel nostro caso ? che non si limitano a descrivere in modo accurato come le cose sono andate, ma cercano di spiegare perché sono andate nel modo in cui andarono, perché alcuni percorsi di rettifica non vennero presi e molte occasioni furono mancate, perché la «dipendenza dal passato» e dagli interessi che il precedente impianto legislativo aveva alimentato fu così forte, e l'autonomia politica dei riformatori così debole, da inibire efficaci sforzi di riforma.
Nell'Introduzione di Maurizio Ferrera i paragrafi 3 («In cerca di radici: percorsi esplicativi») e 4 («Un approccio storico-istituzionalista») non sono annotazioni di puro interesse accademico: in una importante collana di studi storici di impianto tradizionale, sono un richiamo necessario all'innovazione di metodo che questo libro produce. Una innovazione che consente di identificare i principali fattori causali, i «colpevoli», che ostacolarono un processo riformatore della cui necessità gli studiosi e i politici più lungimiranti erano consapevoli: nel contesto di una eredità storica nella quale gravi fenomeni distorsivi si erano già radicati, furono, insieme, fattori culturali di origine antica e soprattutto le caratteristiche della competizione politica della Prima Repubblica ? la democrazia bloccata e il pluralismo polarizzato (gli autori fanno propria l'analisi di Giovanni Sartori) ? a indurre i decision maker a persistere su un impianto di Welfare che accentuava, invece di combattere, le distorsioni d'origine.
Distorsioni che Ferrera - responsabile della ricerca - riassume in due grandi categorie, distorsioni funzionali e distributive: ovvero differenze palesi e persistenti rispetto a un modello normativo improntato a criteri di equità e sostenibilità economica e che si possono documentare nel confronto con i Paesi più avanzati, le cui istituzioni di Welfare meglio si conformano al modello normativo. Il termine «funzionale» si riferisce ai rischi-bisogni più/meno coperti dal Welfare pubblico e la distorsione italiana è ben nota: a parità (o quasi) di spesa complessiva rispetto alla media dei Paesi europei, copriamo «troppo» il rischio vecchiaia (pensioni) e troppo poco gli altri, povertà, presenza di figli, esigenze di cura e servizi all'interno della famiglia, disagio abitativo, sostegno all'inserimento e alla formazione professionale e altri bisogni sociali.
Altrettanto nota è la distorsione «distributiva», che si riflette in tutti o quasi gli ambiti del Welfare: un forte divario di protezione (accesso alle prestazioni e loro generosità) tra le diverse categorie professionali, tra inclusi ed esclusi, insider e outsider. I cinque capitoli del libro a cura di Valeria Fargion e Matteo Jessoula, racchiusi tra l'Introduzione e le Conclusioni di Maurizio Ferrera, raccontano in modo accurato e convincente l'evoluzione postbellica del nostro sistema di Welfare, i momenti in cui sarebbe stato possibile attenuare le distorsioni di cui si è detto e le ragioni per cui ciò non è avvenuto. «Risalire alle "radici del Welfare all'italiana" significa... identificare tre elementi nella loro concatenazione temporale: le giunture critiche in cui si sono aperte o chiuse le possibili alternative di percorso; gli snodi decisionali che hanno spinto il nostro Paese verso l'una o l'altra strada; e la costellazione di attori (inclusa la loro logica di azione) che hanno orientato le loro decisioni».
Si arriva così alle soglie del governo Monti e alle riforme della ministra Fornero, che ben meriterebbero un supplemento d'indagine, perché si è trattato ? e ancora si sta trattando ? di una giuntura critica di grande rilievo, che coincide con una situazione di emergenza e può rappresentare uno snodo decisionale di grande importanza, se le forze della conservazione non prevarranno nel governo che farà seguito al governo Monti.
Le riforme Fornero sono infatti il primo tentativo d'insieme, deliberato, coraggioso e consapevole di contrastare le due grandi distorsioni di cui parla Ferrera e ha già suscitato forti reazioni di rigetto nelle forze politiche e sindacali che avranno voce nel governo politico che succederà al governo Monti, come l'articolo di Enrico Marro citato all'inizio illustra assai bene. Reazioni che non discendono solo dal trascinamento del passato, dagli interessi alimentati dalla legislazione in vigore, ma dalla situazione di grande penuria economica e di crisi sociale in cui il tentativo di riforma ha luogo. Fare grandi riforme è sempre difficile. È difficilissimo in una situazione di crisi, che peraltro è proprio quella che ne impone la necessità.
Nell'Introduzione di Maurizio Ferrera i paragrafi 3 («In cerca di radici: percorsi esplicativi») e 4 («Un approccio storico-istituzionalista») non sono annotazioni di puro interesse accademico: in una importante collana di studi storici di impianto tradizionale, sono un richiamo necessario all'innovazione di metodo che questo libro produce. Una innovazione che consente di identificare i principali fattori causali, i «colpevoli», che ostacolarono un processo riformatore della cui necessità gli studiosi e i politici più lungimiranti erano consapevoli: nel contesto di una eredità storica nella quale gravi fenomeni distorsivi si erano già radicati, furono, insieme, fattori culturali di origine antica e soprattutto le caratteristiche della competizione politica della Prima Repubblica ? la democrazia bloccata e il pluralismo polarizzato (gli autori fanno propria l'analisi di Giovanni Sartori) ? a indurre i decision maker a persistere su un impianto di Welfare che accentuava, invece di combattere, le distorsioni d'origine.
Distorsioni che Ferrera - responsabile della ricerca - riassume in due grandi categorie, distorsioni funzionali e distributive: ovvero differenze palesi e persistenti rispetto a un modello normativo improntato a criteri di equità e sostenibilità economica e che si possono documentare nel confronto con i Paesi più avanzati, le cui istituzioni di Welfare meglio si conformano al modello normativo. Il termine «funzionale» si riferisce ai rischi-bisogni più/meno coperti dal Welfare pubblico e la distorsione italiana è ben nota: a parità (o quasi) di spesa complessiva rispetto alla media dei Paesi europei, copriamo «troppo» il rischio vecchiaia (pensioni) e troppo poco gli altri, povertà, presenza di figli, esigenze di cura e servizi all'interno della famiglia, disagio abitativo, sostegno all'inserimento e alla formazione professionale e altri bisogni sociali.
Altrettanto nota è la distorsione «distributiva», che si riflette in tutti o quasi gli ambiti del Welfare: un forte divario di protezione (accesso alle prestazioni e loro generosità) tra le diverse categorie professionali, tra inclusi ed esclusi, insider e outsider. I cinque capitoli del libro a cura di Valeria Fargion e Matteo Jessoula, racchiusi tra l'Introduzione e le Conclusioni di Maurizio Ferrera, raccontano in modo accurato e convincente l'evoluzione postbellica del nostro sistema di Welfare, i momenti in cui sarebbe stato possibile attenuare le distorsioni di cui si è detto e le ragioni per cui ciò non è avvenuto. «Risalire alle "radici del Welfare all'italiana" significa... identificare tre elementi nella loro concatenazione temporale: le giunture critiche in cui si sono aperte o chiuse le possibili alternative di percorso; gli snodi decisionali che hanno spinto il nostro Paese verso l'una o l'altra strada; e la costellazione di attori (inclusa la loro logica di azione) che hanno orientato le loro decisioni».
Si arriva così alle soglie del governo Monti e alle riforme della ministra Fornero, che ben meriterebbero un supplemento d'indagine, perché si è trattato ? e ancora si sta trattando ? di una giuntura critica di grande rilievo, che coincide con una situazione di emergenza e può rappresentare uno snodo decisionale di grande importanza, se le forze della conservazione non prevarranno nel governo che farà seguito al governo Monti.
Le riforme Fornero sono infatti il primo tentativo d'insieme, deliberato, coraggioso e consapevole di contrastare le due grandi distorsioni di cui parla Ferrera e ha già suscitato forti reazioni di rigetto nelle forze politiche e sindacali che avranno voce nel governo politico che succederà al governo Monti, come l'articolo di Enrico Marro citato all'inizio illustra assai bene. Reazioni che non discendono solo dal trascinamento del passato, dagli interessi alimentati dalla legislazione in vigore, ma dalla situazione di grande penuria economica e di crisi sociale in cui il tentativo di riforma ha luogo. Fare grandi riforme è sempre difficile. È difficilissimo in una situazione di crisi, che peraltro è proprio quella che ne impone la necessità.
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