«A Davos ho raccolto la sensazione di un clima molto diverso rispetto all'anno scorso: non c'erano più l'aria cupa, il disfattismo,le preoccupazioni per i mercati e per un disastroso break up dell'euro, non sono più presenti i timori per il "cigno nero", cioè per un evento improbabile ma catastrofico come l'implosione della moneta comune. Anzi: oggi prevalgono un buon livello di serenità e di fiducia. E l'Italia non è più
"il malato d'Europa". Lo prova non solo lo spread, sceso da 248 punti, bensì anche
il fatto che nei confronti del Montepaschi ho avvertito una "curiosità" e un interesse circoscritti, nessuna preoccupazione di rischio sistemico o generalizzazioni sul resto delle banche italiane: si tratta di un caso isolato e come tale viene percepito anche a livello internazionale». Enrico Tommaso Cucchiani, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, è stato l'unico grande banchiere italiano a partecipare al Forum globale che si tiene ogni anno nella cittadina svizzera. E nel raccontare il risultato dei numerosi
incontri, dei dibattiti, dei quesiti che gli sono stati posti dai protagonisti della finanza mondiale, sottolinea un cambio di clima che rappresenta un risultato sul quale è importante riflettere. Nei suoi aspetti più favorevoli e anche in quelli che lo sono di meno: alcune preoccupazioni si sono «trasferite» sull'economia reale.
Cosa ha ridato fiducia ai mercati?
«Le banche oggi presentano situazioni decisamente migliori sotto il profilo di patrimonio e liquidità, hanno superato gli stress test, sono stati messi a punto da parte della Bce meccanismi di controllo e salvaguardia che hanno consentito un rafforzamento strutturale del sistema e costruito una rete di protezione. Penso vada riconosciuto a Mario Draghi il ruolo di "eroe" della stabilizzazione del sistema finanziario. Il punto di discontinuità è stato il suo discorso a Londra il giorno prima delle Olimpiadi, quando ha detto: faremo tutto quanto necessario per salvaguardare l'euro».
E le preoccupazioni per l'economia reale?
«In Europa il Pil stagnante e la recessione prolungata nella quale versano alcuni Paesi, fra i quali il nostro, sono fattori di preoccupazione costante, anche per gli aspetti sociali come l'occupazione,anzi, la disoccupazione soprattutto giovanile: negli Stati Uniti è in calo, in Europa è invece in aumento. Desta allarme che nei Paesi Ue più forti un giovane su cinque sia senza lavoro, e in quelli più deboli, come Spagna e Grecia, lo sia uno su due».
Con riflessi per le banche.
«Certo, la recessione trascina con sé l'aumento del credito problematico, cioè delle sofferenze. La recessione deprime investimenti e acquisti di beni durevoli e la domanda di credito è in calo. Il rimedio invocato è procedere senza indugio nelle riforme strutturali al fine di recuperare in competitività, rendere più attrattivi gli investimenti nel nostro Paese e allineare il nostro sistema ai livelli di chi ha maggior successo nella competizione internazionale con tassi di occupazione crescenti anziché in calo».
Più in particolare quale percezione ha raccolto verso il nostro Paese e le sue banche?
«La caduta dello spread e i rendimenti dei titoli di Stato a 12 mesi scesi dal 6% allo 0,9% parlano in un certo senso da soli. Ho raccolto grandi apprezzamenti per il lavoro fatto e il riavvio strutturale del Paese. Ho incontrato tutti i ceo delle grandi banche internazionali e il feedback è molto positivo. Non posso né voglio omettere che lo è in particolare anche nei confronti della nostra banca, che presenta un core tier 1 pari all'11,1%, il più elevato fra le grandi banche italiane e che ha già superato del 10% i target "vecchi" e più stringenti di Basilea 3 sulla liquidità».
Il caso Montepaschi non ha incrinato la ritrovata fiducia?
«No perché anche la conoscenza ovviamente limitata dei fatti indica che non c'è alcunché di sistemico. È un fatto isolato, frutto di valutazioni individuali, diciamo poco avvedute. Ci sono state decisioni che lasciano aperti interrogativi sulla valutazione di Antonveneta o su scelte di portafoglio indirizzate verso Btp di lunga durata (si pensi solo che la durata media dei nostri investimenti in titoli di Stato è 18 mesi). Si tratta dunque di scelte individuali. Non si può inferire che siamo in presenza di comportamenti diffusi».
Nessun rischio di contagio per il sistema italiano?
«Assolutamente no. Lo ripeto: è un caso isolato sul quale per varie ragioni si sono costruiti giudizi del tutto infondati».
Si riferisce alle critiche sulla vigilanza?
«Senza dubbio la nostra ha una reputazione di una Vigilanza rigorosa, severa, qualificata, anche più di altri Paesi. Più rigorosa nel determinare parametri e più severa nel condurre le ispezioni. È una reputazione di alta professionalità più che acquisita e consolidata a livello internazionale. Se poi una banca, in questo caso il Montepaschi, non fornisce documenti essenziali la Vigilanza non dispone dei poteri, che invece ha la magistratura con la quale Via Nazionale con la quale Via Nazionale collabora attivamente, per entrare nelle casseforti "segrete". Non si capisce dunque su quali basi possano poggiare ipotesi di responsabilità della vigilanza».
Più comprensibili sono ipotesi di responsabilità politica?
«Ammesso e non concesso ci siano pressioni, richieste inopportune, la responsabilità è personale del manager. Può dire di no e andarsene. A questo proposito ritengo improprie le critiche generalizzate alle fondazioni. Sono azionisti come tutti gli altri, che hanno accompagnato la crescita del sistema. Si fa poi un vero salto logico se le si accomuna tutte. Per quanto riguarda le fondazioni nostre azioniste, il peso dell'investimento in Intesa Sanpaolo sul loro patrimonio è ben diverso da quello che ritroviamo nella Fondazione senese, che rappresenta un caso atipico».
Fatto sta che lo Stato deve intervenire ancora, e i Monti bond sono stati oggetto di critiche aspre.
«Quando si dice che l'Imu serve a salvare il Montepaschi si fa un collegamento assolutamente improprio a metà fra assenza di logica e disonestà intellettuale. Come cittadino mi indigno e irrito se si abusa della buona fede degli elettori. La verità è che con i Monti bond vengono tutelati i risparmiatori e l'economia reale: se si bloccasse il Montepaschi allora sì ci sarebbe un rischio sistemico. E diciamo anche che chi grida all'ingerenza dello Stato "trascura" almeno due fatti importanti: l'intervento è temporaneo e nel nostro Paese gli importi impiegati a sostegno delle banche sono trascurabili, sicuramente i meno rilevanti a livello di Europa continentale e non solo».
Il caso Siena dimostra una volta di più il rischio derivati?
«Anche qui circolano delle valutazioni improprie. Gli abusi fanno dimenticare qualche volta che speculazione e derivati sono essenziali per il funzionamento dell'economia reale e per l'operatività di qualsiasi azienda: per esempio un'impresa che esporta si deve ricoprire rispetto a rischi come quello di cambio ed è indispensabile che a fronte di queste coperture ci sia qualcuno che "speculi" per eliminare il rischio dell'azienda. Ma le medicine, come la penicillina, possono curare o, in caso di abuso, ottenere l'effetto contrario. Se si utilizzano i derivati per nascondere la verità e "truccare" i bilanci siamo di fronte all'abuso, che va combattuto con le regole, la vigilanza e anche l'etica professionale. Di nuovo abbiamo dunque bisogno di una visione corretta, che non sia fuorviante e da caccia alle streghe».
«Le banche oggi presentano situazioni decisamente migliori sotto il profilo di patrimonio e liquidità, hanno superato gli stress test, sono stati messi a punto da parte della Bce meccanismi di controllo e salvaguardia che hanno consentito un rafforzamento strutturale del sistema e costruito una rete di protezione. Penso vada riconosciuto a Mario Draghi il ruolo di "eroe" della stabilizzazione del sistema finanziario. Il punto di discontinuità è stato il suo discorso a Londra il giorno prima delle Olimpiadi, quando ha detto: faremo tutto quanto necessario per salvaguardare l'euro».
E le preoccupazioni per l'economia reale?
«In Europa il Pil stagnante e la recessione prolungata nella quale versano alcuni Paesi, fra i quali il nostro, sono fattori di preoccupazione costante, anche per gli aspetti sociali come l'occupazione,anzi, la disoccupazione soprattutto giovanile: negli Stati Uniti è in calo, in Europa è invece in aumento. Desta allarme che nei Paesi Ue più forti un giovane su cinque sia senza lavoro, e in quelli più deboli, come Spagna e Grecia, lo sia uno su due».
Con riflessi per le banche.
«Certo, la recessione trascina con sé l'aumento del credito problematico, cioè delle sofferenze. La recessione deprime investimenti e acquisti di beni durevoli e la domanda di credito è in calo. Il rimedio invocato è procedere senza indugio nelle riforme strutturali al fine di recuperare in competitività, rendere più attrattivi gli investimenti nel nostro Paese e allineare il nostro sistema ai livelli di chi ha maggior successo nella competizione internazionale con tassi di occupazione crescenti anziché in calo».
Più in particolare quale percezione ha raccolto verso il nostro Paese e le sue banche?
«La caduta dello spread e i rendimenti dei titoli di Stato a 12 mesi scesi dal 6% allo 0,9% parlano in un certo senso da soli. Ho raccolto grandi apprezzamenti per il lavoro fatto e il riavvio strutturale del Paese. Ho incontrato tutti i ceo delle grandi banche internazionali e il feedback è molto positivo. Non posso né voglio omettere che lo è in particolare anche nei confronti della nostra banca, che presenta un core tier 1 pari all'11,1%, il più elevato fra le grandi banche italiane e che ha già superato del 10% i target "vecchi" e più stringenti di Basilea 3 sulla liquidità».
Il caso Montepaschi non ha incrinato la ritrovata fiducia?
«No perché anche la conoscenza ovviamente limitata dei fatti indica che non c'è alcunché di sistemico. È un fatto isolato, frutto di valutazioni individuali, diciamo poco avvedute. Ci sono state decisioni che lasciano aperti interrogativi sulla valutazione di Antonveneta o su scelte di portafoglio indirizzate verso Btp di lunga durata (si pensi solo che la durata media dei nostri investimenti in titoli di Stato è 18 mesi). Si tratta dunque di scelte individuali. Non si può inferire che siamo in presenza di comportamenti diffusi».
Nessun rischio di contagio per il sistema italiano?
«Assolutamente no. Lo ripeto: è un caso isolato sul quale per varie ragioni si sono costruiti giudizi del tutto infondati».
Si riferisce alle critiche sulla vigilanza?
«Senza dubbio la nostra ha una reputazione di una Vigilanza rigorosa, severa, qualificata, anche più di altri Paesi. Più rigorosa nel determinare parametri e più severa nel condurre le ispezioni. È una reputazione di alta professionalità più che acquisita e consolidata a livello internazionale. Se poi una banca, in questo caso il Montepaschi, non fornisce documenti essenziali la Vigilanza non dispone dei poteri, che invece ha la magistratura con la quale Via Nazionale con la quale Via Nazionale collabora attivamente, per entrare nelle casseforti "segrete". Non si capisce dunque su quali basi possano poggiare ipotesi di responsabilità della vigilanza».
Più comprensibili sono ipotesi di responsabilità politica?
«Ammesso e non concesso ci siano pressioni, richieste inopportune, la responsabilità è personale del manager. Può dire di no e andarsene. A questo proposito ritengo improprie le critiche generalizzate alle fondazioni. Sono azionisti come tutti gli altri, che hanno accompagnato la crescita del sistema. Si fa poi un vero salto logico se le si accomuna tutte. Per quanto riguarda le fondazioni nostre azioniste, il peso dell'investimento in Intesa Sanpaolo sul loro patrimonio è ben diverso da quello che ritroviamo nella Fondazione senese, che rappresenta un caso atipico».
Fatto sta che lo Stato deve intervenire ancora, e i Monti bond sono stati oggetto di critiche aspre.
«Quando si dice che l'Imu serve a salvare il Montepaschi si fa un collegamento assolutamente improprio a metà fra assenza di logica e disonestà intellettuale. Come cittadino mi indigno e irrito se si abusa della buona fede degli elettori. La verità è che con i Monti bond vengono tutelati i risparmiatori e l'economia reale: se si bloccasse il Montepaschi allora sì ci sarebbe un rischio sistemico. E diciamo anche che chi grida all'ingerenza dello Stato "trascura" almeno due fatti importanti: l'intervento è temporaneo e nel nostro Paese gli importi impiegati a sostegno delle banche sono trascurabili, sicuramente i meno rilevanti a livello di Europa continentale e non solo».
Il caso Siena dimostra una volta di più il rischio derivati?
«Anche qui circolano delle valutazioni improprie. Gli abusi fanno dimenticare qualche volta che speculazione e derivati sono essenziali per il funzionamento dell'economia reale e per l'operatività di qualsiasi azienda: per esempio un'impresa che esporta si deve ricoprire rispetto a rischi come quello di cambio ed è indispensabile che a fronte di queste coperture ci sia qualcuno che "speculi" per eliminare il rischio dell'azienda. Ma le medicine, come la penicillina, possono curare o, in caso di abuso, ottenere l'effetto contrario. Se si utilizzano i derivati per nascondere la verità e "truccare" i bilanci siamo di fronte all'abuso, che va combattuto con le regole, la vigilanza e anche l'etica professionale. Di nuovo abbiamo dunque bisogno di una visione corretta, che non sia fuorviante e da caccia alle streghe».
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