Articolo di Antonino Leone pubblicato su Sistemi&Impresa n. 9 dicembre 2012
La crisi economica dell’Italia è arrivata ad un livello molto grave con gravi ripercussioni sulle imprese, sulla occupazione e sui conti pubblici caratterizzati da un debito pubblico molto alto che supera il 120% del Pil. Inoltre, l’Italia si trova ad affrontare due problemi: il contenimento della spesa pubblica per non incrementare il debito pubblico e la necessità di effettuare investimenti e riforme in un momento in cui le risorse finanziarie sono scarse. Discutiamo di questi problemi con Alberto Forchielli, esperto di management e profondo conoscitore dei mercati asiatici.
Quali sono state le cause principali della crisi finanziaria? L’opacità e la corruzione hanno giocato un ruolo determinante?
La crisi finanziaria è esplosa ormai da 4 anni, anche se covava da tempo. Purtroppo sono rimasti inascoltati gli appelli degli economisti più avvertiti. Quando il fallimento della Lehman Brothers ha innescato il contagio e la paura, l’attenzione si è indirizzata verso Wall Street. È lì che bisogna guardare – geograficamente e analiticamente – per capirne la genesi. Questo ha dato forza alle ragioni della Cina che vede nella crisi un fattore destabilizzante con un’origine nazionale: essa è nata a New York e non a Pechino, alla Borsa più potente al mondo e non in quelle ancora marginali di Shanghai e Shenzhen. Sul banco degli accusati sono apparsi gli stessi attori che per anni erano stati celebrati nel trionfo del liberismo: la finanza deregolamentata, la cessione di sovranità dalla politica all’economia, gli enormi flussi di denaro che si muovono fuori dal controllo statale.
Se tuttavia Pechino può ritenersi fuori dal bersaglio delle critiche dirette, la sua responsabilità indiretta non è marginale. L’opacità e la corruzione del suo sistema economico hanno alimentato una crescita quantitativa e disequilibrata. Per anni la Cina ha tratto vantaggio da un sistema sbilanciato. I risparmi eccessivi, quasi ossessivi, della sua popolazione hanno finanziato i debiti pubblici delle nazioni più ricche, in primis gli Stati Uniti. Il gigante asiatico è stato impegnato per anni in una gigantesca attività industriale la cui conclusione si ripercuoteva sulle esportazioni. I consumi statunitensi si rispecchiavano nella manifattura cinese: erano questi i principali traini dell’economia mondiale.
Il loro rapporto era tuttavia contraddittorio e l’esplosione della crisi lo ha certificato. È vero che l’innesco è stato dato allo scoppio della bolla immobiliare americana, ma i disequilibri erano già presenti. Gli economisti che li evidenziavano sono stati delle Cassandre: capivano il futuro, mettevano in guardia, rimanevano inascoltate. Fino a quando la crisi è esplosa con virulenza, con le conseguenze che conosciamo e che ancora non lasciano intravedere soluzione.
La Cina deve ora uscire da un paradosso economico, dove i risparmi dei suoi contadini poveri finanziano i consumi della middle class americana. Può farlo dando fiato ai propri consumi, trascurati per anni in nome della produzione e dell’export. Si tratta tuttavia di un percorso non facile, irto di resistenze politiche e di atteggiamenti consolidati. Per questo l’intervento del Governo è essenziale. Mettere in campo risorse pubbliche per aiutare i consumi è decisivo, così come dimostrato dal gigantesco stimolo fiscale messo in atto nel 2009 per rilanciare un’economia asfittica, penalizzata dal calo delle esportazioni mondiali. Riduzione delle tasse all’acquisto di beni durevoli, sconti per i beni durevoli (elettrodomestici, automobili), tassi di interesse favorevoli per l’accesso al credito sono stati i veicoli per compensare la flessione dell’export con i consumi interni. Questa manovra è ora probabilmente da duplicare, anche se la sua grandezza non potrà essere ugualmente massiccia.
La crisi finanziaria ha fatto emergere la debolezza dell’Europa ed i ritardi rispetto alla velocità dei mercati e del contagio. Quali scelte l’Europa deve effettuare per contrastare in modo efficace la recessione ed avviare la crescita?
Le scelte dell’Europa sono semplici da enunciare ma complesse da realizzare: maggiore integrazione, sussidiarietà e non solo egoismo dei singoli stati, ripresa economica guidata da leader di visione e non attenti ai propri interessi nazionali.
Il contagio della crisi finanziaria in quali condizioni ha trovato l’Italia?
La crisi ha rivelato con brutalità forse eccessiva le debolezze dell’Italia: mancanza di una politica industriale, un governo inadeguato, una mentalità provinciale, un sistema produttivo ancora sbilanciato sui settori maturi.
Senza le manovre economiche del Governo Monti l’Italia avrebbe rischiato il default?
Sì. La situazione era veramente drammatica. Forse il default sarebbe stata una misura estrema, ma un peggioramento ancora più marcato della situazione generale era nell’ordine delle cose.
Il superamento della crisi in Italia non può più essere affidata alle ricette del passato: inflazione competitiva, stampa della carta moneta, aumento dell’indebitamento. L’Italia per uscire dalla crisi ed avviare la crescita quali strumenti deve utilizzare, considerato che alcuni economisti propendono per la spesa pubblica ed altri per il rigore?
Deve conciliare incentivi alla ripresa e rispetto del rigore. Questa combinazione è possibile; il vero problema è rappresentato dal troppo tempo trascorso senza che si sia dato luogo alle riforme importanti. Ora potrebbe essere troppo tardi.
L’Italia ha bisogno di risorse da investire nel paese al fine di creare nuova ricchezza ed occupazione. Quali cambiamenti ritiene necessari per attrarre gli investimenti esteri e per introitare le risorse potenziali rappresentate dall’evasione fiscale e dalla corruzione?
Per non essere un elenco di buoni propositi, la lista delle cose da fare deve essere considerata ineludibile. Per attrarre gli investimenti esteri (dato che le opportunità esistono nel nostro paese per gli investitori internazionali) bisogna controllare il territorio, snellire la burocrazia, ridurre la corruzione. Si tratta di misure amministrative, non di concessione di vantaggi economici.
Ritiene che le relazioni economiche e commerciali tra la Cina e l'Italia possano intensificarsi e la Cina possa aumentare i livelli di investimenti in Italia?
Senz'altro e la crisi dell'euro in riduzione aumenterà gli investimenti cinesi che erano in fase di stallo.
I mercati e le economie sviluppate ed emergenti pongono particolare attenzione al dopo Monti?
Non c’è dubbio. Monti è considerato in grado di garantire autorevolezza sui mercati internazionali e stabilità sul versante interno.
Quali fattori prettamente italiani bisogna superare o eliminare al fine di adattare il sistema Italia a quello globale per renderlo competitivo?
Anche in questo caso l’elenco delle cose da fare, per non essere ripetitivo, va considerato cogente: investire nell’istruzione, rimuovere gli interessi di gruppi e di lobby, premiare il merito, far rispettare le leggi.
Le imprese, particolarmente quelle piccole e medie, cosa devono fare e come possono essere sostenute per superare il rischio della sopravvivenza?
Devono comprendere che rimanere piccole è un rischio, un’operazione a volte anche dolorosa. Nella globalizzazione, il pericolo di rimanere fagocitate da aziende di dimensioni e muscoli più forti è automatico. Per questo sono obbligate ad anticipare i temi della concorrenza, oppure a unirsi in aziende più grandi che diano loro sufficiente forza e stabilità.
Chi è Alberto Forchielli
Alberto Forchielli è Fondatore, Partner, Amministratore Delegato, Membro dell’Investment Committee e Consigliere di Amministrazione di Mandarin Capital Partners. Fondatore e Presidente di Osservatorio Asia, un centro di ricerche non profit focalizzato sull’Asia. Fondatore e Presidente di Cleantech srl, società attiva nell’ambito delle energie rinnovabili con particolare attenzione allo sviluppo e gestione di grandi impianti solari. Forchielli è esperto nello sviluppo di affari internazionali, in particolare di Cina ed India, grazie alle proprie abilità strategiche basate su un’esperienza di 30 anni. Da luglio 2012 è Direttore del Consiglio Direttivo di CEIBS (China Europe International Business School) a Shanghai. Attualmente si occupa del lancio settimanale “Taccuino da Shanghai”, pubblicato su Radiocor Il Sole 24 Ore.
Bolognese, nel proprio background operativo, vanta esperienze pluriennali di lavoro e di vita in diverse parti del mondo: Singapore con Finmeccanica, Washington con la Banca Mondiale, Lussemburgo con la Banca Europea degli Investimenti, Roma con il Gruppo IRI, Torino, Boston e Londra, Santiago e Lima con il Mac Group, Hong Kong e Shanghai con Mandarin Capital Partners.
Se tuttavia Pechino può ritenersi fuori dal bersaglio delle critiche dirette, la sua responsabilità indiretta non è marginale. L’opacità e la corruzione del suo sistema economico hanno alimentato una crescita quantitativa e disequilibrata. Per anni la Cina ha tratto vantaggio da un sistema sbilanciato. I risparmi eccessivi, quasi ossessivi, della sua popolazione hanno finanziato i debiti pubblici delle nazioni più ricche, in primis gli Stati Uniti. Il gigante asiatico è stato impegnato per anni in una gigantesca attività industriale la cui conclusione si ripercuoteva sulle esportazioni. I consumi statunitensi si rispecchiavano nella manifattura cinese: erano questi i principali traini dell’economia mondiale.
Il loro rapporto era tuttavia contraddittorio e l’esplosione della crisi lo ha certificato. È vero che l’innesco è stato dato allo scoppio della bolla immobiliare americana, ma i disequilibri erano già presenti. Gli economisti che li evidenziavano sono stati delle Cassandre: capivano il futuro, mettevano in guardia, rimanevano inascoltate. Fino a quando la crisi è esplosa con virulenza, con le conseguenze che conosciamo e che ancora non lasciano intravedere soluzione.
La Cina deve ora uscire da un paradosso economico, dove i risparmi dei suoi contadini poveri finanziano i consumi della middle class americana. Può farlo dando fiato ai propri consumi, trascurati per anni in nome della produzione e dell’export. Si tratta tuttavia di un percorso non facile, irto di resistenze politiche e di atteggiamenti consolidati. Per questo l’intervento del Governo è essenziale. Mettere in campo risorse pubbliche per aiutare i consumi è decisivo, così come dimostrato dal gigantesco stimolo fiscale messo in atto nel 2009 per rilanciare un’economia asfittica, penalizzata dal calo delle esportazioni mondiali. Riduzione delle tasse all’acquisto di beni durevoli, sconti per i beni durevoli (elettrodomestici, automobili), tassi di interesse favorevoli per l’accesso al credito sono stati i veicoli per compensare la flessione dell’export con i consumi interni. Questa manovra è ora probabilmente da duplicare, anche se la sua grandezza non potrà essere ugualmente massiccia.
La crisi finanziaria ha fatto emergere la debolezza dell’Europa ed i ritardi rispetto alla velocità dei mercati e del contagio. Quali scelte l’Europa deve effettuare per contrastare in modo efficace la recessione ed avviare la crescita?
Le scelte dell’Europa sono semplici da enunciare ma complesse da realizzare: maggiore integrazione, sussidiarietà e non solo egoismo dei singoli stati, ripresa economica guidata da leader di visione e non attenti ai propri interessi nazionali.
Il contagio della crisi finanziaria in quali condizioni ha trovato l’Italia?
La crisi ha rivelato con brutalità forse eccessiva le debolezze dell’Italia: mancanza di una politica industriale, un governo inadeguato, una mentalità provinciale, un sistema produttivo ancora sbilanciato sui settori maturi.
Senza le manovre economiche del Governo Monti l’Italia avrebbe rischiato il default?
Sì. La situazione era veramente drammatica. Forse il default sarebbe stata una misura estrema, ma un peggioramento ancora più marcato della situazione generale era nell’ordine delle cose.
Il superamento della crisi in Italia non può più essere affidata alle ricette del passato: inflazione competitiva, stampa della carta moneta, aumento dell’indebitamento. L’Italia per uscire dalla crisi ed avviare la crescita quali strumenti deve utilizzare, considerato che alcuni economisti propendono per la spesa pubblica ed altri per il rigore?
Deve conciliare incentivi alla ripresa e rispetto del rigore. Questa combinazione è possibile; il vero problema è rappresentato dal troppo tempo trascorso senza che si sia dato luogo alle riforme importanti. Ora potrebbe essere troppo tardi.
L’Italia ha bisogno di risorse da investire nel paese al fine di creare nuova ricchezza ed occupazione. Quali cambiamenti ritiene necessari per attrarre gli investimenti esteri e per introitare le risorse potenziali rappresentate dall’evasione fiscale e dalla corruzione?
Per non essere un elenco di buoni propositi, la lista delle cose da fare deve essere considerata ineludibile. Per attrarre gli investimenti esteri (dato che le opportunità esistono nel nostro paese per gli investitori internazionali) bisogna controllare il territorio, snellire la burocrazia, ridurre la corruzione. Si tratta di misure amministrative, non di concessione di vantaggi economici.
Ritiene che le relazioni economiche e commerciali tra la Cina e l'Italia possano intensificarsi e la Cina possa aumentare i livelli di investimenti in Italia?
Senz'altro e la crisi dell'euro in riduzione aumenterà gli investimenti cinesi che erano in fase di stallo.
I mercati e le economie sviluppate ed emergenti pongono particolare attenzione al dopo Monti?
Non c’è dubbio. Monti è considerato in grado di garantire autorevolezza sui mercati internazionali e stabilità sul versante interno.
Quali fattori prettamente italiani bisogna superare o eliminare al fine di adattare il sistema Italia a quello globale per renderlo competitivo?
Anche in questo caso l’elenco delle cose da fare, per non essere ripetitivo, va considerato cogente: investire nell’istruzione, rimuovere gli interessi di gruppi e di lobby, premiare il merito, far rispettare le leggi.
Le imprese, particolarmente quelle piccole e medie, cosa devono fare e come possono essere sostenute per superare il rischio della sopravvivenza?
Devono comprendere che rimanere piccole è un rischio, un’operazione a volte anche dolorosa. Nella globalizzazione, il pericolo di rimanere fagocitate da aziende di dimensioni e muscoli più forti è automatico. Per questo sono obbligate ad anticipare i temi della concorrenza, oppure a unirsi in aziende più grandi che diano loro sufficiente forza e stabilità.
Chi è Alberto Forchielli
Alberto Forchielli è Fondatore, Partner, Amministratore Delegato, Membro dell’Investment Committee e Consigliere di Amministrazione di Mandarin Capital Partners. Fondatore e Presidente di Osservatorio Asia, un centro di ricerche non profit focalizzato sull’Asia. Fondatore e Presidente di Cleantech srl, società attiva nell’ambito delle energie rinnovabili con particolare attenzione allo sviluppo e gestione di grandi impianti solari. Forchielli è esperto nello sviluppo di affari internazionali, in particolare di Cina ed India, grazie alle proprie abilità strategiche basate su un’esperienza di 30 anni. Da luglio 2012 è Direttore del Consiglio Direttivo di CEIBS (China Europe International Business School) a Shanghai. Attualmente si occupa del lancio settimanale “Taccuino da Shanghai”, pubblicato su Radiocor Il Sole 24 Ore.
Bolognese, nel proprio background operativo, vanta esperienze pluriennali di lavoro e di vita in diverse parti del mondo: Singapore con Finmeccanica, Washington con la Banca Mondiale, Lussemburgo con la Banca Europea degli Investimenti, Roma con il Gruppo IRI, Torino, Boston e Londra, Santiago e Lima con il Mac Group, Hong Kong e Shanghai con Mandarin Capital Partners.
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