Ricominciare daccapo. Ma «senza totem, senza ideologismi da parte di nessuno», dice Walter Veltroni. Ripartire non significa certo fermarsi: «La nuova frontiera della sinistra e dei democratici è dare una risposta a 15 milioni di lavoratori che l`articolo 18 non l`hanno mai incrociato, che vivono nell`angoscia disperante dell`incertezza. Per loro il licenziamento discriminatorio esiste eccome.
Per questo c`è bisogno che la discussione riparta su basi nuove e con responsabilità da parte di tutti», ricorda l`ex segretario del Pd.
Perché c`è stata una falsa partenza sulla riforma del lavoro?
«È una discussione che riguarda la condizioni di vita di milioni di italiani, ancora più delicata in un momento di crisi. Per questo non credo sia stato utile cominciare a parlarne adesso e parlarne a partire dall`articolo 18, anche se condivido molte delle idee espresse da Elsa Fornero. Ugualmente penso non siano giustificabili le reazioni così aspre e personalizzate ascoltate in questi giorni contro il ministro».
L`articolo 18 si può cancellare?
«Ripartenza vuol dire invertire la scala delle priorità. Si può discutere della norma sulla giusta causa ma non cominciando da essa. Vanno prima stabiliti alcuni principi. Il primo è la concertazione. Una materia come il lavoro va affrontata in uno spirito di collaborazione con le forze sindacali e sociali.
Direi che è un obbligo civile».
Così sembra scontato uno stop. «Non penso. Il secondo principio è che il confronto avvenga senza tabù e senza totem, fuori da ogni ideologia. Va preso di petto il tema che fu al centro della campagna elettorale del Pd nel 2008: l`intollerabile ingiustizia sociale della precarietà. Da qui si parte. Come estendere garanzie e sicurezza a quei milioni di cittadini che vivo- neutralizzare la decisione, allora è no senza certezza di futuro. Dal governo e dai sindacati perciò ci si deve aspettare, quando sederanno al tavolo della concertazione, una risposta chiara alla domanda:
quali soluzioni propongono per eliminare la discriminazione sociale che divide a metà il mondo del lavoro?».
Il tema sotto riflettori oggi è l`articolo 18. «Un conto è il dibattito sui giornali, un altro è la discussione sul vero, drammatico, problema: la lotta alla precarietà. L`articolo 18 semmai deve arrivare alla fine del percorso. A quel punto si vedrà se è uno strumento utile o meno.
Faccio notare, però, che anche con la legge vigente si producono licenziamenti come a Termini Imerese. E con l`articolo 18 vigente è probabile che 800 mila persone nel 2012 vadano a casa».
La riforma del lavoro non andrebbe affrontata da un governo eletto? «Non ho capito se, ancora, nel dibattito pubblico fanno tutti i furbi. Siamo in una situazione Medita, eccezionale, il tracollo era a un passo e non è detto che ne siamo completamente fuori. L`intervento di Napolitano martedì ha avuto accenti storici. È stato giusto richiamare tutti a un`urgenza drammatica. In questa urgenza ci sta anche l`innovazione di cui il Paese ha bisogno. Compresa quella del mondo del lavoro. Non abbiamo più mesi o anni se vogliamo far crescere il paese. E trovare il lavoro che non c`è e produrre la ricchezza di cui l`Italia ha bisogno. Perché è questa l`urgenza drammatica di oggi.
Non pare che Monti sia favorevole alla concertazione. «Non è vero, credo pensi, a ragione, che su una materia come questa la concertazione è un dovere.
Ho fatto tavoli di concertazione a decine nella mia vita. Se il tavolo è finalizzato a decidere è un tavolo che funziona. Se serve a un guaio. Il governo si deve preparare al confronto senza pregiudizi.
Ma il sindacato tutto non può non porsi la questione di milioni di lavoratori che non sono rappresentanti dal sindacato e nel sindacato.
Non può non considerare questa sfida decisiva. Ho molta fiducia nelle organizzazioni dei lavoratori e spero che la nuova unità produca pensieri di lungo periodo».
Il Pd è destinato a spaccarsi sulla riforma? Subirà la pressione della Cgil? «La sinistra italiana è specialista nel trovare icone ideologiche sulle quali dividersi. La mia formazione è diversa, preferisco puntare a soluzioni sociali e valoriali capaci di modernizzare il Paese. Possiamo affrontare solo il punto dell`articolo 18, se vogliamo continuare a dividerci. Oppure si può discutere nel complesso di una riforma. Le ipotesi sono tante: quella di Ichino, quella di Boeri e Garibaldi, la proposta di far pagare di più un`ora lavorata da precario. Valutiamole.
Ma il punto è favorire l`integrazione dei precari in un mondo del lavoro uguale per tutti. È la battaglia del Duemila, paragonabile alle 8 ore. Nel `99 proposi il passaggio dal retributivo al contributivo nel sistema previdenziale. La Cgil di Cofferati era d`accordo, Rifondazione mise il veto e ci sono voluti 12 anni per arrivare al traguardo. Non possiamo più permetterci questi tempi lunghi».
quali soluzioni propongono per eliminare la discriminazione sociale che divide a metà il mondo del lavoro?».
Il tema sotto riflettori oggi è l`articolo 18. «Un conto è il dibattito sui giornali, un altro è la discussione sul vero, drammatico, problema: la lotta alla precarietà. L`articolo 18 semmai deve arrivare alla fine del percorso. A quel punto si vedrà se è uno strumento utile o meno.
Faccio notare, però, che anche con la legge vigente si producono licenziamenti come a Termini Imerese. E con l`articolo 18 vigente è probabile che 800 mila persone nel 2012 vadano a casa».
La riforma del lavoro non andrebbe affrontata da un governo eletto? «Non ho capito se, ancora, nel dibattito pubblico fanno tutti i furbi. Siamo in una situazione Medita, eccezionale, il tracollo era a un passo e non è detto che ne siamo completamente fuori. L`intervento di Napolitano martedì ha avuto accenti storici. È stato giusto richiamare tutti a un`urgenza drammatica. In questa urgenza ci sta anche l`innovazione di cui il Paese ha bisogno. Compresa quella del mondo del lavoro. Non abbiamo più mesi o anni se vogliamo far crescere il paese. E trovare il lavoro che non c`è e produrre la ricchezza di cui l`Italia ha bisogno. Perché è questa l`urgenza drammatica di oggi.
Non pare che Monti sia favorevole alla concertazione. «Non è vero, credo pensi, a ragione, che su una materia come questa la concertazione è un dovere.
Ho fatto tavoli di concertazione a decine nella mia vita. Se il tavolo è finalizzato a decidere è un tavolo che funziona. Se serve a un guaio. Il governo si deve preparare al confronto senza pregiudizi.
Ma il sindacato tutto non può non porsi la questione di milioni di lavoratori che non sono rappresentanti dal sindacato e nel sindacato.
Non può non considerare questa sfida decisiva. Ho molta fiducia nelle organizzazioni dei lavoratori e spero che la nuova unità produca pensieri di lungo periodo».
Il Pd è destinato a spaccarsi sulla riforma? Subirà la pressione della Cgil? «La sinistra italiana è specialista nel trovare icone ideologiche sulle quali dividersi. La mia formazione è diversa, preferisco puntare a soluzioni sociali e valoriali capaci di modernizzare il Paese. Possiamo affrontare solo il punto dell`articolo 18, se vogliamo continuare a dividerci. Oppure si può discutere nel complesso di una riforma. Le ipotesi sono tante: quella di Ichino, quella di Boeri e Garibaldi, la proposta di far pagare di più un`ora lavorata da precario. Valutiamole.
Ma il punto è favorire l`integrazione dei precari in un mondo del lavoro uguale per tutti. È la battaglia del Duemila, paragonabile alle 8 ore. Nel `99 proposi il passaggio dal retributivo al contributivo nel sistema previdenziale. La Cgil di Cofferati era d`accordo, Rifondazione mise il veto e ci sono voluti 12 anni per arrivare al traguardo. Non possiamo più permetterci questi tempi lunghi».
Nessun commento:
Posta un commento