Non so se il governo ha capito che l‘articolo 18 non ha alcuna influenza sull'occupazione e l'arrivo di investimenti esteri qui in Italia. Forse quando aprirà il tavolo di confronto con le forze sociali se ne renderà conto». E poi gli sfugge un sorriso amaro. «Assurda, la trovo una discussione assurda. Si parla di questo per non parlare del problema vero». Un grande piano per le politiche del lavoro, questo è il problema, per Franco Marini (ex ministro del Lavoro nonché segretario della Cisl a metà degli anni Ottanta), che ieri leggendo le dichiarazioni di leader politici, sindacali e ministri, ci ha tenuto a mettere qualche paletto.
Presidente, discussione inutile o ideologica quella sull'articolo 18?
«Io non ho difficoltà ad aprire una discussione sul mercato del lavoro, ma facciamola partendo dalle reali necessità. La trattativa sulle politiche del lavoro va fatta con grande serietà e pragmatismo perché è un punto rilevante per la possibilità di rilanciare la crescita della produttività del lavoro, una delle ragioni del ristagno dell'economia italiana e una delle cause per cui non arrivano investimenti stranieri. Ed è normale che un governo chiamato in carica per battere la decadenza economica del Paese si ponga il problema».
Che secondo lei non è l'articolo 18.
«Non è l'articolo 18 non perché sono io a sostenerlo: quell'articolo tutela il singolo lavoratore nelle aziende con più di 15 dipendenti e non c'entra niente con i licenziamenti e le riduzioni di personale legati a crisi economiche e ristrutturazioni delle stesse. L'articolo 18 di cui tanto si discute ha un unico limite: quello di essere stato caricato di forte valenza ideologica e oggi qualcuno fa finta di dimenticare che è mirato a tutelare i licenziamenti individuali. In questi giorni mi sono documentato su quanti lavoratori si sono rivolti alla magistratura per essere reintegrati proprio sulla base dell'articolo 18. Sa quanti sono stati nel 2010? Meno di mille. Le sembra questo il problema?».
Da dove dovrebbe iniziare il governo per riformare il mercato del lavoro, allora?
«Si dovrebbe integrare il percorso delle crisi aziendali e gli esuberi previsti dalla legge 223 del 1991».
Una legge che porta la sua firma...
«Per fare quella legge condussi da ministro del Lavoro una difficile trattativa con i sindacati e con Confindustria e trovai un punto di equilibrio. Prima di allora la cassintegrazione aveva di fatto una durata illimitata. Io convocai Confindustria e fui chiaro: "mettiamo un tetto alla cig, introduciamo la mobilità con la quale si rescinde il rapporto di lavoro, ma voi dovete accettare le condizioni di questa legge". E la 223 in tutti questi anni ha consentito di gestire le crisi di medie e grandi aziende senza mai obiezione alcuna né dei sindacati né dei datori di lavoro. Ha funzionato bene, con il limite che si rivolge solo ad aziende con più di 15 dipendenti».
La ministra Fornero è tornata a parlare del contratto unico.
«È evidente che oggi occorre una riforma che allarghi la copertura degli ammortizzatori sociali ai lavoratori senza alcuna garanzie e allenti la rigidità in uscita. In Senato il Pd ha depositato due proposte sul contratto unico: una è quella di Ichino e una porta la prima firma di Nerozzi. Io mi ritrovo molto in questa ultima che prevede una fase di ingresso nel lavoro di tre anni durante i quali il contratto può anche risolversi, ma dopo i quali scatta il tempo indeterminato e con esso l'applicazione dell'articolo 18 ai vecchi e ai nuovi contrattualizzati. E questa è la differenza tra la proposta Nerozzi e quella Ichino, che invece fa una distinzione».
Fabrizio Cicchitto, Pdl, sostiene che a chiedere di rivedere l'articolo 18 è la Ue.
«Ma che vuol dire? Lo sa, visto che si prende sempre la Germania ad esempio, che lì c'è una legislazione molto simile al nostro articolo 18? In Germania il datore di lavoro può licenziare per giusta causa ma poi davanti al giudice la deve dimostrare la giusta causa, altrimenti il lavoratore viene reintegrato».
Marini però non è che bisogna andare nel Pdl per trovare i sostenitori della revisione dell'articolo 18. Anche nel Pd ce ne sono, a partire da Ichino, appunto. Dicono che non può essere un tabù.
«I tabù non piacciono neanche a me ed è naturale che nel Pd su cose di questo rilievo si discuta. L'ostacolo per la ripresa non è l'articolo 18 ma la eccessiva incertezza connessa alla spaccatura del mercato del lavoro. Completiamo la 223, poniamo fine a questa irragionevole frammentazione dei contratti che è diventata uno strumento per evitare, anche quando ci sono le condizioni per farlo, l'assunzione a tempo indeterminato».
Lei in un'intervista all'Unità lo scorso agosto invocava l'unione dei sindacati, che è arrivata oggi "grazie" alla manovra. Qualcuno l'ha definito un miracolo di Monti.
«I miracoli risolvono i problemi e qui mi sembra che non ci siamo ancora. Certo, vedere le tre sigle confederali muoversi insieme mi fa un grande piacere. Capisco chi parla, in polemica con il governo, di miracolo di Monti, però anche i sindacati...».
Se la prende con Cgil, Cisl e Uil?
«No, non me la prendo con loro, ma quando dicono no al contratto unico poi hanno il dovere di andare al tavolo della trattativa per dire quale è la loro proposta per superare la spaccatura del mercato del lavoro».
Da dove dovrebbe iniziare il governo per riformare il mercato del lavoro, allora?
«Si dovrebbe integrare il percorso delle crisi aziendali e gli esuberi previsti dalla legge 223 del 1991».
Una legge che porta la sua firma...
«Per fare quella legge condussi da ministro del Lavoro una difficile trattativa con i sindacati e con Confindustria e trovai un punto di equilibrio. Prima di allora la cassintegrazione aveva di fatto una durata illimitata. Io convocai Confindustria e fui chiaro: "mettiamo un tetto alla cig, introduciamo la mobilità con la quale si rescinde il rapporto di lavoro, ma voi dovete accettare le condizioni di questa legge". E la 223 in tutti questi anni ha consentito di gestire le crisi di medie e grandi aziende senza mai obiezione alcuna né dei sindacati né dei datori di lavoro. Ha funzionato bene, con il limite che si rivolge solo ad aziende con più di 15 dipendenti».
La ministra Fornero è tornata a parlare del contratto unico.
«È evidente che oggi occorre una riforma che allarghi la copertura degli ammortizzatori sociali ai lavoratori senza alcuna garanzie e allenti la rigidità in uscita. In Senato il Pd ha depositato due proposte sul contratto unico: una è quella di Ichino e una porta la prima firma di Nerozzi. Io mi ritrovo molto in questa ultima che prevede una fase di ingresso nel lavoro di tre anni durante i quali il contratto può anche risolversi, ma dopo i quali scatta il tempo indeterminato e con esso l'applicazione dell'articolo 18 ai vecchi e ai nuovi contrattualizzati. E questa è la differenza tra la proposta Nerozzi e quella Ichino, che invece fa una distinzione».
Fabrizio Cicchitto, Pdl, sostiene che a chiedere di rivedere l'articolo 18 è la Ue.
«Ma che vuol dire? Lo sa, visto che si prende sempre la Germania ad esempio, che lì c'è una legislazione molto simile al nostro articolo 18? In Germania il datore di lavoro può licenziare per giusta causa ma poi davanti al giudice la deve dimostrare la giusta causa, altrimenti il lavoratore viene reintegrato».
Marini però non è che bisogna andare nel Pdl per trovare i sostenitori della revisione dell'articolo 18. Anche nel Pd ce ne sono, a partire da Ichino, appunto. Dicono che non può essere un tabù.
«I tabù non piacciono neanche a me ed è naturale che nel Pd su cose di questo rilievo si discuta. L'ostacolo per la ripresa non è l'articolo 18 ma la eccessiva incertezza connessa alla spaccatura del mercato del lavoro. Completiamo la 223, poniamo fine a questa irragionevole frammentazione dei contratti che è diventata uno strumento per evitare, anche quando ci sono le condizioni per farlo, l'assunzione a tempo indeterminato».
Lei in un'intervista all'Unità lo scorso agosto invocava l'unione dei sindacati, che è arrivata oggi "grazie" alla manovra. Qualcuno l'ha definito un miracolo di Monti.
«I miracoli risolvono i problemi e qui mi sembra che non ci siamo ancora. Certo, vedere le tre sigle confederali muoversi insieme mi fa un grande piacere. Capisco chi parla, in polemica con il governo, di miracolo di Monti, però anche i sindacati...».
Se la prende con Cgil, Cisl e Uil?
«No, non me la prendo con loro, ma quando dicono no al contratto unico poi hanno il dovere di andare al tavolo della trattativa per dire quale è la loro proposta per superare la spaccatura del mercato del lavoro».
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