Quella del Governo Berlusconi è una manovra di lungo termine che interessa più anni ed interviene in misura pesante nel 2013 e 2014. L’obiettivo imposto dall’Europa è quello di pervenire al 2014 con un bilancio in pareggio e l’annullamento del debito pubblico.
Trattandosi di un piano pluriennale occorreva intervenire con misure equamente distribuite negli anni interessati dalla manovra e con riforme strutturali che consentissero di eliminare il moltiplicarsi della spesa pubblica che continua a crescere senza controllo nelle parti in cui si annidano gli sprechi, le distorsioni ed i doppioni.
Ancora una volta si è scelta la strada più facile dei tagli indiscriminati della spesa pubblica: autonomie locali, sanità, pensioni, lavoro, scuola, assistenza. Questi settori sono stati interessati da tagli negli anni precedenti e adesso riducono ulteriormente l’erogazione di servizi da parte dello Stato e delle Autonomie locali.
Cosi facendo il Governo non si è posto l’obiettivo di diminuire le disuguaglianze sociali, di sostenere la domanda di consumo da parte dei cittadini, i quali con l’attuale manovra diventano più poveri e, quindi, meno propensi al consumo ed al risparmio, e di affrontare il grave problema della sopravvivenza dei ceti più poveri e dell’impoverimento della classe media.
Una scelta facile che non impegna il Governo ad intervenire nel sistema paese con riforme strutturali che possano eliminare la spesa pubblica improduttiva che non crea valore, gli sprechi ed i privilegi e stabilizzare i centri di spesa finalizzati all’erogazione di servizi essenziali.
Durante il Governo Prodi il debito pubblico si era attestato al 105% del Pil ed in seguito il Governo Berlusconi la ricondotto al 120%.
Si assiste impunemente alla moltiplicazione di società, di comitati, di organi e di enti che accrescono la spesa pubblica in assenza di una seria valutazione dell’impatto di tali interventi sui bisogni dei cittadini.
Gli interventi sulla spesa pubblica principalmente sono di due tipi: - Comprimere i servizi pubblici essenziali per i cittadini nel modo, ormai conosciuto, in cui opera il Governo Berlusconi e limitare lo stato sociale; - Intervenire con riforme strutturali per migliorare il sistema, ridurre le disuguaglianze ed eliminare gli sprechi al fine di non abbassare la copertura che i ceti più deboli ricevono dai servizi pubblici essenziali.
Ritengo che un Governo responsabile, capace e sensibile ai bisogni dei cittadini sceglie la seconda soluzione.
Inoltre, la crisi non si affronta solo dalla parte della spesa ma anche con interventi finalizzati alla creazione della ricchezza, alla crescita e, quindi, sul Pil cosi come ha indicato Mario Monti in un editoriale del Corriere della Sera. “Nella politica economica del governo, afferma Mario Monti, anzi dei governi Berlusconi – in carica per 8 degli ultimi 10 anni e per 7 anni ispirata e guidata dal ministro Tremonti – sono sempre più evidenti i danni arrecati dal fatto che la grande, risoluta e indispensabile determinazione contabile non è stata e non è oggi ancorata ad alcuna strategia concreta e credibile di politica economica”.
Se l’Italia avesse conseguito un Pil annuale non inferiore al 2% aumenterebbero le risorse pubbliche e, quindi, si ridurrebbe il deficit del bilancio pubblico. Al contrario una bassa crescita non aiuta il sistema a risolvere i problemi sociali ed economici del paese.
Oggi sul Corriere della Sera Dario Di Vico individua alcuni segnali che lasciano presagire “una sorta di unità nazionale a geometria variabile”. Ritengo che questo auspicio per il bene dell’Italia al momento non è realizzabile in quanto manca l’oggetto di un impegno unitario rappresentato dalle riforme strutturali di cui il sistema paese ha bisogno. La manovra non si pone gli obiettivi di competitività, di produttività, di equità e di crescita.
Inoltre, l’intenzione della maggioranza di ripresentare con un emendamento il lodo Mondadori con efficacia retroattiva non facilità certamente la coesione politica tanto propugnata dal Presidente della Repubblica.
E’ importante ricordare che in Italia non vi è una ricchezza diffusa per cui i sacrifici possono essere sopportati indiscriminatamente da tutti i cittadini. In Italia la ricchezza è concentrata nelle mani di poche famiglie (il 10% delle famiglie detiene il 45% della ricchezza) e, pertanto, non è giusto che l’eliminazione del debito pubblico gravi su chi possiede livelli modesti o bassi di ricchezza.
Durante il Governo Prodi il debito pubblico si era attestato al 105% del Pil ed in seguito il Governo Berlusconi la ricondotto al 120%.
Si assiste impunemente alla moltiplicazione di società, di comitati, di organi e di enti che accrescono la spesa pubblica in assenza di una seria valutazione dell’impatto di tali interventi sui bisogni dei cittadini.
Gli interventi sulla spesa pubblica principalmente sono di due tipi: - Comprimere i servizi pubblici essenziali per i cittadini nel modo, ormai conosciuto, in cui opera il Governo Berlusconi e limitare lo stato sociale; - Intervenire con riforme strutturali per migliorare il sistema, ridurre le disuguaglianze ed eliminare gli sprechi al fine di non abbassare la copertura che i ceti più deboli ricevono dai servizi pubblici essenziali.
Ritengo che un Governo responsabile, capace e sensibile ai bisogni dei cittadini sceglie la seconda soluzione.
Inoltre, la crisi non si affronta solo dalla parte della spesa ma anche con interventi finalizzati alla creazione della ricchezza, alla crescita e, quindi, sul Pil cosi come ha indicato Mario Monti in un editoriale del Corriere della Sera. “Nella politica economica del governo, afferma Mario Monti, anzi dei governi Berlusconi – in carica per 8 degli ultimi 10 anni e per 7 anni ispirata e guidata dal ministro Tremonti – sono sempre più evidenti i danni arrecati dal fatto che la grande, risoluta e indispensabile determinazione contabile non è stata e non è oggi ancorata ad alcuna strategia concreta e credibile di politica economica”.
Se l’Italia avesse conseguito un Pil annuale non inferiore al 2% aumenterebbero le risorse pubbliche e, quindi, si ridurrebbe il deficit del bilancio pubblico. Al contrario una bassa crescita non aiuta il sistema a risolvere i problemi sociali ed economici del paese.
Oggi sul Corriere della Sera Dario Di Vico individua alcuni segnali che lasciano presagire “una sorta di unità nazionale a geometria variabile”. Ritengo che questo auspicio per il bene dell’Italia al momento non è realizzabile in quanto manca l’oggetto di un impegno unitario rappresentato dalle riforme strutturali di cui il sistema paese ha bisogno. La manovra non si pone gli obiettivi di competitività, di produttività, di equità e di crescita.
Inoltre, l’intenzione della maggioranza di ripresentare con un emendamento il lodo Mondadori con efficacia retroattiva non facilità certamente la coesione politica tanto propugnata dal Presidente della Repubblica.
E’ importante ricordare che in Italia non vi è una ricchezza diffusa per cui i sacrifici possono essere sopportati indiscriminatamente da tutti i cittadini. In Italia la ricchezza è concentrata nelle mani di poche famiglie (il 10% delle famiglie detiene il 45% della ricchezza) e, pertanto, non è giusto che l’eliminazione del debito pubblico gravi su chi possiede livelli modesti o bassi di ricchezza.
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