Una “casta” politica litigiosa, attenta solo a salvaguardare i propri privilegi, ha approvato la manovra economica in tempi rapidissimi.
Ma è un “miracolo a metà”, con un risvolto iniquo e vergognoso, che dà la misura della pochezza di questa classe politica. Si chiedono pesanti sacrifici ai cittadini, ma la politica non ci rimette un solo euro. L’amara medicina è solo per il Paese, non per il Palazzo. Lievi i tagli agli abnormi costi della politica. Per lo più simbolici o rinviati al futuro. Chi non assume, in prima persona, lo stesso fardello dei cittadini, non ha nessuna credibilità. È delegittimato.
In più, il miracolo è stato “dimezzato” dalla natura dei tagli, lineari e indistinti, che salva le caste e aumenta le disuguaglianze. Una“macelleria sociale” contro il ceto medio e le famiglie con figli. I “soliti noti”, che già pagano abbastanza. E che esclude, invece, chi può essere chiamato a maggiori sacrifici. Le famiglie si ritrovano, ancora una volta, nell’occhio del ciclone. Non è un bel segnale vedere “tagli indistinti” su tutte le agevolazioni fiscali per la famiglia: dagli asili nido ai mutui. E, al contempo, agevolazioni per le rendite finanziarie, o per specifiche categorie professionali.
Una “buona politica” deve saper distinguere e distribuire gli oneri. Come anche difendere ciò che è essenziale: dal sostegno al lavoro (soprattutto giovanile), alle famiglie con figli. E ridurre, invece, i costi che spesso rispondono a interessi capaci di bloccare il Paese o anche il Palazzo, come hanno fatto gli “avvocati in Parlamento”.
Un’occasione persa, quella del “miracolo”di una politica, per una volta, responsabile. Che perde credibilità per mancanza di“buon esempio”. Poco affidabile. Incapace di tagliare costi e privilegi, e pensare al “bene comune”. Arrogante con i deboli e pavida con i forti. Vogliamo davvero vivere in un Paese così? Dove i parlamentari hanno i più ricchi assegni d’Europa, e dove esistono otto milioni di poveri, di cui tre davvero nell’indigenza assoluta? Quota, questa, che annovera, con sempre più frequenza, le famiglie numerose. Quasi a dire che la nascita di un figlio, in Italia, è un fattore di povertà.
È chiaro che, oggi, il Paese deve restare unito, contro le speculazioni. Se vuole uscire dalla crisi e tornare a crescere. Ma, proprio per questo, occorre più coraggio. E investire in chi genera progetto e futuro. Nei giovani, soprattutto, che entrano nel mondo del lavoro; nelle famiglie con figli; nelle imprese che investono i profitti in occupazione (e non in rendite finanziarie parassitarie e rapaci). Una sfida impegnativa che ha bisogno di una nuova classe di “traghettatori”, all’altezza della gravità dei problemi. Dopo anni passati a illudere il Paese che «la crisi è già alle spalle». E che occorreva finirla con «i corvi del malaugurio».
Una “buona politica” deve saper distinguere e distribuire gli oneri. Come anche difendere ciò che è essenziale: dal sostegno al lavoro (soprattutto giovanile), alle famiglie con figli. E ridurre, invece, i costi che spesso rispondono a interessi capaci di bloccare il Paese o anche il Palazzo, come hanno fatto gli “avvocati in Parlamento”.
Un’occasione persa, quella del “miracolo”di una politica, per una volta, responsabile. Che perde credibilità per mancanza di“buon esempio”. Poco affidabile. Incapace di tagliare costi e privilegi, e pensare al “bene comune”. Arrogante con i deboli e pavida con i forti. Vogliamo davvero vivere in un Paese così? Dove i parlamentari hanno i più ricchi assegni d’Europa, e dove esistono otto milioni di poveri, di cui tre davvero nell’indigenza assoluta? Quota, questa, che annovera, con sempre più frequenza, le famiglie numerose. Quasi a dire che la nascita di un figlio, in Italia, è un fattore di povertà.
È chiaro che, oggi, il Paese deve restare unito, contro le speculazioni. Se vuole uscire dalla crisi e tornare a crescere. Ma, proprio per questo, occorre più coraggio. E investire in chi genera progetto e futuro. Nei giovani, soprattutto, che entrano nel mondo del lavoro; nelle famiglie con figli; nelle imprese che investono i profitti in occupazione (e non in rendite finanziarie parassitarie e rapaci). Una sfida impegnativa che ha bisogno di una nuova classe di “traghettatori”, all’altezza della gravità dei problemi. Dopo anni passati a illudere il Paese che «la crisi è già alle spalle». E che occorreva finirla con «i corvi del malaugurio».
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