Articolo di Emanuele Costa pubblicato sulla Rivista SEMPLICE n° 9/2010"
Sono ormai passati diversi mesi da quando il Parlamento ha licenziato il Decreto Legislativo n° 150/2009 «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n° 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni», ma il tema trattato non cessa di essere oggetto di critiche, dibattiti e opinioni, a dimostrazione che il susseguirsi delle stagioni non ha comportato modifiche negli stili di vita, perpetuando una moda intramontabile.
Eppure, al di là del contenuto delle discussioni, siano esse favorevoli o contrarie, la lettura del dettato normativo non fa trasparire quelle novità che hanno fatto aumentare la temperatura della preoccupazione tra gli addetti ai lavori per un cambiamento che, in realtà, non c’è ancora stato, non sembra previsto e, probabilmente, non si verificherà.
La riforma della Pubblica Amministrazione è un processo in itinere, iniziato ormai vent’anni fa, anche se, per cause dipendenti dalla volontà di tutti e di nessuno, i risultati che risiedevano nell’intenzione del Legislatore continuano a non manifestarsi.
Qui il resto del postInfatti, come avviene in qualsiasi processo continuo che si ispira al cambiamento, dovrebbe avere la finalità, se perseguita nel rispetto della metodologia "kaizen", di individuare ed apportare sensibili miglioramenti all'intera Struttura Organizzativa.
Nella realtà, invece, si assiste ad uno strano fenomeno, inquietante quanto misterioso, che consiste nel valutare attentamente le trasformazioni positive prospettate dalle nuove regole, per iniettare un virus letale capace di inibirle, anziché cavalcare l'onda del progresso che va nella direzione di assicurare livelli qualitativi superiori nei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione.
La filosofia storica che ha ispirato il processo di rinnovamento ha investito, soprattutto, il comportamento organizzativo, sancendo con l’articolo 3 del Decreto Legislativo n° 29/1993 «Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego» (oggi articolo 4 del Decreto Legislativo n° 165/2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche») quel principio di separazione dei poteri, che da tempo memorabile aveva collocato la volontà politica al vertice di tutto il processo decisionale.
La piramide dell'Organizzazione iniziava così lentamente a schiacciarsi verso il basso, senza, tuttavia, implodere, perché gli interessi in gioco erano ancora molti e non era ammissibile tranciare di netto quel cordone ombelicale che tiene ancora imbrigliata la classe dirigente agli umori della politica.
Il primo passo del legislatore fu quello di separare il processo di formazione delle decisioni in due grandi aree:
a) da un lato, l’azione di governo da proporre nel periodo di mandato (potere di indirizzo);
b) dall’altro, l’azione di amministrazione da sviluppare nel corso dell’anno (potere di gestione).
L’impronta riformatrice non era stata disegnata esclusivamente con l’idea di evitare (o almeno limitare) ingerenze di una parte nell’attività tipica dell’altra, ma si proponeva l’ambizioso obiettivo di far percepire a tutti gli attori quel senso di appartenenza ad un’Organizzazione, attraverso coinvolgimento, consapevolezza e responsabilità nell’adozione delle decisioni: politiche (nel primo caso), tecniche (nel secondo).
Tutto ciò ha prodotto una forte spinta innovativa per individuare moderni modelli organizzativi e adeguati processi operativi.
I primi, toccano da vicino la responsabilità politica, che deve preoccuparsi di costruire un’architettura organizzativa dotata di strumenti flessibili per generare consenso nella comunità di riferimento, in coerenza con il processo di pianificazione degli interventi da realizzare, per conseguire gli obiettivi sbandierati nel programma elettorale.
Se correttamente intesa, rappresenta il punto dal quale partire per attuare quella trasformazione radicale nella gestione affidata alla politica che si traduce nel passaggio dalle tecniche di government, indirizzate alla produzione e implementazione di politiche pubbliche, a quelle di governance, orientate a valutare gli effetti dei comportamenti posti in essere sui soggetti investiti dalle policy.
I secondi, investono in pieno la responsabilità manageriale, che deve sforzarsi di individuare meccanismi idonei a stimolare un’accelerazione nel passo burocratico per consentire il raggiungimento dei target fissati dalla classe politica.
Resta ferma l'ipotesi che il modus operandi deve avere sempre in primo piano la cognizione che da ogni processo decisionale scaturiscono responsabilità:
a) politiche (connesse agli obiettivi da realizzare);
b) manageriali (legate alla realizzazione degli obiettivi);
c) patrimoniali (relative ai danni cagionati dall’azione);
d) penali (derivanti dall’adozione di comportamenti illegali).
Occorre, pertanto, improntrare lo sviluppo dell’azione amministrativa all'osservanza di due principi fondamentali:
1) buon andamento;
2) imparzialità;
dai quali, se rispettati, discendono automaticamente quelli di:
a) efficacia;
b) efficienza;
c) economicità;
d) legalità;
e) partecipazione;
f) pubblicità;
g) trasparenza.
Non è un caso se i due principi guida richiamati sono stati volutamente incastonati all'interno della Carta Costituzionale (all'articolo 97) per illuminare costantemente il decisore pubblico che qualunque linea di condotta della Pubblica Amministrazione deve essere estrapolata da essi.
Per questo, è possibile individuare la loro giusta interpretazione all'interno della produzione normativa, laddove si tenta di far comprendere l'importanza del processo di programmazione delle attività, se esistente, dal quale dovrebbero scaturire decisioni che prevedono l'adozione di comportamenti razionali.
Pertanto, l'imperativo del "buon andamento" si converte sul piano operativo nel prestare particolare attenzione:
- alle scelte da adottare, che devono essere guidate dai principi enunciati dalle tre "E";
- alle procedure da seguire, che impongono il coinvolgimento degli altri principi;
mentre la "imparzialità" chiama in causa quella posizione di neutralità che deve permeare il comportamento di tutti gli operatori, dovendo evitare disparità di trattamento nel prendere in considerazione l'intreccio degli interessi coinvolti.
Questi ultimi trovano ulteriore garanzia nell'articolato della norma sul procedimento amministrativo (Legge n° 241/1990 «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi») che prevede:
- l'esistenza di un Responsabile del Procedimento (articolo 5);
- la partecipazione e l'intervento al/nel procedimento (articolo 7 e articolo 9);
- la pubblicità del fascicolo (articolo 10);
- l'obbligo di motivazione (articolo 3);
- la predeterminazione dei criteri per l'ottenimento di vantaggi economici (articolo 12).
Infine, la mancata conformità dell'azione amministrativa al dogma della trasparenza, che, in un certo senso, fa da cornice agli altri principi, impatta negativamente su quelli fondamentali, poiché stimola la diffusione di atteggiamenti promossi dalla volonta di tutelare interessi di parte.
E' facile comprendere, quindi, come dal rispetto delle regole sancite dalla Costituzione possano discendere implicitamente tutta una molteplicità di condotte, la cui combinazione configura il pubblico agire, che nella responsabilizzazione trova l'asse portante di una Pubblica Amministrazione più credibile.
Nella realtà, invece, si assiste ad uno strano fenomeno, inquietante quanto misterioso, che consiste nel valutare attentamente le trasformazioni positive prospettate dalle nuove regole, per iniettare un virus letale capace di inibirle, anziché cavalcare l'onda del progresso che va nella direzione di assicurare livelli qualitativi superiori nei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione.
La filosofia storica che ha ispirato il processo di rinnovamento ha investito, soprattutto, il comportamento organizzativo, sancendo con l’articolo 3 del Decreto Legislativo n° 29/1993 «Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego» (oggi articolo 4 del Decreto Legislativo n° 165/2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche») quel principio di separazione dei poteri, che da tempo memorabile aveva collocato la volontà politica al vertice di tutto il processo decisionale.
La piramide dell'Organizzazione iniziava così lentamente a schiacciarsi verso il basso, senza, tuttavia, implodere, perché gli interessi in gioco erano ancora molti e non era ammissibile tranciare di netto quel cordone ombelicale che tiene ancora imbrigliata la classe dirigente agli umori della politica.
Il primo passo del legislatore fu quello di separare il processo di formazione delle decisioni in due grandi aree:
a) da un lato, l’azione di governo da proporre nel periodo di mandato (potere di indirizzo);
b) dall’altro, l’azione di amministrazione da sviluppare nel corso dell’anno (potere di gestione).
L’impronta riformatrice non era stata disegnata esclusivamente con l’idea di evitare (o almeno limitare) ingerenze di una parte nell’attività tipica dell’altra, ma si proponeva l’ambizioso obiettivo di far percepire a tutti gli attori quel senso di appartenenza ad un’Organizzazione, attraverso coinvolgimento, consapevolezza e responsabilità nell’adozione delle decisioni: politiche (nel primo caso), tecniche (nel secondo).
Tutto ciò ha prodotto una forte spinta innovativa per individuare moderni modelli organizzativi e adeguati processi operativi.
I primi, toccano da vicino la responsabilità politica, che deve preoccuparsi di costruire un’architettura organizzativa dotata di strumenti flessibili per generare consenso nella comunità di riferimento, in coerenza con il processo di pianificazione degli interventi da realizzare, per conseguire gli obiettivi sbandierati nel programma elettorale.
Se correttamente intesa, rappresenta il punto dal quale partire per attuare quella trasformazione radicale nella gestione affidata alla politica che si traduce nel passaggio dalle tecniche di government, indirizzate alla produzione e implementazione di politiche pubbliche, a quelle di governance, orientate a valutare gli effetti dei comportamenti posti in essere sui soggetti investiti dalle policy.
I secondi, investono in pieno la responsabilità manageriale, che deve sforzarsi di individuare meccanismi idonei a stimolare un’accelerazione nel passo burocratico per consentire il raggiungimento dei target fissati dalla classe politica.
Resta ferma l'ipotesi che il modus operandi deve avere sempre in primo piano la cognizione che da ogni processo decisionale scaturiscono responsabilità:
a) politiche (connesse agli obiettivi da realizzare);
b) manageriali (legate alla realizzazione degli obiettivi);
c) patrimoniali (relative ai danni cagionati dall’azione);
d) penali (derivanti dall’adozione di comportamenti illegali).
Occorre, pertanto, improntrare lo sviluppo dell’azione amministrativa all'osservanza di due principi fondamentali:
1) buon andamento;
2) imparzialità;
dai quali, se rispettati, discendono automaticamente quelli di:
a) efficacia;
b) efficienza;
c) economicità;
d) legalità;
e) partecipazione;
f) pubblicità;
g) trasparenza.
Non è un caso se i due principi guida richiamati sono stati volutamente incastonati all'interno della Carta Costituzionale (all'articolo 97) per illuminare costantemente il decisore pubblico che qualunque linea di condotta della Pubblica Amministrazione deve essere estrapolata da essi.
Per questo, è possibile individuare la loro giusta interpretazione all'interno della produzione normativa, laddove si tenta di far comprendere l'importanza del processo di programmazione delle attività, se esistente, dal quale dovrebbero scaturire decisioni che prevedono l'adozione di comportamenti razionali.
Pertanto, l'imperativo del "buon andamento" si converte sul piano operativo nel prestare particolare attenzione:
- alle scelte da adottare, che devono essere guidate dai principi enunciati dalle tre "E";
- alle procedure da seguire, che impongono il coinvolgimento degli altri principi;
mentre la "imparzialità" chiama in causa quella posizione di neutralità che deve permeare il comportamento di tutti gli operatori, dovendo evitare disparità di trattamento nel prendere in considerazione l'intreccio degli interessi coinvolti.
Questi ultimi trovano ulteriore garanzia nell'articolato della norma sul procedimento amministrativo (Legge n° 241/1990 «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi») che prevede:
- l'esistenza di un Responsabile del Procedimento (articolo 5);
- la partecipazione e l'intervento al/nel procedimento (articolo 7 e articolo 9);
- la pubblicità del fascicolo (articolo 10);
- l'obbligo di motivazione (articolo 3);
- la predeterminazione dei criteri per l'ottenimento di vantaggi economici (articolo 12).
Infine, la mancata conformità dell'azione amministrativa al dogma della trasparenza, che, in un certo senso, fa da cornice agli altri principi, impatta negativamente su quelli fondamentali, poiché stimola la diffusione di atteggiamenti promossi dalla volonta di tutelare interessi di parte.
E' facile comprendere, quindi, come dal rispetto delle regole sancite dalla Costituzione possano discendere implicitamente tutta una molteplicità di condotte, la cui combinazione configura il pubblico agire, che nella responsabilizzazione trova l'asse portante di una Pubblica Amministrazione più credibile.
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