Dopo un triennio di partecipazione al governo Berlusconi (2008-2011), il ricambio di leader e di (parte della sua) classe dirigente, un anno di opposizione frontale al governo Monti, la Lega Nord che si
presenta al voto del 24-25 febbraio 2013 è un partito consapevole della decisività di questo test. Se la rinnovata quanto accidentata (e potenzialmente fatale) alleanza elettorale con il centro-destra non sarà probabilmente sufficiente a vincere le elezioni, il concomitante appuntamento per il rinnovo del consiglio regionale lombardo rappresenta un terreno di competizione più accessibile per il segretario Maroni, direttamente in campo per la carica di governatore. In questa partita il segretario leghista ha saputo giocare su tavoli diversi,vincolando le alleanze locali a quelle nazionali dentro una strategia politica in cui, palesemente, il livello nazionale (il rapporto con il Pdl) è stato lo strumento attraverso cui il Carroccio ha provato a reinventare presenza, ruolo,prospettive di azione.
Tutto questo sarà sufficiente alla Lega per rimanere in gioco e continuare a contare come forza politica di rottura? Le incognite sono numerose e l’avverarsi di scenari negativi foschi, impensabili sino a un anno fa, non più una remota possibilità. La vittoria a Roma e in Lombardia – scenario di difficile realizzazione ma ipotizzabile laddove le performance nazionali del partito fossero rilanciate proprio dal valore aggiunto del voto lombardo – testimonierebbe, indipendentemente dal risultato del Pdl, la vitalità di un partito capace di risollevarsi dall’impatto mortifero degli scandali e della transizione di dirigenti e leader. Ma anche una vittoria confinata alle sole elezioni regionali lombarde finirebbe per rafforzare la leadership maroniana, capace di costruire una forza piccola ma determinante, in grado di di imporre tre governatori leghisti nella principali regioni del Nord: sogno per i cuori leghisti, incubo per gli altri partiti e per la diplomazia europea.
Ovviamente, la doppia sconfitta sul piano nazionale e locale aprirebbe, con ogni probabilità, una grave crisi per il partito, con la messa in discussione della segreteria, la possibile rottura delle alleanze con il Pdl e l’inizio di una forte (e probabilmente definitiva) spinta centrifuga delle periferie. L’esito negativo in Lombardia,anche in un quadro di sostanziale quanto improbabile tenuta del partito a livello nazionale, disegnerebbe infine uno scenario altrettanto problematico, in cui si paleserebbero con rinnovato vigore le storiche divisioni tra fazioni regionali, in primis tra gruppo veneto e lombardo, ma anche il ritorno sulla scena della vecchia classe dirigente bossiana defenestrata o depotenziata. La querelle tra Liga Veneta e Lega Lombarda, e le malcelate antipatie e diffidenze tenute a bada con pugno di ferro dal carisma e dal potere di Bossi, sarebbe la prospettiva plausibile. Una versione aggiornata dei duelli tra fratelli coltelli Bossi-Rocchetta, ma senza la presenza del leader fondatore e con un bacino elettorale assai esiguo rispetto ai roboanti risultati dello scorso triennio.
Sullo sfondo, resta l’incognita Tosi, unico leader in grado di sostituire l’attuale segretario partendo da una posizione personale di successo, ma che potrebbe anche cercare fuori dalla Lega lo spazio politico per un suo rilancio. Un leader, Tosi, capace con un triplo carpiato di lasciarsi alle spalle o negli armadi lo scheletro dell’imbarazzante e mai abiurata militanza nelle fila della Verona bene/nera, e di farsi artefice della nuova rappresentanza di un territorio orfano di interlocutori dai tempi della “Balena bianca”. Una mossa intelligente e abile quella di Tosi,consapevole ma negata sfrontatamente, tesa a riallacciare i legami con le tessere e l’elettorato ex-democristiano. Elettorato che potrebbe in magna pars confluire su Grillo, anche in ragione della non brillante alternativa offerta da PD & Company, troppo lenti a comprendere che la ‘questione settentrionale’ rimane aperta anche senza una LN con percentuali di voto a due cifre.
Tra il Carroccio a guida Bossi e quello dei barbari sognanti (rampanti) di Maroni molto è cambiato in termini di candidature, personale politico e temi. Maroni ha saputo focalizzare l’azione politica attorno a un progetto chiaro e circoscritto: un partito «territoriale» normale. Purtroppo, del tentativo di emulare la CSU tedesca o i partiti catalani è rimasta solo qualche enunciazione, e degli Stati generali convocati a Torino uno sfocato ricordo e il sostanziale fallimento di un meritevole tentativo. La campagna elettorale sottotono, volta a presentare il partito come una moderna forza regionalista/conservatrice, ha rapidamente subito una torsione a favore di messaggi rassicuranti, ma antichi, vecchi. Il razzismo edulcorato è ben visibile nei messaggi audio/video della propaganda leghista. Maroni pare rimasto in mezzo al guado, posizione esiziale per un politico. Da un lato il passato che non passa, le camicie verdi e le ampolle del Po,saggiamente archiviati insieme al raduno mangereccio di Pontida, dall’altro l’approdo verso una destra moderna. Le idee di macro/euroregione e i vaneggiamenti su una moneta locale hanno tradito un richiamo alla dottor Stranamore. La presenza ingombrante di Formigoni e Berlusconi alleati ha infine sugellato l’imbarazzo del nuovo corso maroniano e depresso l’entusiasmo della base, spesso prevaricata, illusa ma sempre tenace e vero asse portante del Carroccio. Per garantire la sopravvivenza del partito tutto questo “fare” di Maroni potrebbe non essere sufficiente. E l’alleanza con Berlusconi, oltre a generare imbarazzate smentite (vedi condono fiscale), rischia di sancire un canto del cigno, mentre dilaga l’insidiosa sfida ‘populista’ rappresentata dal Movimento 5 stelle. Pochi giorni e sapremo cosa resta di Lega & Padania.
Gianluca Passarelli e Dario Tuorto sono gli autori di Lega & Padania. Storie e luoghi delle camicie verdi, Il Mulino 2012.
"La Lega è un “Partito tradizionale che cavalca i temi cari all’estrema destra, come l’immigrazione e la sicurezza; partito territoriale sul modello della Csu bavarese e degli autonomisti catalani; o, ancora, forza politica trasversale alla destra e alla sinistra, destinata a scompaginare i vetusti schieramenti ereditati dal Novecento. C’era un solo modo per sciogliere simili dubbi: dare la parola ai leghisti. È quello che fa il libro. Ripercorsa la storia del movimento, sfogliato l’atlante del suo insediamento elettorale, tracciati gli organigrammi interni (fazioni, posizionamento rispetto a Bossi), si delinea, al di là dei miti e delle fantasie giornalistiche, il popolo leghista. Militanti, eletti, ceto politico vivono oggi – con la crisi economico-finanziaria – una sofferta transizione, mentre ritornano i temi carsici del partito, dalla Padania alla secessione”.
Gianluca Passarelli assegnista di ricerca nel Dipartimento di Scienza politica dell’Università di Bologna e ricercatore dell’Istituto Cattaneo; fa parte di Itanes. Tra le sue pubblicazioni «Monarchi elettivi?» (Bononia University Press, 2008) e «Presidenti della Repubblica» (a cura di; Giappichelli, 2010).
Dario Tuorto è ricercatore in Sociologia presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna; fa parte di Itanes. Ha pubblicato per il Mulino «Apatia e protesta. L’astensionismo elettorale in Italia» (2006).
Tutto questo sarà sufficiente alla Lega per rimanere in gioco e continuare a contare come forza politica di rottura? Le incognite sono numerose e l’avverarsi di scenari negativi foschi, impensabili sino a un anno fa, non più una remota possibilità. La vittoria a Roma e in Lombardia – scenario di difficile realizzazione ma ipotizzabile laddove le performance nazionali del partito fossero rilanciate proprio dal valore aggiunto del voto lombardo – testimonierebbe, indipendentemente dal risultato del Pdl, la vitalità di un partito capace di risollevarsi dall’impatto mortifero degli scandali e della transizione di dirigenti e leader. Ma anche una vittoria confinata alle sole elezioni regionali lombarde finirebbe per rafforzare la leadership maroniana, capace di costruire una forza piccola ma determinante, in grado di di imporre tre governatori leghisti nella principali regioni del Nord: sogno per i cuori leghisti, incubo per gli altri partiti e per la diplomazia europea.
Ovviamente, la doppia sconfitta sul piano nazionale e locale aprirebbe, con ogni probabilità, una grave crisi per il partito, con la messa in discussione della segreteria, la possibile rottura delle alleanze con il Pdl e l’inizio di una forte (e probabilmente definitiva) spinta centrifuga delle periferie. L’esito negativo in Lombardia,anche in un quadro di sostanziale quanto improbabile tenuta del partito a livello nazionale, disegnerebbe infine uno scenario altrettanto problematico, in cui si paleserebbero con rinnovato vigore le storiche divisioni tra fazioni regionali, in primis tra gruppo veneto e lombardo, ma anche il ritorno sulla scena della vecchia classe dirigente bossiana defenestrata o depotenziata. La querelle tra Liga Veneta e Lega Lombarda, e le malcelate antipatie e diffidenze tenute a bada con pugno di ferro dal carisma e dal potere di Bossi, sarebbe la prospettiva plausibile. Una versione aggiornata dei duelli tra fratelli coltelli Bossi-Rocchetta, ma senza la presenza del leader fondatore e con un bacino elettorale assai esiguo rispetto ai roboanti risultati dello scorso triennio.
Sullo sfondo, resta l’incognita Tosi, unico leader in grado di sostituire l’attuale segretario partendo da una posizione personale di successo, ma che potrebbe anche cercare fuori dalla Lega lo spazio politico per un suo rilancio. Un leader, Tosi, capace con un triplo carpiato di lasciarsi alle spalle o negli armadi lo scheletro dell’imbarazzante e mai abiurata militanza nelle fila della Verona bene/nera, e di farsi artefice della nuova rappresentanza di un territorio orfano di interlocutori dai tempi della “Balena bianca”. Una mossa intelligente e abile quella di Tosi,consapevole ma negata sfrontatamente, tesa a riallacciare i legami con le tessere e l’elettorato ex-democristiano. Elettorato che potrebbe in magna pars confluire su Grillo, anche in ragione della non brillante alternativa offerta da PD & Company, troppo lenti a comprendere che la ‘questione settentrionale’ rimane aperta anche senza una LN con percentuali di voto a due cifre.
Tra il Carroccio a guida Bossi e quello dei barbari sognanti (rampanti) di Maroni molto è cambiato in termini di candidature, personale politico e temi. Maroni ha saputo focalizzare l’azione politica attorno a un progetto chiaro e circoscritto: un partito «territoriale» normale. Purtroppo, del tentativo di emulare la CSU tedesca o i partiti catalani è rimasta solo qualche enunciazione, e degli Stati generali convocati a Torino uno sfocato ricordo e il sostanziale fallimento di un meritevole tentativo. La campagna elettorale sottotono, volta a presentare il partito come una moderna forza regionalista/conservatrice, ha rapidamente subito una torsione a favore di messaggi rassicuranti, ma antichi, vecchi. Il razzismo edulcorato è ben visibile nei messaggi audio/video della propaganda leghista. Maroni pare rimasto in mezzo al guado, posizione esiziale per un politico. Da un lato il passato che non passa, le camicie verdi e le ampolle del Po,saggiamente archiviati insieme al raduno mangereccio di Pontida, dall’altro l’approdo verso una destra moderna. Le idee di macro/euroregione e i vaneggiamenti su una moneta locale hanno tradito un richiamo alla dottor Stranamore. La presenza ingombrante di Formigoni e Berlusconi alleati ha infine sugellato l’imbarazzo del nuovo corso maroniano e depresso l’entusiasmo della base, spesso prevaricata, illusa ma sempre tenace e vero asse portante del Carroccio. Per garantire la sopravvivenza del partito tutto questo “fare” di Maroni potrebbe non essere sufficiente. E l’alleanza con Berlusconi, oltre a generare imbarazzate smentite (vedi condono fiscale), rischia di sancire un canto del cigno, mentre dilaga l’insidiosa sfida ‘populista’ rappresentata dal Movimento 5 stelle. Pochi giorni e sapremo cosa resta di Lega & Padania.
Gianluca Passarelli e Dario Tuorto sono gli autori di Lega & Padania. Storie e luoghi delle camicie verdi, Il Mulino 2012.
"La Lega è un “Partito tradizionale che cavalca i temi cari all’estrema destra, come l’immigrazione e la sicurezza; partito territoriale sul modello della Csu bavarese e degli autonomisti catalani; o, ancora, forza politica trasversale alla destra e alla sinistra, destinata a scompaginare i vetusti schieramenti ereditati dal Novecento. C’era un solo modo per sciogliere simili dubbi: dare la parola ai leghisti. È quello che fa il libro. Ripercorsa la storia del movimento, sfogliato l’atlante del suo insediamento elettorale, tracciati gli organigrammi interni (fazioni, posizionamento rispetto a Bossi), si delinea, al di là dei miti e delle fantasie giornalistiche, il popolo leghista. Militanti, eletti, ceto politico vivono oggi – con la crisi economico-finanziaria – una sofferta transizione, mentre ritornano i temi carsici del partito, dalla Padania alla secessione”.
Gianluca Passarelli assegnista di ricerca nel Dipartimento di Scienza politica dell’Università di Bologna e ricercatore dell’Istituto Cattaneo; fa parte di Itanes. Tra le sue pubblicazioni «Monarchi elettivi?» (Bononia University Press, 2008) e «Presidenti della Repubblica» (a cura di; Giappichelli, 2010).
Dario Tuorto è ricercatore in Sociologia presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna; fa parte di Itanes. Ha pubblicato per il Mulino «Apatia e protesta. L’astensionismo elettorale in Italia» (2006).
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