Articolo di Mauro Magatti pubblicato sul Corriere della Sera il 26 agosto 2012
Il tema della crescita è, ormai da molti mesi, al centro del dibattito. Mentre, infatti, c' è un ampio consenso attorno all' idea che un ciclo storico sia terminato, assai minore è la convergenza attorno alle linee dello sviluppo futuro.
La questione nasce dal fatto che la crisi in corso rimette in discussione la natura del processo di accumulazione - che è il modo attraverso cui il capitalismo, allargando la propria base produttiva, crea le condizioni per la crescita. Anche se, nel corso del tempo, le soluzioni adottate per ottenere tale risultato sono state diverse, la linea evolutiva appare sufficientemente chiara: diventando «mature», le nostre società sono sempre più profondamente implicate nello sforzo di creazione di valore.
È almeno dal Dopoguerra, dall'avvento cioè della stagione keynesiana, che il processo di accumulazione - coinvolgendo nuovi strati sociali e mobilitando la spesa pubblica - ha decisamente virato verso una progressiva «socializzazione». Una tendenza che ha trovato pieno dispiegamento nella società dei consumi, dove la logica capitalistica si generalizza alla totalità del sociale: da quel momento in avanti è l' aumento dei consumi individuali a trainare la crescita dei mercati.
I limiti di quella soluzione, però, sono stati raggiunti più velocemente del previsto. Già negli anni 70, nei Paesi anglosassoni si coglie che le possibilità sono, per questa via, limitate. Ed è a questo punto che entra in scena l' ultima fase, quella che ci ha portato alla crisi in corso, nella quale la finanziarizzazione - associata alla deregulation globale - è diventata l' elemento cardine di una nuova stagione di accumulazione: come ci risulta oggi meglio comprensibile, l' espansione finanziaria - che ha comunque portato con sé maggiore efficienza e aperto nuovi mercati su scala planetaria - è diventata il motore del processo di creazione del valore. Una soluzione che, se ha avuto il merito di accelerare tale processo - dando vita ad una fase di crescita economica globale molto rapida - lo ha dall' altro indebolito proprio nel suo radicamento sociale. In fondo, l' economia poteva crescere a prescindere dalla società. La questione della crescita - e dunque della natura della accumulazione - torna a porsi nel momento in cui quella condizione di espansione illimitata, per sole linee esterne, si complica. E si complica per una ragione di fondo, e cioè la (ri)scoperta del fatto che un sistema esteso e complesso di promesse di pagamento (quale è il sistema finanziario) si può reggere solo su ordini politici (cioè istituiti e, come tali, limitati) che ne garantiscano la solvibilità in ultima istanza. Ciò spiega come mai proprio l' Europa, unita dalla moneta unica ma priva di un sistema politico sovrano, si ritrovi da mesi nell' occhio del ciclone. Per questo, nelle nuove condizioni ci si pone la domanda: è ancora sensatamente possibile pensare che la mera espansione finanziaria possa costituire la via principale dell' accumulazione capitalistica? Se si risponde di no, come credo che oggi si debba fare, e se si non si prende la strada sbagliata della decrescita, ecco allora che è doveroso interrogarsi sulla nuova logica di ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore, che potrà affermare nei prossimi anni. Nel nuovo quadro che si va formando, non solo sarà più difficile e controverso avere accesso alle consistenti opportunità di profitto ancora disponibili a livello mondiale, ma soprattutto non le si potrà più assumere come necessariamente in crescita. Per compensare tali difficoltà, il nuovo ciclo di accumulazione dovrà investire, ancora più massicciamente di quanto non sia già accaduto, sulla propria base cognitiva. E ciò per almeno due ragioni. La prima è che, all' interno di un pianeta sempre più unificato da un sistema tecnico-economico planetario, il confronto sarà ancora più stringente rispetto ai livelli di efficienza e di innovazione. La seconda è che, soprattutto nelle società mature, la conoscenza costituirà un fattore decisivo per allargare le opportunità di mercato.
Tuttavia, questa prima dimensione, da sola, non sarà sufficiente. Sia perché costosa, sia perché relativamente incerta.
Un contributo ugualmente importante dovrà venire anche da nuove forme di «accumulazione sociale e culturale», dove con tale espressione si intende la cura dei luoghi e delle persone che sono il patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società avanzate sono alla ricerca. In un mondo sempre più integrato sul piano tecnico-economico, al di là di una certa soglia cognitiva, a fare la differenza - come sempre insegnano Amartya Sen e Martha Nussbaum - sarà il differenziale derivante dalla qualità delle persone, dei luoghi, delle istituzioni. In questo senso, l' economia tornerà a legarsi alla società: la nuova stagione dell' accumulazione dipenderà più decisamente dalla capacità di produzione di valore sociale, che altro non è che un sistema di priorità: fare di più con meno eliminando gli sperperi e le rendite; includere e integrare la dimensione sociale in contesti a crescente complessità umana; valorizzare lo spirito di iniziativa e le capacità individuali, oltre che la bellezza e l' efficienza di contesto. La buona notizia è che tutto ciò porterà con sé un nuovo modello di crescita che promette di essere migliore di quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Naturalmente a condizione che si capisca di che cosa si sta parlando e che si costruisca un consenso attorno a ciò che fonda il futuro di una società di questo tipo: centralità della scuola e della università, della conoscenza e della cultura, dell' intrapresa e dell' investimento, della collaborazione e della cooperazione.
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