Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 12 luglio 2012
La Spagna come la Grecia?
Quasi sicuramente no, ma i disordini scoppiati ieri a Madrid per il nuovo piano di austerità annunciato da Rajoy la dicono lunga sulla perdurante instabilità dell'eurozona, che non è solo finanziaria ma ormai anche sociale. Il cuore della crisi Ue sta nella tensione fra due principi ordinatori della politica moderna in Europa: sovranità e solidarietà. L'Unione non riesce a comporre la tensione perché la sua missione storica è stata proprio quella di sfidare entrambi i principi, costringendo i Paesi membri (sovrani e solidali verso i cittadini, ma solo i loro) a rimuovere quasi tutte le barriere a propria difesa. Il mercato unico e l'euro hanno creato una gigantesca economia aperta su scala continentale. Bruxelles non è però diventata un vero centro politico: è rimasta un grande foro negoziale dove si confrontano 27 governi che si credono ancora sovrani, che non si fidano l'uno dell'altro e soprattutto che non sono disposti a fare cassa comune.
Le due principali potenze Ue, Germania e Francia, sembrano essersi convinte che è necessario un salto di qualità. Ma Berlino subordina la solidarietà alla cessione di sovranità, che la Merkel chiama Unione politica, mentre Parigi vuole l'opposto. È un tiro alla fune improduttivo, che incoraggia i mercati a scommettere contro l'euro, anche a costo di strangolare economie importanti come quella spagnola e italiana.
Il disaccordo franco-tedesco è in parte frutto di fraintendimenti che sarebbe meglio chiarire. Per Unione politica, la Merkel intende soprattutto una Policy Union, una fusione delle politiche nazionali, soprattutto in campo bancario, fiscale e finanziario. Nel sistema tedesco tali politiche sono peraltro già in parte riparate dalla «politica» grazie al disegno costituzionale originario della Repubblica federale. Alle orecchie francesi, la richiesta tedesca evoca invece la limitazione della politique politicienne, la violazione della volontà della nation e del suo popolo. Ai francesi fa paura unaPolitical Union a misura tedesca, con procedure decisionali che possano aggirare il veto delle istituzioni repubblicane e mettere a repentaglio il particolare modello di società e di Stato edificato nel secolo scorso.
L'incomprensione abbonda anche sul tema della solidarietà. La Merkel si preoccupa soprattutto che i soldi dei contribuenti tedeschi non vengano usati per sussidiare chi non fa i «compiti a casa» e vuole evitare che l'Europa diventi una Transfer Union fra formiche nordiche e cicale mediterranee. Hollande non contesta questa posizione, ma in linea con tutti i suoi predecessori chiede un'Europa più sociale: se non una Social Union , almeno un sistema di regole che impediscano alla concorrenza di aggredire il welfare laddove non sia necessario.
Il binomio sovranità-solidarietà può essere ricomposto a livello europeo solo districando la matassa di problemi oggettivi e preoccupazioni soggettive. Una più stretta Policy Union è già in agenda. Si tratta «solo» di dare appropriate garanzie alla Germania, con un mix di decisioni centralizzate (la «fusione») e di condizionalità leggera. I Paesi che beneficiano di aiuti (domani anche da parte di una Bce simile alla Fed) devono rispettare i criteri concordati a Bruxelles. Questa è la solaTransfer Union che può funzionare, e su questo concordano non solo Hollande ma anche Rajoy e Monti.
L'Unione politica e l'Europa sociale sono questioni più delicate e di lungo periodo, la progettazione deve però iniziare subito. Non solo per tranquillizzare la Francia, ma soprattutto per trasformare Bruxelles in un vero centro di governo legittimo ed effettivo. Qualche segnale si può anche dare subito. La Fondazione Ebert (uno dei maggiori pensatoi tedeschi) ha recentemente proposto di aggiungere al Fiscal Compact un Protocollo sulla crescita, l'occupazione e la coesione sociale, con la creazione di un Comitato Economico e Finanziario sovranazionale, formato da rappresentanti dei parlamenti nazionali, con potere di co-decisione.
L'Europa non diverrà mai un super-Stato chiuso e standardizzato al proprio interno. Ma non può neppure restare un sistema economicamente integrato, socialmente segmentato e politicamente acefalo. Mantenere lo status quo non è oggi un'opzione praticabile. Per chi ha un minimo di ragionevolezza e senso di responsabilità, l'unica scelta è andare avanti, costruendo e incastrando fra loro le varie possibili «unioni» e recuperando al più presto il sostegno di opinioni pubbliche sempre più disorientate.
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