Intervista a Pietro Ichino e Stefano Fassina a cura di Giovanna Casadio, pubblicata su la Repubblica il 12 luglio 2012
Il presidente del consiglio Mario Monti ha dichiarato ieri all’assemblea dell’Abi che l’origine di tutti i mali è la concertazione. Numerose sono state le reazioni negative da parte delle forze sindacali, tra cui quella di Susanna Camusso, segretaria della Cgil, che scopre per incanto la positività della concertazione dopo tante posizioni di diffidenza verso tale metodo, sostenuto con vigore da Cisl e Uil.
Per dare il giusto peso alla dichiarazione di Monti occorre tenere presente la gravità della situazione economica del paese, l’urgenza di provvedimenti economici e finanziari, la diversità di posizione tra il Governo e le organizzazioni sociali ed all’interno delle medesime organizzazioni, la non rappresentatività delle categorie che maggiormente vivono la crisi (disoccupazione giovanile e precariato). Inoltre, è necessario rilevare le condizioni di oggi che sono diverse rispetto ad altri periodi di crisi. Non bisogna dimenticare, come fa Fassina, che molte volte la Cgil ha espresso il diritto di veto (modifica dell'art. 18).
Intervista a Pietro Ichino
Lei condivide l’affermazione di Monti, che la concertazione è causa dei mali italiani, senatore Ichino?
La concertazione è un metodo che può dare una marcia in più al paese e al governo, ma a una condizione: che tra governo e parti sociali ci sia una piena concordanza sugli obiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare. Questa condizioni sussisteva nei primi anni Novanta ed è stata quella che ha consentito a Ciampi il miracolo di soddisfare i requisiti per l’ingresso nell’euro. E’ evidente che lì la concertazione ha costituito uno strumento di eccezionale valore
Quindi Monti sbaglia?
No, questa è solo la prima parte della risposta. Il problema è che in Italia oggi quella concordanza su obiettivi e vincoli non c’è. Applicare il metodo della concertazione significa di fatto attribuire un potere di veto a organizzazioni che rappresentano soltanto un segmento minoritario anche nell’ambito delle categorie che intendono rappresentare. Oggi la concertazione in Italia non può costituire il metodo per compiere le riforme strutturali di cui abbiamo bisogno.
Lei è tra quelli che vorrebbero un Monti-bis nel 2013?
Alla persona di Monti mi lega un’antica amicizia personale e grande stima. Ma ovviamente non è questo il punto, anche perché dobbiamo mettere in conto che Monti venga chiamato a responsabilità più alta di quella attuale a livello nazionale o europeo, alla presidenza della Repubblica o della Ue. Da tante parti sento fare il suo nome come il presidente ideale dopo Barroso. Il problema è se la sua agenda resta al centro della prossima legislatura. Sono convinto che sia necessaria per i prossimi sei anni.
Non è la linea del Pd di Bersani?
La larga maggioranza degli elettori e degli iscritti al Pd è convinta e che questa scommessa sia necessaria
Intervista a Stefano Fassina
Fassina, Monti sbaglia sulla concertazione?
Monti sottovaluta la rilevanza del dialogo sociale per fare riforme strutturali. Persino al Fondo monetario internazionale parlavamo ownership, che significa il coinvolgimento attivo dei diretti interessati nella costruzione delle riforme.
In altre parole, la concertazione ci vuole, è indispensabile?
Concertazione è un termine ambiguo, si deve parlare di dialogo sociale. Non mi pare che le parti sociali in Italia abbiano rivendicato diritti di veto, semmai c’è stato un problema di debolezza della politica. Comunque la concertazione ha avuto una storia differenziata, il cui segno è largamente positivo, anche a partire da quanto i sindacati hanno fatto nel 92’-93’ con l’intelligente regia di Ciampi che sapeva appunto svolgere il dialogo sociale.
Quello di Monti è lo stesso metodo del governo Berlusconi, lei ha detto più volte.
Il governo Berlusconi aveva l’obiettivo di dividere le forse sindacali, Monti no. Ma sottovaluta sistematicamente l’importanza del coinvolgimento delle parti sociali come ricordava De Rita qualche giorno fa.
Monti dopo Monti?
Per l’Italia ci vuole un programma progressista che rimetta al centro l’economia reale, le imprese e i lavoratori.
Ma molti nel suo partito, il Pd, pensano che l’agenda Monti debba valere anche dopo il 2013?
Molti, vedremo: il Pd è sulla linea di Bersani. Ricordo che l’agenda di Monti è solo in parte la nostra agenda abbiamo punti specifici di una forza progressista quali noi siamo: la riduzione del debito pubblico attraverso lo sviluppo, il primato dell’economia reale, impresa, lavoro, l’attenzione alla distribuzione del reddito e all’equità, le politiche industriali e ambientali. L’Italia ha bisogno di riforme incisive e condivise.
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