La proposta del Partito Democratico sul lavoro si basa sull’idea originaria di Boeri-Garibaldi di creare un contratto di inserimento per il quale i vincoli ai licenziamenti entrano in vigore solo dopo i primi tre anni. Questo modello ha certamente il merito di ridurre la giungla di contratti di lavoro ad una sola forma di inserimento dei nuovi assunti. Tuttavia presenta anche il notevole difetto di creare una soglia di tre anni difficilmente superabile (anche nel caso di sgravi fiscali), in quanto il passaggio all'assunzione con tutte le protezioni viene lasciato esclusivamente alla buona fede delle imprese.
Una riforma che si basi solo su questi presupposti avrebbe il grande limite di non affrontare i nodi cruciali che impediscono un sano funzionamento del mercato del lavoro, ovvero:
Al momento il nostro sistema esclude ampie fasce di lavoratori dalle forme di sostegno al reddito esistenti. Inoltre, gli ammortizzatori sociali previsti rivestono una funzione quasi sempre puramente assistenziale, non prevedendo nessuna forma di prestazione d'opera in cambio, né formazione né ricollocamento. Questo congela una frazione consistente della manodopera in una situazione di inattività (se si esclude il lavoro nero) e rende sempre più difficile il loro rientro al lavoro.
L'argomentazione che spesso adduce chi difende le restrizioni ai licenziamenti si basa sul presupposto per cui l'eliminazione di questi vincoli non aiuta in nessun modo i lavoratori ma peggiora solo i loro diritti. Al contrario molti studi empirici e modelli economici (si veda ad esempio Lazear 1990 e Risager e Sorensen 1997) dimostrano che l'occupazione diminuisce all'aumentare dei costi di licenziamento (tra questi figurano anche i costi relativi all’art.18). Per tanto le restrizioni diminuiscono considerevolmente le possibilità dei disoccupati di trovare un impiego.
Non a caso nessuno tra i paesi industrializzati ha limitato la facoltà delle imprese di licenziare per motivi economici. Solo la Germania prevedeva una normativa simile e un governo di sinistra guidato dal Cancelliere Schroeder nel 2003 si è affrettato ad eliminarla.
Per riformare il sistema attuale è necessario passare dalla sicurezza del posto di lavoro alla sicurezza del mercato del lavoro, garantendo l'insieme dei provvedimenti che consento al lavoratore di spostarsi agevolmente da un posto di lavoro all'altro con la copertura di un reddito: indennità di licenziamento e/o di disoccupazione, attività di formazione e di riconversione, attività di collocamento pubblico o privato, outplacement specializzato.
È fondamentale quindi porre in essere politiche che vadano nella direzione di ammortizzatori sociali pagati dalle imprese quali: 1) indennità di licenziamento per tre anni; 2) formazione; 3) ricollocamento, che superano di gran lunga le tutele delle restrizioni in uscita che verrebbero per tanto ridimensionate. I vantaggi che le imprese e i lavoratori ne trarrebbero insieme ai nuovi investimenti esteri funzionerebbero come volano per la crescita e la creazione di nuova occupazione. È probabile anche che la maggiore meritocrazia e produttività che ne deriverebbero unita ad una maggiore soddisfazione di tutte le parti sociali innescherebbe un circolo virtuoso che migliorerebbe sempre di più le condizioni del sistema Paese in tutti i suoi ambiti.
Non a caso nessuno tra i paesi industrializzati ha limitato la facoltà delle imprese di licenziare per motivi economici. Solo la Germania prevedeva una normativa simile e un governo di sinistra guidato dal Cancelliere Schroeder nel 2003 si è affrettato ad eliminarla.
Per riformare il sistema attuale è necessario passare dalla sicurezza del posto di lavoro alla sicurezza del mercato del lavoro, garantendo l'insieme dei provvedimenti che consento al lavoratore di spostarsi agevolmente da un posto di lavoro all'altro con la copertura di un reddito: indennità di licenziamento e/o di disoccupazione, attività di formazione e di riconversione, attività di collocamento pubblico o privato, outplacement specializzato.
È fondamentale quindi porre in essere politiche che vadano nella direzione di ammortizzatori sociali pagati dalle imprese quali: 1) indennità di licenziamento per tre anni; 2) formazione; 3) ricollocamento, che superano di gran lunga le tutele delle restrizioni in uscita che verrebbero per tanto ridimensionate. I vantaggi che le imprese e i lavoratori ne trarrebbero insieme ai nuovi investimenti esteri funzionerebbero come volano per la crescita e la creazione di nuova occupazione. È probabile anche che la maggiore meritocrazia e produttività che ne deriverebbero unita ad una maggiore soddisfazione di tutte le parti sociali innescherebbe un circolo virtuoso che migliorerebbe sempre di più le condizioni del sistema Paese in tutti i suoi ambiti.
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