Articolo di Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico, pubblicato sul Corriere di Verona il 18 febbraio 2012
Nelle ultime settimane, sono stati resi pubblici una serie di dati riguardanti lo stato della lotta alle varie forme di criminalità in Italia. In particolare, sul versante del contrasto alle mafie possiamo fare riferimento alle relazioni inaugurali degli anni giudiziari, alla relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) relativa al primo semestre 2011 e, da ultimo, alla relazione della Direzione nazionale antimafia (Dna) che ha analizzato quanto accaduto in Italia dal luglio 2010 al giugno 2011.
Due i dati principali che emergono: il diffondersi della corruzione e l’espandersi della presenza mafiosa, soprattutto della ‘ndrangheta calabrese, nel Nord Italia e nell’economia legale, particolarmente nei settori dell’edilizia, dei trasporti, della grande distribuzione, della gestione e trattamento dei rifiuti e, in tempi recenti, anche nel settore del gioco.
Per quanto concerne il Veneto, nella relazione della Dna si sostiene che sulla base di una “strategia di delocalizzazione del crimine organizzato” la nostra regione sarebbe diventata terra di conquista della camorra alla quale, “per ragioni inspiegabili”, si sarebbe lasciato “campo libero” anche da parte della ‘ndrangheta calabrese, ormai massicciamente presente in Lombardia.
Vista l’autorevolezza della fonte, questa considerazione va accolta con assoluto rispetto e valutata con la massima attenzione. Tuttavia, ci pare il caso di rammentare che, seppur in misura diversa da quanto sin qui emerso rispetto al territorio lombardo, anche in Veneto da anni si registra la presenza di esponenti della ‘ndrangheta. Nel 2008, ad esempio, la Commissione parlamentare antimafia, nella sua relazione sulla mafia calabrese, ha scritto che in Veneto opera la cosca dei Grandi Aracri di Cutro. Inoltre, tra la fine del 2009 e i primi giorni del 2012, la magistratura e le forze dell’ordine hanno svolto alcune operazioni che hanno portato all’arresto per traffico di droga, in provincia di Verona, di esponenti delle cosche di Corigliano Calabro e di Vibo Valentia. Beni per diverse centinaia di migliaia di euro sono stati sequestrati e confiscati ad ‘ndranghetisti residenti in provincia di Verona e di Belluno e due latitanti calabresi sono stati arrestati l’anno scorso nella provincia scaligera. Nel Comune di Garda, inoltre, come abbiamo già avuto modo di raccontare, ha operato il consorzio di imprese “Primavera”, oggetto di un’interdittiva antimafia da parte del prefetto di Reggio Emilia vista la presenza in esso di persone legate alla malavita calabrese.
Opportunamente, nella parte della sua relazione dedicata al Veneto, la Dna lancia l’allarme su due fenomeni delinquenziali, sui quali più volte abbiamo invitato a vigilare con la massima attenzione: l’usura e il riciclaggio. In un periodo di grande crisi, com’è quello che stiamo vivendo, è molto facile che esponenti delle organizzazioni mafiose, coadiuviati da insospettabili colletti bianchi, immettano nel circuito economico legale veneto dei capitali sporchi approfittando della difficoltà finanziaria e di liquidità nella quale versano diversi piccoli e medi imprenditori. La Dna, a tal proposito, cita due esempi. Il primo è quello di un signore siciliano, già oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale e figlio di una persona che è stata arrestata con l’accusa di essere stata un prestanome di Bernardo Provenzano. In provincia di Treviso, questo signore e la sua consorte hanno acquistato una serie di immobili per 1,5 milioni di euro, una cifra incompatibile con la loro dichiarazione dei redditi. Il secondo esempio citato dai magistrati antimafia è quello dell’indagine “Serpe” dell’aprile 2011, che ha coinvolto una cinquantina di imprenditori nostrani, finiti in un giro usurario gestito da una compagine criminale collegata al clan camorristico dei casalesi.
A fronte di questi fatti, appare urgente riflettere su alcuni dati riportati in un altro documento ufficiale, l’ultima relazione della Dia, secondo la quale nel primo semestre 2011 in Veneto, rispetto ai sei mesi precedenti, le denunce per usura sono diminuite del 63% – unica regione in Italia a registrare un simile calo – passando da otto a tre mentre le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, effettuate soprattutto da banche, intermediari finanziari e dagli uffici della pubblica amministrazione, sono aumentate del 23%, passando da 698 a 861.
Certamente le forze dell’ordine e la magistratura stanno facendo un buon lavoro, nonostante la scarsità di persone e di mezzi. Ma tutto questo non basta. Il sentore che abbiamo è che il problema della presenza mafiosa in Veneto sia più pronunciato di quello che sinora è emerso e che ancora oggi diversi soggetti non denuncino tutto quello che sanno o che hanno subito. Chi sa deve parlare e denunciare. Chi denuncia deve essere assistito e non lasciato solo. Soltanto così il Veneto e l’Italia potranno liberarsi per sempre delle mafie.
Opportunamente, nella parte della sua relazione dedicata al Veneto, la Dna lancia l’allarme su due fenomeni delinquenziali, sui quali più volte abbiamo invitato a vigilare con la massima attenzione: l’usura e il riciclaggio. In un periodo di grande crisi, com’è quello che stiamo vivendo, è molto facile che esponenti delle organizzazioni mafiose, coadiuviati da insospettabili colletti bianchi, immettano nel circuito economico legale veneto dei capitali sporchi approfittando della difficoltà finanziaria e di liquidità nella quale versano diversi piccoli e medi imprenditori. La Dna, a tal proposito, cita due esempi. Il primo è quello di un signore siciliano, già oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale e figlio di una persona che è stata arrestata con l’accusa di essere stata un prestanome di Bernardo Provenzano. In provincia di Treviso, questo signore e la sua consorte hanno acquistato una serie di immobili per 1,5 milioni di euro, una cifra incompatibile con la loro dichiarazione dei redditi. Il secondo esempio citato dai magistrati antimafia è quello dell’indagine “Serpe” dell’aprile 2011, che ha coinvolto una cinquantina di imprenditori nostrani, finiti in un giro usurario gestito da una compagine criminale collegata al clan camorristico dei casalesi.
A fronte di questi fatti, appare urgente riflettere su alcuni dati riportati in un altro documento ufficiale, l’ultima relazione della Dia, secondo la quale nel primo semestre 2011 in Veneto, rispetto ai sei mesi precedenti, le denunce per usura sono diminuite del 63% – unica regione in Italia a registrare un simile calo – passando da otto a tre mentre le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, effettuate soprattutto da banche, intermediari finanziari e dagli uffici della pubblica amministrazione, sono aumentate del 23%, passando da 698 a 861.
Certamente le forze dell’ordine e la magistratura stanno facendo un buon lavoro, nonostante la scarsità di persone e di mezzi. Ma tutto questo non basta. Il sentore che abbiamo è che il problema della presenza mafiosa in Veneto sia più pronunciato di quello che sinora è emerso e che ancora oggi diversi soggetti non denuncino tutto quello che sanno o che hanno subito. Chi sa deve parlare e denunciare. Chi denuncia deve essere assistito e non lasciato solo. Soltanto così il Veneto e l’Italia potranno liberarsi per sempre delle mafie.
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