1. Introduzione
“Quando si ha a che fare con l’Università – diceva sempre il mio Maestro- ci si deve mettere in fila…”
“L’Università è di per sé il luogo dell’eccellenza, la nostra storia è lì a dimostrarlo..”
“La qualità delle nostre Università è testimoniata dal processo attraverso il quale l’Accademia seleziona i suoi componenti...”
“Sottopormi al giudizio di qualità da parte degli studenti?
I concorsi che ho superato sono di per sé la dimostrazione della mia qualità…”
“Affidare a qualcuno il potere di giudicare il mio operato significa ledere il fondamentale principio della libertà d’insegnamento!
Si comincia così, e poi ci sarà qualcuno che verrà a dirci cosa dobbiamo o possiamo insegnare….”
“Gli studenti, che competenze hanno per giudicare i docenti?
Nessuna, danno le valutazioni più elevate a quelli che fanno i simpatici, a quelli che promuovono tutti!
Ma io sono per il rigore e la qualità….”
“E poi smettiamola con questa storia dei clienti!
Noi non vendiamo panini o vestiti, noi trasmettiamo conoscenze!
E gli studenti sono lì per studiare ed apprendere, altro che clienti….”
Questi sono solo alcuni dei “ragionamenti” che è ancora facile sentire, tra le aule ed i dipartimenti, da parte di qualche docente (non tutti), quando si affronta il tema della qualità in Università. Un atteggiamento tra la lesa maestà e la supponenza, tra la difesa di casta e una sorta di terrorizzato “mettere le mani avanti” quasi a voler prevenire possibili osservazioni e critiche. Il tutto condito da una buona dose di rimpianto per i “bei vecchi tempi andati”, quando niente e nessuno pensava di mettere in discussione il tradizionale modus operandi.
Con questo lavoro ci si ripromette di fornire alcuni stimoli di riflessione in merito alla assoluta improcrastinabilità – per le nostre Istituzioni Universitarie – di un approccio fondato sulla qualità, nonché di illustrare alcuni strumenti che in relazione al servizio di formazione possono efficacemente supportare tale sforzo.
2. L’Università ed i mutamenti del contesto ambientale
Molteplici sono i fattori e le circostanze che, nell’ultimo quarto di secolo, hanno contribuito a modificare drasticamente le condizioni ambientali nelle quali si trova ad operare l’istituzione universitaria nel nostro Paese. Tra questi, alcuni vanno senz’altro ricordati, sia pure per sommi capi.
- La crescita demografica successiva al boom economico degli anni ’60 che, insieme al miglioramento della qualità della vita della popolazione, ha favorito l’enorme crescita della scolarità a tutti i gradi, Università compresa, ponendo a quest’ultima la necessità di trasformarsi da istituzione concepita per la formazione “di pochi” ad “Università di massa”. Questa tendenza, in coerenza alla quale sono stati concepiti e predisposti negli anni addietro piani di sviluppo volti ad adeguare le capacità di offerta alla crescente domanda, è stata consistentemente messa in discussione negli ultimi tempi dalla netta inversione subita dal trend di crescita della natalità. La ridotta natalità, pur accompagnandosi ancora ad un aumento del tasso di prosecuzione scolastica dalla scuola secondaria all’Università (peraltro legato, in specie in alcune aree, alle difficoltà del mercato del lavoro), rende non più verosimili, per gli anni a venire, buona parte dei progetti di sviluppo pensati – e spesso anche realizzati – nella fase precedente. D’altra parte, proprio sulla base della contrazione demografica attesa nella popolazione che si affaccerà all’Università negli anni futuri, per mantenere il numero delle immatricolazioni costante sui livelli raggiunti negli anni ‘90, l’indice di scolarizzazione universitaria dovrebbe arrivare nei prossimi anni, nel nostro Paese, ben oltre il 63%, con un aumento di quasi il 50%: prospettiva, questa, abbastanza irrealistica, e rispetto alla quale comunque più di un interrogativo sarebbe legittimo, se non altro in termini di scelte complessive rispetto alle dinamiche di scolarizzazione ed ai correlativi costi-benefici a livello di sistema-Paese.
- Il progressivo mutamento in atto nei meccanismi di finanziamento degli Atenei, a partire dalla legge 537/93, che ri-disegna in profondità la materia, capovolgendo il principio dei posti in quello del budget e del merito. Sostanzialmente ogni Ateneo sarà sempre più libero di decidere come ripartire le proprie spese, e responsabilizzato rispetto ai risultati raggiunti. Si comprende come le singole Università debbano “imparare” a governare condizioni di risorse scarse e, quindi, a porsi anche nell’ottica, per molti versi del tutto nuova, di “reperire sul mercato” eventuali risorse aggiuntive. Risorse addizionali possono essere generate da possibili risparmi o da maggiori entrate, vuoi per il corrispettivo dell'attività formativa, vuoi per il contributo di sostenitori esterni all'Università, vuoi per il conseguimento di performance migliori. In ogni caso è evidente che si introducono prepotentemente nel processo decisionale dell'Università i criteri di economicità, di produttività e di efficacia dei processi produttivi realizzati, siano essi quelli della didattica, della ricerca o dei servizi tecnico-amministrativi.
- Il mutamento sociale e culturale della popolazione che, anche grazie all’elevarsi delle condizioni di vita, comporta l’affermazione di stili e consuetudini che fanno della mobilità sul territorio una pratica consolidata che non incontra più le remore del passato, tipiche di società più “chiuse”. Ciò determina una profonda messa in discussione della situazione di sostanziale monopolio territoriale nel quale gli Atenei hanno sinora vissuto. “E’ la presenza stessa degli studenti a non essere più un fatto scontato – quasi che essi fossero dati in dotazione all'Università – ma piuttosto un obiettivo da raggiungere in competizione con altre sedi” . D’altra parte, caduta o se non altro di certo affievolita la remora alla mobilità territoriale per gli studenti, entrano in campo altre considerazioni che fanno diretto riferimento alla più attenta valutazione dell’investimento correlato alla decisione dell’iscrizione all’Università. Negli ultimi anni, infatti, ed in relazione al mutamento intervenuto nel meccanismo di finanziamento “centrale” delle Università cui si è sopra fatto cenno, il costo dell’iscrizione universitaria (le così dette tasse universitarie) ha subito un aumento considerevole, che già ora e comunque sempre più in prospettiva indurrà le famiglie e gli studenti a considerare con maggiore attenzione rispetto al passato i benefici connessi alla scelta di un corso di studi rispetto ad un altro, di un Ateneo rispetto ad un altro, in termini sia di “valore di mercato” del titolo conseguito, sia di concreta organizzazione del processo formativo (didattica e servizi di supporto) . Ciò in prospettiva contribuirà significativamente a rendere superato il concetto di bacino territoriale, cui in una logica monopolistica le Università hanno da tempo fatto riferimento nei propri piani di sviluppo.
Tutto questo, in sostanza, ha come immediata ed inevitabile conseguenza quella di portare in primo piano una delle componenti tradizionali dell’ambiente dell’Università: la domanda, nelle sue dimensioni quantitative e qualitative, come espressione delle esigenze dei vari “pubblici di riferimento” rispetto alle attività didattiche universitarie. Così, una considerazione del tutto nuova sono destinate ad assumere le aspettative rivolte ai singoli Atenei da parte degli studenti stessi e delle loro famiglie, degli studenti potenziali, di imprese, enti pubblici e privati, datori di lavoro diversi, istituti di credito, mass media, organizzazioni sindacali, comunità scientifica nazionale ed internazionale, cittadinanza nel suo complesso.
Rinviando ad altro lavoro la puntuale descrizione della natura delle relazioni tra ciascun singolo pubblico e l’Università, giova in questa sede sottolineare come, rispetto al dinamismo che caratterizza la domanda di alta formazione espressa dall'ambiente, l'Università si trovi nella condizione di dover esprimere una correlativa capacità di adeguamento .
Tale necessità deriva non tanto dall'obbedienza ad una astratta legge sistemica, che postula il mantenimento di un equilibrio tra dinamismo ambientale e azienda, quanto dalla concreta e reale esigenza di assolvere la funzione assegnatale dalla collettività, ovvero la preparazione delle classi dirigenti – intermedie ed elevate – del Paese, assicurando eque possibilità di accesso a tutti i cittadini.
L’Università, in quanto attore non esclusivamente tecnico-scientifico, ma anche sociale ha dunque bisogno di riscuotere il consenso da parte dei “pubblici” in relazione alla funzione ad essa assegnata dalla società. Tale consenso, la legittimazione sociale, costituisce il presupposto per l’esistenza dell’Università nella società, ma non è una risorsa illimitata ed indipendente dai comportamenti assunti : quindi anche l'Università deve mostrare di meritare nel tempo il consenso medesimo.
Sin qui le considerazioni che spingono verso un approccio che ponga al centro la domanda, componente dell’ambiente dell’Università che non sempre ha ricevuto, nel passato ed in ragione dell’affermarsi di una certa tendenza dell’istituzione all’auto-referenzialità, tutte le attenzioni che meritava.
Ma cosa significa concretamente mettere al centro la domanda, in attività come la didattica universitaria, che può considerarsi un servizio altamente complesso e peculiare, non assimilabile alle attività manifatturiere e nemmeno a servizi di natura commerciale?
È su questo che si proverà a fornire degli spunti nelle pagine successive.
3. Le peculiarità del servizio di formazione universitaria
Oltre alle complesse trasformazioni prima ricordate, altri fenomeni più puntuali stanno a testimoniare un progressivo venir meno del consenso all’Università come unica istituzione cui è deputata l’alta formazione: si ricorda, ad esempio, la comparsa anche nel nostro Paese delle cosiddette Corporate University; si pensi pure al periodico riaffiorare nel dibattito politico della proposta di abolizione del valore legale dei titoli di studio.
In sostanza le condizioni sono mature perché si inizi ad affrontare in modo laico e non più dogmatico la questione . Ciò significa che la legittimazione ad agire dell’Università nell’alta formazione dovrà derivare dalle capacità della stessa di elevare il livello qualitativo delle proprie prestazioni, mantenendosi in sintonia con le esigenze della domanda.
È possibile fare questo? E come?
L’approccio alla qualità dei servizi, sviluppato dai filoni di studi del Total Quality Management e del Service Management , costituisce un framework concettuale e metodologico adeguato.
Esso infatti si pone espressamente l’obiettivo del miglioramento della qualità attraverso l’adozione di strumenti specifici e allo stesso tempo può venire adattato per tener conto delle peculiarità della didattica universitaria, ovvero:
- l’essere un servizio altamente immateriale,
- l’essere un servizio professionale,
- l'essere un servizio connotato da asimmetria informativa.
La formazione universitaria è in effetti un servizio, ovvero un’attività che risolve un problema di un cliente ponendo quest’ultimo in contatto con qualcuno o qualcosa dotato di risorse e competenze utili per la soluzione o la gestione del problema. Ciò premesso, si tratta di un servizio ad alto grado di immaterialità, che necessita di elevate competenze professionali da parte degli erogatori, nella fattispecie docenti e personale di supporto.
L’elevata immaterialità del servizio di formazione universitaria comporta alcune conseguenze:
- questa non può essere valutata dallo studente prima della sua effettiva fruizione;
- il processo decisionale di scelta rischia di finire bloccato da ansie e paure;
- la garanzia fornita dal nome e dalla reputazione dell’Ateneo erogatore diventa una condizione essenziale per operare sul mercato.
D’altra parte la formazione universitaria è un servizio ad elevato contenuto professionale, il che significa che la sua produzione si basa proprio sulle competenze dell’erogatore e non su lavoro scarsamente qualificato o su tecnologie come avviene nei servizi “commerciali” (ad esempio pulizia, sorveglianza o noleggi).
Le competenze professionali necessarie per insegnare in Università poggiano le loro basi nel sistema di istruzione più avanzato (Dottorato), si costruiscono attraverso percorsi di mentoring pluriennali – si pensi all'avvio alla carriera dei giovani accademici – e devono essere alimentate continuamente tramite la pratica consapevole, le attività di ricerca scientifica ed il confronto tra colleghi.
Tutto questo implica anche che la formazione universitaria presenti una naturale asimmetria informativa che separa erogatori e fruitori: effettivamente gli studenti sono in grado di valutare solo in modo parziale la formazione ottenuta dai loro professori. I risultati del servizio di alta formazione andrebbero valutati non tanto nell’immediato ma anche a distanza di anni, da parte dei laureati e dei loro datori di lavoro, nonché delle comunità professionali e scientifiche nazionali ed internazionali.
La questione è quanto mai complessa, le considerazioni fatte suggeriscono che la preparazione, la capacità di ricerca, il rigore dei docenti universitari siano componenti di un profilo di qualità didattica complessiva che deve comprendere, accanto a queste variabili, la capacità di far apprezzare il lavoro svolto, di ispirare fiducia, di ascoltare gli interlocutori, studenti anzitutto ma pure soggetti esterni, di coinvolgere i docenti stessi in ruoli da protagonista. Questo profilo di qualità didattica complessiva può trovare opportuna collocazione all'interno dell'approccio che verrà illustrato nelle pagine seguenti.
In assenza di un approccio sistematico, la qualità rimane un attributo valutato internamente e in modo autoreferenziale in seno alla comunità dei professori universitari, con i problemi di legittimazione cui si faceva cenno sopra.
4. Un possibile approccio alla qualità dei servizi di formazione universitaria
L’approccio alla qualità dei servizi di formazione universitaria qui proposto si fonda su alcuni postulati:
a) Management by facts,
b) centralità dello studente,
c) partnership con soggetti esterni,
d) centralità del personale,
e) orientamento al medio - lungo periodo.
a) Management by facts
La tendenza all’autoreferenzialità che si manifesta fisiologicamente all’interno di comunità ad alto livello di professionalità come quella accademica può avere effetti negativi sulla razionalità dei processi decisionali. Al limite si può arrivare al predominio di criteri di scelta del tutto sganciati dai risultati effettivi, dalle performance e dall’analisi dei bisogni, in favore di logiche di potere e di perpetuazione dell’esistente, alimentate anche dalla intrinseca complessità organizzativa degli Atenei.
Pertanto il principio del Management by facts, presente nel Total Quality Management, impone di basare le decisioni non tanto su sensazioni o intuizioni o petizioni di principio, quanto su dati oggettivi e riscontrabili, per lo più quantitativi , interpretati alla luce del problema decisionale. Tali dati possono chiarire meglio il quadro della situazione e/o fornire elementi di controllo dopo che la decisione sarà stata messa in atto.
Basare le decisioni su dati e fatti sembra necessario sia a livello di governance centrale di Ateneo (Senato Accademico, Commissioni di Ateneo) sia a livello periferico (Facoltà e Corsi di Studi). Non sempre infatti chi vive quotidianamente una realtà didattica o di ricerca riesce a coglierne la sintesi con l’efficacia, talora brutale, dei numeri e delle cifre.
Cimentarsi con la dimensione anche quantitativa dei fenomeni può contribuire a lenire alcuni effetti dell’autoreferenzialità dei processi decisionali. In aggiunta, il Management by facts costituisce un’utile premessa all’introduzione della cultura della valutazione nel sistema universitario o quanto meno può far sì che la struttura didattica non resti completamente “spiazzata” di fronte a valutazioni esterne, come quelle dei Nuclei di Valutazione di Ateneo o di progetti nazionali ed internazionali.
b) Centralità dello studente
La tendenza all’autoreferenzialità nei processi decisionali si esprime, tra l’altro nella marginalizzazione dello studente universitario, naturale destinatario del servizio di formazione erogato dagli Atenei. A parte i richiami alla centralità dello studente presenti nei documenti istituzionali (Statuti e Regolamenti), la partecipazione degli studenti ai processi decisionali delle Università si esprime quasi esclusivamente attraverso il meccanismo della rappresentanza, che però non sempre riesce a mediare e tradurre efficacemente tutte le istanze e le esigenze degli studenti nelle loro molteplici “categorie” (studenti full-time e part-time, lavoratori, genitori, diversamente abili, stranieri ….).
Sono necessari allora strumenti che consentano di “ascoltare la voce” dello studente, in modo sistematico e non estemporaneo, per offrire servizi didattici e di supporto più utili, più essere vicini a chi li utilizza, per semplificare e rendere più trasparenti i processi amministrativi.
Questo non significa certo che le attività didattiche universitarie debbano modellare i propri contenuti sulle esigenze dello studente o perdere di rigore; si tratta piuttosto di prendere atto che nella società contemporanea tutto il complesso rapporto tra cittadinanza e pubblici servizi è interessato da un evidente e auspicabile mutamento nella direzione dell'ascolto, della trasparenza, della snellezza delle procedure .
c) Partnership con soggetti esterni
L’autoreferenzialità dei processi decisionali si manifesta infine con una chiusura rispetto alle esigenze di soggetti esterni, che guardano all’Università come al luogo dove si producono e si diffondono conoscenze ma poi sono obbligati a rivolgersi altrove, a società di consulenza e formazione, a centri di ricerca, ad esempio per vedere riconosciute le proprie istanze.
La situazione, potenzialmente pericolosa, può essere affrontata tramite forme di collaborazione (partnership) tra Università e soggetti esterni interessati (datori di lavoro, enti pubblici, istituti di credito e loro fondazioni, organizzazioni sindacali, sistema della Pubblica Amministrazione).
Nella didattica si tratta di attuare un coinvolgimento di detti soggetti nella progettualità dei corsi di studi, per la definizione delle esigenze formative e per la verifica delle condizioni di occupabilità dei laureati nel contesto socio-economico.
Ciò dovrebbe evitare o quanto meno ridurre il rischio di istituire corsi di studi del tutto avulsi dal mercato del lavoro, con pesanti conseguenze per i laureati, per le loro famiglie e per la collettività in generale.
La partnership con soggetti esterni implica anche il loro coinvolgimento attivo per l’organizzazione di attività propedeutiche all’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro, come stage e tirocini, presentazione di ruoli professionali e sbocchi occupazionali, attività pratico-lavorative organizzate in Università con docenti esponenti del mondo professionale.
d) Centralità del personale
L’importanza del ruolo del docente per la qualità della didattica è talmente evidente da risultare scontata. Tuttavia non sempre il docente universitario viene messo in grado di svolgere in modo incisivo tale ruolo, così da aumentare l’efficacia del suo lavoro didattico.
Le difficoltà con cui si confrontano i docenti nelle Università vanno dalle carenze strutturali (mancanza di aule o di attrezzature adeguate), all’affollamento eccessivo, alla spersonalizzazione delle relazioni con gli studenti, all’inadeguato supporto amministrativo che costringe i docenti al “fai da te” su tutti i fronti, anche per le attività più banali. Le energie e l’entusiasmo rischiano dunque di disperdersi di fronte a tali ostacoli.
Viceversa, il principio di centralità del personale richiederebbe che i docenti, ma anche gli impiegati tecnici-amministrativi, fossero messi in condizione di “prendere decisioni, costruire relazioni e intraprendere azioni per aumentare i livelli di soddisfazione della clientela” . In sostanza la responsabilizzazione delle persone dovrebbe far sì che vengano a galla le infinite capacità dell'uomo nel risolvere problemi, contribuendo così a migliorare la qualità anche in condizioni di risorse non abbondanti.
e) Orientamento al medio-lungo periodo
La visione di lungo periodo impone di anteporre la qualità ai risultati immediati , magari espressi in termini di finanziamenti ministeriali o di incremento di organico dell'Ateneo o della Facoltà. La convinzione di fondo dovrebbe essere che la qualità, alla fine, paga sempre.
Certo questo orientamento richiede che chi governa l'Ateneo o la Facoltà abbia una capacità di visione oltre l’immediato o oltre l’orizzonte del mandato elettorale ricevuto, per saper identificare una missione chiara, distintiva e motivante per il personale.
Evidentemente non è semplice motivare persone intellettualmente raffinate come gli accademici, tuttavia non dovrebbe essere impossibile, se si considera che una certa dose di idealismo fa parte del profilo caratteriale ideale del professore universitario.
5. Alcuni strumenti
Perché le considerazioni appena esposte non rimangano su un piano di principio, ma esprimano la loro valenza pratica, si illustreranno senza pretesa di esaustività alcuni strumenti manageriali applicabili per il miglioramento della didattica universitaria.
Nello specifico, al Management by facts corrisponde lo svolgimento sistematico di attività di intelligence (analisi dell'ambiente e del mercato) volta a comprendere il divenire della domanda di formazione universitaria, le scelte della concorrenza (altri Atenei e istituti di alta formazione), la normativa, l'ambiente economico e la tecnologia.
Tale attività prevede una funzione di ricerca e diffusione delle informazioni tra i vari livelli decisionali interessati, centrali e periferici, anche tramite la creazione di piattaforme informative e informatiche condivise, ad accesso più o meno riservato.
Maggiori dosi di dati e fatti nel sistema decisionale, come prescrive il Management by facts, richiedono che chi è chiamato a prendere decisioni si doti di una “alfabetizzazione” statistico-matematica, se non altro per non mettersi in completa balia di esperti o sedicenti tali che diventano in grado di pilotare le scelte attraverso la manipolazione dei dati.
Il postulato della centralità dello studente richiede che l’Ateneo impieghi strumenti di ascolto organizzativo, al di là dell’ascolto empatico che si può verificare nei contatti personali, vis-à-vis, tra personale universitario e studente. Tali strumenti comprendono l’analisi e la risposta ai reclami formalizzati, le indagini sulla soddisfazione degli studenti (student satisfaction) e le indagini sui bisogni ed aspettative di studenti attuali e potenziali.
Al primo posto, in ordine di importanza tra gli strumenti di ascolto organizzativo si collocano le indagini di student satisfaction. Queste infatti consentono di esprimersi a tutti gli studenti, in genere frequentanti le attività didattiche e completano il quadro, generalmente piuttosto fosco, delineato dai contenuti dei reclami o di eventuali contenziosi legali.
I risultati delle indagini di student satisfaction, laddove positivi, dovrebbero essere utili sia per fluidificare le relazioni con i soggetti esterni, sia per motivare e valorizzare il personale docente e amministrativo.
Laddove vi fossero risultati negativi, si otterrà una visione nitida delle aree critiche su cui è opportuno intervenire, eventualmente anche con una comunicazione che spieghi agli studenti le ragioni di eventuali ritardi, disservizi o carenze strutturali.
I reclami formalizzati possono invece essere letti alla stregua di «eventi sentinella», gravi errori che non si sarebbero dovuti verificare, su cui indagare per ricercarne le cause, piuttosto che i colpevoli. Segnalazioni e reclami vanno attentamente considerati perché sono in genere la spia di una più ampia diffusione del problema. La gran parte degli studenti cerca infatti in genere soluzioni “in proprio”, magari assediando alcuni professori o impiegati particolarmente disponibili. Per presentare un reclamo occorre che lo studente nutra una buona dose di fiducia nell'Università, nella correttezza degli interlocutori e nella possibilità di risolvere effettivamente il problema, per sé e per altri studenti.
Un ulteriore modo per incoraggiare gli studenti ad esprimere apertamente le proprie opinioni è la predisposizione di schede di segnalazione e di una cassetta per i suggerimenti, nei locali delle Facoltà.
Oltre all'ascolto degli studenti, altre attività andrebbero attuate per tenere sotto controllo dei comportamenti che sono sintomo di insoddisfazione e disaffezione. Ci si riferisce qui alla necessità di monitorare i trasferimenti di studenti ad altri Atenei, con la realizzazione di periodiche ricerche sui motivi delle defezioni. E’ probabile che in questo modo che i soggetti responsabili dell’Università abbandonata facciano interessanti scoperte sui veri problemi della propria organizzazione.
In aggiunta, andrebbero tenute sotto controllo le situazioni di studenti a rischio di abbandono, come quelli “dormienti” ovvero che non sostengono esami da un certo periodo di tempo.
Come è stato evidenziato , la decisione di abbandonare raramente deriva da una posizione chiara ed irrevocabile; la maggioranza degli studenti sperimenta una interruzione temporanea, senza esplicitamente rinunciare agli studi. Esiste spesso un periodo, durante il quale un’appropriata azione svolta dall’istituzione universitaria potrebbe produrre dei risultati. Si ritiene anche che un contatto individuale con ciascun studente – ad esempio, una lettera che invita ad un incontro personalizzato – potrebbe aiutare a ricostruire la relazione interrotta.
La necessità di attivare partnership con soggetti esterni, in relazione alla progettualità dei corsi di studi, può trovare una soluzione organizzativa nell'istituzione di Comitati di Indirizzo che possano interagire con i soggetti decisionali accademici sia in fase istitutiva sia nella gestione a regime del corso di studi, sia in occasione di importanti modifiche all’assetto didattico. Ovviamente si porrà il problema della composizione di tali Comitati di Indirizzo, bilanciando le contrapposte esigenze di rappresentare il maggior numero possibile di soggetti esterni interessati e di assicurare una ragionevole snellezza ai comitati stessi. E’ quasi superfluo sottolineare che ai Comitati devono prendere parte i soggetti dotati di poteri e responsabilità in merito ai corsi di studi, altrimenti i suggerimenti e le indicazioni dati dagli interlocutori esterni rischiano di restare lettera morta.
Con un ruolo diverso,di tipo relazionale-sociale, potrebbero essere coinvolte e attivate le associazioni degli Alumni, i laureati o comunque ex studenti della Facoltà o del Corso di Studi. Queste associazioni forniscono servizi, ad esempio organizzano incontri o diffondono newsletter per mantenere i collegamenti tra l’Università e i suoi laureati. Inoltre spesso supportano i neo-laureati e costituiscono un ambito nel quale si formano nuove amicizie e relazioni di business tra persone che hanno un background di istruzione superiore comune. Il collegamento con le associazioni dei laureati può essere un importante veicolo per la raccolta di fondi da parte degli Atenei o meglio ancora delle singole Facoltà.
Gli strumenti per responsabilizzare il personale, soprattutto docente, sul miglioramento della qualità della didattica dovrebbero contemplare, quanto meno, una revisione critica dei criteri di valutazione su cui si costruiscono, attraverso i concorsi, le carriere degli accademici. Le capacità didattiche, i risultati, l’impegno nella docenza dovrebbero infatti essere valutati, se non alla pari dei meriti scientifici, comunque con un peso maggiore rispetto alla situazione attuale. Questo esige che la Facoltà, quando esprime il proprio giudizio sull’operato dei docenti, ad esempio in occasione delle conferme in ruolo, non rinunci alle valutazioni nascondendosi dietro le “formule di rito” dei verbali dei Consigli.
Sembrerebbe anche utile cercare, all’interno delle comunità scientifiche, di valorizzarle come luogo per la crescita di competenze didattiche, per la condivisione di esperienze tra colleghi dello stesso ambito disciplinare e per scambi di materiali e metodi. Sicuramente la funzione delle comunità scientifiche uscirebbe arricchita da questa contaminazione tra ricerca e didattica.
Infine l’adozione di un orientamento al medio lungo periodo nelle scelte dovrebbe pragmaticamente passare attraverso la definizione per l'Ateneo di un posizionamento competitivo sostenibile nel tempo, distintivo e sensato rispetto alle Università “rivali”.
Posto che non tutti gli Atenei italiani possono mirare a collocarsi ai vertici delle classifiche di eccellenza nella ricerca, probabilmente vi sono ancora buoni spazi per chi punta ad una didattica di qualità, in grado di avere indubbie ricadute sul territorio.
In definitiva, il miglioramento della didattica universitaria costituisce un problema cui si può cercare di dare una risposta attraverso principi e strumenti del Total quality Management e del Service Management.
Le azioni da intraprendere sono parecchie, tengono conto delle peculiarità della didattica universitaria come servizio e nessuna di esse sembra preludere ad un abbassamento degli standard qualitativi di preparazione e impegno. Gli sforzi fatti in questa direzione veicolano anzi a tutti i membri della comunità accademica il valore della centralità degli studenti. Lo studente viene per primo, come la ragione d’essere dell’istituzione universitaria; l'approccio alla qualità è lì per ricordarlo.
Il problema delle buone idee
è che degenerano velocemente
in duro lavoro
P. Drucker
1 Pur essendo il lavoro frutto di riflessioni comuni, in sede di stesura finale i paragrafi 1 e 2 sono da attribuirsi a Federico Testa, i paragrafi 3, 4 e 5 a Marta Ugolini.
2 In questo caso, la situazione che si potrebbe creare è quella di uno squilibrio tra offerta e domanda, con conseguenze negative sul livello di efficienza del sistema, conseguenze che saranno peraltro tanto più gravi quanto più difficile, rigido, si presenterà il processo di ri-allocazione delle risorse coinvolte.
3 Ottenuto rapportando gli iscritti al 1° anno nell’istruzione universitaria alla popolazione di 19 anni.
4 Cfr. M. MARIGO, Sulla via del cambiamento, «Notizie per dialogare. Informazioni per il personale dell'Università di Verona» n. 1, 1996, p. 3 che prosegue ricordando che "come forse è noto solo in apparenza, senza studenti non c'è Università, in quanto sono i ragazzi i veri destinatari di tutto quello che viene fatto in qualsiasi unità organizzativa dell'ateneo, ovvero, in definitiva, la ragione di esistere della struttura accademica. Una volta conquistata la preferenza degli studenti, è essenziale saperne conservare la fiducia attraverso l'offerta di servizi, didattici e di supporto, all'altezza delle esigenze sempre crescenti sia in termini quantitativi che qualitativi. Non sembra più accettabile, in sostanza, un modello di Università-istituzione chiuso al suo interno, incapace di dialogare con i suoi interlocutori, gli studenti in primis, di rinnovarsi dinamicamente".
5 “Dal punto di vista dell’efficienza, il fatto che gli studenti siano chiamati a contribuire, per quanto in misura parziale, al loro finanziamento stimolerà le Università alla ricerca sistematica della soddisfazione dei propri utenti e questi ultimi a esercitare un maggior controllo sociale sulla quantità e qualità dei servizi ricevuti, che impareranno ad apprezzare per il loro valore oltre che ad utilizzare in modo responsabile”. P. COSTA, Tasse, contributi e diritto allo studio, in «La sfida dell'autonomia universitaria», Atti della Conferenza nazionale CRUI, Cleup Editrice, Padova, 1995, pp. 91-102.
6 Sul concetto di “pubblico di riferimento” cfr. P. KOTLER, Al servizio del pubblico, Etas Libri, Milano, 1978, p. 24 e s.s.
7 F. TESTA, La carta dei servizi: uno strumento per la qualità nell’Università, Cedam, Padova, 1996, p. 83 e s.s.
8 Cfr. in questo senso P. DAUMARD, Valutazioni e management pubblico: il caso delle Università, «Problemi di Amministrazione Pubblica», n. 3, settembre 1991, p. 537. L’Autore sottolinea, nell'ambito di un più generale riferimento al settore pubblico, che l'Università non può "restare indifferente alle evoluzioni ed alle pressioni esterne, e che il cambiamento deve pur raggiungerla. Ben più che una moda, si tratta di una tendenza di fondo che imposta in modo nuovo la riflessione sul settore pubblico ed il suo management".
9 Inoltre, va sottolineato come la legittimazione sociale sia una risorsa delicata, la cui evoluzione è particolare, nel senso che essa sembra permanere fino al momento in cui, apparentemente all'improvviso, viene a mancare. Essa è infatti soggetta a movimenti di lungo periodo, quasi impercettibili, che nel tempo si accumulano fino ad un punto di rottura in cui gli effetti negativi si manifestano in maniera dirompente, lasciando ridotti margini per il ristabilimento di condizioni di "normalità". E' quindi molto importante rilevare e tenere conto dei segnali deboli che fanno percepire le variazioni nel livello di questa risorsa.
10 Cfr. con riferimento al mondo delle imprese municipalizzate C. BACCARANI, Controllo di mercato e legittimazione sociale dell'impresa, «Quaderni di Sinergie», n. 8, 1992, pp. 40-41.
11 E.W. DEMING, L’impresa di qualità, Isedi, Torino, 1989; J.M. JURAN,. La perfezione possibile; IPSOA, Milano, 1989; C. GRÖNROOS, Service management and marketing. A customer relationship management approach, Wiley, Chichester, 2000; R. NORMANN, La gestione strategica dei servizi, Etas Libri, Milano, 1992.
12 J. RAANAN, T.Q.M. for Universities: Can We Practice What We Preach?, paper presented at «Toulon-Verona Conference, University Management By Total Quality,» Toulon University, 3-4 september 1998.
13 J.J. DAHLGAARD, S.M. PARK DAHLGAARD, From defect reduction to reduction of waste and customer/stakeholder satisfaction (understanding the new TQM metrology), «Total Quality Management », vol. 13, n. 8, 2002, pp. 1069 – 1085.
14 Si ricorda al riguardo l’emanazione dell’ormai storica Legge sulla trasparenza amministrativa (L. 7 agosto 1990 n. 241) che consente al cittadino l’accesso agli atti amministrativi. Particolare significato assume la Direttiva del 27 gennaio 1994 che introduce la Carta dei Servizi nei principali servizi pubblici.
15 B. SPENCER, Modelli organizzativi e gestione della Qualità Totale, «Sviluppo & Organizzazione», n. 149, maggio-giugno 1995, p. 63.
16 K. ISHIKAWA, Guida al controllo qualità, Franco Angeli, Milano, 1991.
17 In linea di principio nulla vieta che tali indagini vengano estese anche agli studenti non frequentanti, tramite interviste a distanza, questionari on line, ecc.
18 G. MONACI, Gli abbandoni degli studi universitari in Lombardia, Franco Angeli, Milano, 1992.
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