Occorre ricordare che il disegno di legge delega “Jobs Act” non prevedeva specificatamente la disciplina dei licenziamenti economici e disciplinava il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In sede di esame della proposta di legge delega numerosi sono stati le modifiche concordate e mediate dal Presidente della commissione lavoro Cesare Damiano, il quale è riuscito a condurre ad unità il gruppo PD per poi determinare, a cose fatte, il parere sullo schema di decreto legislativo per capovolgere i contenuti della legge delega in materia di licenziamenti economici.
Tra gli emendamenti approvati dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati vi è il seguente che tratta i licenziamenti per motivi economici: "Al comma 7, lettera c), aggiungere, in fine, le parole: escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento;1. 538. Sottoscritto da Gnecchi, Cinzia Maria Fontana, Giorgio Piccolo, Boccuzzi, Giacobbe, Casellato, Incerti, Maestri, Albanella, Simoni, Miccoli, Baruffi, Malisani, Gribaudo, Paris, Martelli, Tullo, Rotta.
L’emendamento Gnecchi ed altri è stato approvato dalle camere ed è contenuto nella lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Fino a questo punto dell’iter legislativo non ci sono stati problemi per il Jobs Act. Nel momento in cui lo schema del decreto delegato veniva sottoposto al parere delle Commissioni Lavoro della Camera e del Senato sono sorte polemiche, scontri e strumentalizzazioni finalizzate a escludere dalla disciplina dei licenziamenti economici i licenziamenti collettivi che si identificano con i primi. Il parere della Commissione Lavoro della
Camera è stato tassativo e quello del Senato possibilista riguardo ai
licenziamenti collettivi.
La prima cosa da chiarire è che i licenziamenti collettivi rientrano a pieno titolo nei licenziamenti economici e che, pertanto, sono disciplinati dalla lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
L’emendamento Gnecchi mirava soprattutto al “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento” ed ha sottovaluto la esclusione “per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio”.
Per risolvere il problema del mancato reintegro per i licenziamenti economici si è pensato di intervenire in Commissione Lavoro della Camera, la quale ha espresso il parere non vincolante sullo schema del decreto attuativo ed ha richiesto in modo obbligatorio l’esclusione dei licenziamenti collettivi dal decreto. Non a caso i proponenti dell’emendamento ed i sostenitori dello stesso hanno parlato di licenziamenti collettivi e non economici per rendere credibile invano il loro intervento.
Il Governo in sede di approvazione definitiva del decreto attuativo della delega in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti non ha considerato il parere non vincolante delle Commissioni Lavoro perché in contrasto con la letterac) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183, la quale ha escluso chiaramente l’applicazione della reintegrazione dei licenziamenti economici, compresivi dei licenziamenti collettivi. Se il Governo avesse accolto il parere la norma sarebbe stata incostituzionale. Pertanto, l’accusa al Governo di aver ignorato il parere delle Commissioni è infondata.
Se la minoranza del PD fosse stata più attenta avrebbe potuto presentare, a suo tempo, un emendamento esplicito sul reintegro dei licenziamenti collettivi e non farsi promotore dell’emendamento sui licenziamenti economici, primo firmatario Gnecchi, che esclude la reintegrazione. Inoltre, avrebbe evitato di esprimere un parere contrario non vincolante contrario alla legge delega ed aprire un confronto strumentale e non risolvibile.
Stefano Ceccanti, costituzionalista, in risposta al collega Gustavo Zagrebelsky ha dichiarato: “ Il prof. Zagrebelsky sostiene oggi sul Fatto quotidiano che in materia di licenziamenti il decreto del Governo è andato oltre la delega. Evidentemente non ha letto la lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della delega, che riproduco qui sotto (*). È esattamente vero il contrario: la delega è così precisa nell’escludere il reintegro per i licenziamenti economici, che era invece il parere della Commissione Camera, scorporando i licenziamenti collettivi, a violare la delega. Il Governo, col decreto, ha rispettato la delega. Chi era contrario avrebbe dovuto emendare la delega, non cercare di aggirarla dopo.
La prima cosa da chiarire è che i licenziamenti collettivi rientrano a pieno titolo nei licenziamenti economici e che, pertanto, sono disciplinati dalla lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
L’emendamento Gnecchi mirava soprattutto al “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento” ed ha sottovaluto la esclusione “per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio”.
Per risolvere il problema del mancato reintegro per i licenziamenti economici si è pensato di intervenire in Commissione Lavoro della Camera, la quale ha espresso il parere non vincolante sullo schema del decreto attuativo ed ha richiesto in modo obbligatorio l’esclusione dei licenziamenti collettivi dal decreto. Non a caso i proponenti dell’emendamento ed i sostenitori dello stesso hanno parlato di licenziamenti collettivi e non economici per rendere credibile invano il loro intervento.
Il Governo in sede di approvazione definitiva del decreto attuativo della delega in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti non ha considerato il parere non vincolante delle Commissioni Lavoro perché in contrasto con la letterac) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183, la quale ha escluso chiaramente l’applicazione della reintegrazione dei licenziamenti economici, compresivi dei licenziamenti collettivi. Se il Governo avesse accolto il parere la norma sarebbe stata incostituzionale. Pertanto, l’accusa al Governo di aver ignorato il parere delle Commissioni è infondata.
Se la minoranza del PD fosse stata più attenta avrebbe potuto presentare, a suo tempo, un emendamento esplicito sul reintegro dei licenziamenti collettivi e non farsi promotore dell’emendamento sui licenziamenti economici, primo firmatario Gnecchi, che esclude la reintegrazione. Inoltre, avrebbe evitato di esprimere un parere contrario non vincolante contrario alla legge delega ed aprire un confronto strumentale e non risolvibile.
Stefano Ceccanti, costituzionalista, in risposta al collega Gustavo Zagrebelsky ha dichiarato: “ Il prof. Zagrebelsky sostiene oggi sul Fatto quotidiano che in materia di licenziamenti il decreto del Governo è andato oltre la delega. Evidentemente non ha letto la lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della delega, che riproduco qui sotto (*). È esattamente vero il contrario: la delega è così precisa nell’escludere il reintegro per i licenziamenti economici, che era invece il parere della Commissione Camera, scorporando i licenziamenti collettivi, a violare la delega. Il Governo, col decreto, ha rispettato la delega. Chi era contrario avrebbe dovuto emendare la delega, non cercare di aggirarla dopo.
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