Non è facile per un neo
parlamentare proporsi come classe politica nazionale per risolvere i problemi
locali. Diego ha dimostrato di essere sensibile ai problemi ambientali e di non
essere pervaso da localismi strumentali offrendo una testimonianza ed un
messaggio: i problemi delle comunità locali vanno affrontati con una visione di
carattere nazionale per avere una risoluzione positiva.
Il deputato Diego Zardini è
intervenuto alla Camera dei Deputati a sostegno della mozione presentata dal
Partito Democratico sul dissesto idrogeologico.
Si riporta l’intervento.
"Con la mozione che abbiamo presentato e che oggi ci
apprestiamo a discutere, affrontiamo uno dei temi più importanti per quanto
riguarda l’incolumità di milioni di italiani che vivono, spesso in modo
scarsamente consapevole, in aree esposte al rischio di dissesto idrogeologico.
Infatti sono 6.633 i comuni in pericolo per la fragilità del suolo del proprio
territorio. Tradotto in cifre significa che 8 comuni su 10 sono a rischio.
Prevenire, contenere e ridurre tali rischi è un obbligo
che definirei etico per chi governa il paese ed amministra i territori.
Come evidenziato nella mozione la tutela e la sicurezza
del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un
interesse prioritario della collettività, senza dimenticare che il suolo è una
risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti
permanenti su ambiente e paesaggio.
La fragilità del territorio italiano appare evidente col
susseguirsi di eventi che ormai presentano tempi di ripetizione sempre più
brevi.
Da nord a sud il nostro paese è colpito da frane, valanghe ed eventi alluvionali che peraltro, oltre a divenire via via più frequenti, diventano anche più intensi e più dannosi, coinvolgendo aree agricole di pregio, centri urbani, aree produttive e importanti infrastrutture.
La ragione di tale fragilità è senz’altro legata alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, ad una particolare natura dei suoli che lo compongono ed alle variazioni climatiche che favoriscono eventi meteorologici davvero estremi, tuttavia la situazione è acuita da una presenza umana e da una antropizzazione sconosciuta in altri paesi, anche confrontandola con paesi industrializzati ed europei. Considerando il rischio quale stretto legame, e più precisamente il prodotto, tra la probabilità che si verifichi un evento derivante da un pericolo, che è intrinseco nella natura del nostro territorio, ed il danno, che è misurato quantificando i costi di ripristino e risarcimento dei danni che un evento può procurare, appare evidente come l’aumento del rischio per entrambi i fattori abbia cause umane assolutamente incontestabili.
Tuttavia non si è fino ad ora data sufficiente rilevanza, quale causa via via preponderante, che produce un aumento del pericolo, ad un particolare intervento umano.
Infatti è certificato che il consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi devastanti, con centinaia di migliaia di ettari all’anno di suolo divorato dalla cementificazione; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell’urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all’artificializzazione di corsi d’acqua minori, alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive.
Tutto questo ha un preciso effetto, ovvero impermeabilizza il suolo e aumenta a dismisura la velocità di deflusso delle acque meteoriche, aumentando la potenza dei corsi d’acqua, dando loro una forza distruttiva che altrimenti avrebbero in misura inferiore. Ciò ha maggiore impatto sui corsi d’acqua minori e a carattere torrentizio, quelli che per tale ragione hanno avuto minori attenzioni, minore manutenzione, diventando fattore moltiplicatore del rischio.
In definitiva una inadeguata e dannosa pianificazione territoriale da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio ed il ricorso agli oneri di urbanizzazione per sostenere spesa corrente nei bilanci comunali, hanno privatizzato il suolo, espropriandolo del suo valore di bene in grado di avere una pubblica utilità.
Tale pratica così scarsamente lungimirante ha avuto picchi che definirei estremi in molte parti del paese, ma specialmente nella mia Regione, il Veneto e con particolare gravità nella mia Provincia,Verona, che ben conosco grazie al ruolo di consigliere provinciale che ho ricoperto fino a qualche mese fa.
In provincia di Verona il 15 per cento della superficie,ovvero oltre 45mila ettari, è «artificializzata» quindi resa impermeabile dall´edificato e dalle infrastrutture, in maniera disomogenea ma che coinvolge tutto il territorio. Il 23 per cento della superficie provinciale (79.216 ettari ), in
particolare in area collinare e montana, è sottoposta a vincolo idrogeologico.
In queste aree, su ben 2.450
ettari si è costruito, naturalmente con permessi in
deroga alla normativa.
Il 12,66 per cento (39.206 ettari ) della
superficie provinciale è stata perimetrata dal Piano territoriale regionale di
coordinamento come aree allagate nelle alluvioni degli ultimi 60 anni, che
coinvolgono oltre 30 comuni tra le aree montane e quelle di pianura. Il 12 per
cento di queste superfici è edificato e abitato, quindi inevitabilmente e
regolarmente sottoposte a nuovi eventi alluvionali con grave rischio per le
popolazioni che le abitano. Se escludiamo le poche case rurali o i piccoli
nuclei abitativi preesistenti, edificati nelle aree in rilievo e mai in fondo
valle o in aree a ristagno idrico, la maggior parte degli insediamenti è
avvenuta negli ultimi venti trent´anni, con un legittimo permesso a costruire
rilasciato dalle pubbliche amministrazioni locali.
Nonostante tutto questo sia riconosciuto ormai non solo dalle associazioni ambientaliste ma addirittura dall’ANCE e dal Presidente della Regione, altre migliaia di ettari saranno a breve cementificati, in particolare 20 milioni di metri quadrati per l’area sudovest, area agricola di pregio dove viene prodotto il riso vialone nano diventeranno Motor City, un autodromo con centro commerciale e parco divertimenti, centro logistico e centro agroalimentare.
Anche i recenti eventi alluvionali che nelle ultime settimane sono tornati a colpire diverse aree del nostro paese, dall’Emilia Romagna e alla Liguria, ma anche e ripetutamente la Toscana, le Marche, la Campania, la Sicilia dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più un’emergenza ma un problema vivo, quotidiano che necessita da parte nostra un cambio di passo se intendiamo davvero risolverlo.
Il Veneto è stato nuovamente colpito, imprevedibilmente al di fuori dalle consuete stagioni, lo scorso 16 maggio. Oltre ad una infinità di casi minori, è la terza grande alluvione dopo quelle del novembre 2010, del marzo 2011. Stavolta oltre ai consueti danni economici all’agricoltura, al tessuto produttivo e alle residenze private, oltre al dramma di vedere ancora una volta le famiglie evacuate e costrette a lasciare le proprie abitazioni, c’è stata anche la perdita di vite umane.
Il Presidente della Regione ha decretato lo stato di crisi e richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, calcolando in quasi 200 milioni i danni del solo evento di maggio di quest’anno che vanno ad aggiungersi a quelli procurati dagli eventi precedenti.
Tuttavia il Piano straordinario degli interventi individuati dal Comitato tecnico–scientifico incaricato al Commissario dopo l’alluvione del 2010, presieduto dal Prof. D’Alpaos, tra interventi di emergenza e interventi strutturali, calcolerebbe in oltre due miliardi di euro le risorse per una vera messa in sicurezza del territorio Veneto.
Uno degli obbiettivi di questa mozione è quella di superare una distorsione della logica, ovvero che la politica di tutela del territorio continua a destinare le risorse disponibili, comunque scarse, quasi esclusivamente all’emergenza, al posto di una effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio.
Non è razionale ad esempio che tra il 1999 ed il 2008 siano stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell’inquinamento e l’assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro siano stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi.
Gli stanziamenti destinati alla difesa del suolo ed alla riduzione del rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci.
Tuttavia la scarsa sensibilità della politica nei confronti delle azioni di manutenzione e prevenzione che hanno comportato una insufficienza cronica di risorse, una insufficienza di pianificazione, si sono sommati ad un altro grave deficit relativo alla governance istituzionale nel settore delle politiche per la difesa del suolo, con un eccesso di frammentazione e sovrapposizione di competenze, che talvolta accompagnate da scarsa attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni ed incomunicabilità istituzionale hanno prodotto errori, omissioni, scarichi di responsabilità che senza dubbio hanno aumentato il rischio, sia dal lato della probabilità che dal lato del danno.
A livello nazionale paghiamo a caro prezzo, la mancanza di unitarietà delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l’adeguamento alle normative comunitarie avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra i vari livelli centrali e periferici, con l’effetto di offuscare la catena delle responsabilità; l’attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
Spesso su uno stesso corpo idrico minore ci sono diverse competenze, di enti diversi che portano alla paralisi degli interventi e ad una mancanza di responsabilità circa la manutenzione e la prevenzione, con gravi ripercussione sul livello di rischio.
Nel programma di miglioramento delle politiche di difesa al rischio idrogeologico è fondamentale non limitarsi a contemperare le esigenze di sicurezza con quelle ecologiche ed economiche, l’azione dovrebbe mirare a riconsiderare il modello di sviluppo mediante scelte avvedute circa la destinazione e l’uso del suolo.
Punti caratterizzanti di tale programma sono:
- la ricostruzione ecologica dei corsi d’acqua;
- lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell’agricoltura come cura e presidio del territorio;
- l’introduzione dell’analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività;
- l’assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici;
- la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali;
- la valorizzazione di pratiche di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte.
Un altro elemento di innovazione proposto dalla nostra mozione, valido tanto più in un momento di insufficienza di disponibilità di risorse pubbliche, è il nuovo ruolo in materia di rischi da eventi naturali che potrebbe e forse dovrebbe avere in Italia il mercato assicurativo. Ad oggi offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati. Servirebbe una forte promozione per la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti, dei costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero pertanto incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, quale la Francia, dove vige un regime assicurativo semi obbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
Appare palese come archiviare l’attuale sistema di intervento a riparazione del danno, invece di interventi preventivi che sarebbero molto più efficaci ed economicamente sostenibili, sia una priorità per il nostro paese, aggiungendo inoltre che un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio atto a ridurre il rischio idrogeologico, può portare un po’ di fiato al sistema economico favorendo l’occupazione, per farlo occorre mettere nelle condizioni gli enti locali interessati di cantierare quei tantissimi interventi medio-piccoli che hanno la maggiore efficacia, ma per farlo occorre rivedere le regole del patto di stabilità interno che oggi impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione;
Per tali ragioni la mozione chiede al Governo un fattivo impegno per affrontare con grande determinazione il problema del rischio idrogeologico puntando su una adeguata pianificazione dell’uso del suolo, investendo maggiori risorse sulla prevenzione, riconoscendo all’agricoltura un ruolo strategico e favorendo buone pratiche colturali nei terreni più a rischio.
Infatti solo una intelligente miscela di politiche lungimiranti ed a largo spettro ci consentiranno di ridurre i rischi cui sono esposti milioni di italiani, salvaguardando il nostro territorio e alla fine riducendo i costi necessari ad affrontare i danni provocati non solo da una natura inclemente, ma soprattutto dall’insipienza dell’uomo.
Solo la nostra intelligenza, lungimiranza e determinazione potranno dare alle prossime generazioni un futuro più sereno".
Da nord a sud il nostro paese è colpito da frane, valanghe ed eventi alluvionali che peraltro, oltre a divenire via via più frequenti, diventano anche più intensi e più dannosi, coinvolgendo aree agricole di pregio, centri urbani, aree produttive e importanti infrastrutture.
La ragione di tale fragilità è senz’altro legata alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, ad una particolare natura dei suoli che lo compongono ed alle variazioni climatiche che favoriscono eventi meteorologici davvero estremi, tuttavia la situazione è acuita da una presenza umana e da una antropizzazione sconosciuta in altri paesi, anche confrontandola con paesi industrializzati ed europei. Considerando il rischio quale stretto legame, e più precisamente il prodotto, tra la probabilità che si verifichi un evento derivante da un pericolo, che è intrinseco nella natura del nostro territorio, ed il danno, che è misurato quantificando i costi di ripristino e risarcimento dei danni che un evento può procurare, appare evidente come l’aumento del rischio per entrambi i fattori abbia cause umane assolutamente incontestabili.
Tuttavia non si è fino ad ora data sufficiente rilevanza, quale causa via via preponderante, che produce un aumento del pericolo, ad un particolare intervento umano.
Infatti è certificato che il consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi devastanti, con centinaia di migliaia di ettari all’anno di suolo divorato dalla cementificazione; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell’urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all’artificializzazione di corsi d’acqua minori, alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive.
Tutto questo ha un preciso effetto, ovvero impermeabilizza il suolo e aumenta a dismisura la velocità di deflusso delle acque meteoriche, aumentando la potenza dei corsi d’acqua, dando loro una forza distruttiva che altrimenti avrebbero in misura inferiore. Ciò ha maggiore impatto sui corsi d’acqua minori e a carattere torrentizio, quelli che per tale ragione hanno avuto minori attenzioni, minore manutenzione, diventando fattore moltiplicatore del rischio.
In definitiva una inadeguata e dannosa pianificazione territoriale da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio ed il ricorso agli oneri di urbanizzazione per sostenere spesa corrente nei bilanci comunali, hanno privatizzato il suolo, espropriandolo del suo valore di bene in grado di avere una pubblica utilità.
Tale pratica così scarsamente lungimirante ha avuto picchi che definirei estremi in molte parti del paese, ma specialmente nella mia Regione, il Veneto e con particolare gravità nella mia Provincia,Verona, che ben conosco grazie al ruolo di consigliere provinciale che ho ricoperto fino a qualche mese fa.
In provincia di Verona il 15 per cento della superficie,ovvero oltre 45mila ettari, è «artificializzata» quindi resa impermeabile dall´edificato e dalle infrastrutture, in maniera disomogenea ma che coinvolge tutto il territorio. Il 23 per cento della superficie provinciale (
Il 12,66 per cento (
Nonostante tutto questo sia riconosciuto ormai non solo dalle associazioni ambientaliste ma addirittura dall’ANCE e dal Presidente della Regione, altre migliaia di ettari saranno a breve cementificati, in particolare 20 milioni di metri quadrati per l’area sudovest, area agricola di pregio dove viene prodotto il riso vialone nano diventeranno Motor City, un autodromo con centro commerciale e parco divertimenti, centro logistico e centro agroalimentare.
Anche i recenti eventi alluvionali che nelle ultime settimane sono tornati a colpire diverse aree del nostro paese, dall’Emilia Romagna e alla Liguria, ma anche e ripetutamente la Toscana, le Marche, la Campania, la Sicilia dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più un’emergenza ma un problema vivo, quotidiano che necessita da parte nostra un cambio di passo se intendiamo davvero risolverlo.
Il Veneto è stato nuovamente colpito, imprevedibilmente al di fuori dalle consuete stagioni, lo scorso 16 maggio. Oltre ad una infinità di casi minori, è la terza grande alluvione dopo quelle del novembre 2010, del marzo 2011. Stavolta oltre ai consueti danni economici all’agricoltura, al tessuto produttivo e alle residenze private, oltre al dramma di vedere ancora una volta le famiglie evacuate e costrette a lasciare le proprie abitazioni, c’è stata anche la perdita di vite umane.
Il Presidente della Regione ha decretato lo stato di crisi e richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, calcolando in quasi 200 milioni i danni del solo evento di maggio di quest’anno che vanno ad aggiungersi a quelli procurati dagli eventi precedenti.
Tuttavia il Piano straordinario degli interventi individuati dal Comitato tecnico–scientifico incaricato al Commissario dopo l’alluvione del 2010, presieduto dal Prof. D’Alpaos, tra interventi di emergenza e interventi strutturali, calcolerebbe in oltre due miliardi di euro le risorse per una vera messa in sicurezza del territorio Veneto.
Uno degli obbiettivi di questa mozione è quella di superare una distorsione della logica, ovvero che la politica di tutela del territorio continua a destinare le risorse disponibili, comunque scarse, quasi esclusivamente all’emergenza, al posto di una effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio.
Non è razionale ad esempio che tra il 1999 ed il 2008 siano stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell’inquinamento e l’assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro siano stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi.
Gli stanziamenti destinati alla difesa del suolo ed alla riduzione del rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci.
Tuttavia la scarsa sensibilità della politica nei confronti delle azioni di manutenzione e prevenzione che hanno comportato una insufficienza cronica di risorse, una insufficienza di pianificazione, si sono sommati ad un altro grave deficit relativo alla governance istituzionale nel settore delle politiche per la difesa del suolo, con un eccesso di frammentazione e sovrapposizione di competenze, che talvolta accompagnate da scarsa attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni ed incomunicabilità istituzionale hanno prodotto errori, omissioni, scarichi di responsabilità che senza dubbio hanno aumentato il rischio, sia dal lato della probabilità che dal lato del danno.
A livello nazionale paghiamo a caro prezzo, la mancanza di unitarietà delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l’adeguamento alle normative comunitarie avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra i vari livelli centrali e periferici, con l’effetto di offuscare la catena delle responsabilità; l’attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
Spesso su uno stesso corpo idrico minore ci sono diverse competenze, di enti diversi che portano alla paralisi degli interventi e ad una mancanza di responsabilità circa la manutenzione e la prevenzione, con gravi ripercussione sul livello di rischio.
Nel programma di miglioramento delle politiche di difesa al rischio idrogeologico è fondamentale non limitarsi a contemperare le esigenze di sicurezza con quelle ecologiche ed economiche, l’azione dovrebbe mirare a riconsiderare il modello di sviluppo mediante scelte avvedute circa la destinazione e l’uso del suolo.
Punti caratterizzanti di tale programma sono:
- la ricostruzione ecologica dei corsi d’acqua;
- lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell’agricoltura come cura e presidio del territorio;
- l’introduzione dell’analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività;
- l’assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici;
- la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali;
- la valorizzazione di pratiche di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte.
Un altro elemento di innovazione proposto dalla nostra mozione, valido tanto più in un momento di insufficienza di disponibilità di risorse pubbliche, è il nuovo ruolo in materia di rischi da eventi naturali che potrebbe e forse dovrebbe avere in Italia il mercato assicurativo. Ad oggi offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati. Servirebbe una forte promozione per la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti, dei costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero pertanto incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, quale la Francia, dove vige un regime assicurativo semi obbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
Appare palese come archiviare l’attuale sistema di intervento a riparazione del danno, invece di interventi preventivi che sarebbero molto più efficaci ed economicamente sostenibili, sia una priorità per il nostro paese, aggiungendo inoltre che un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio atto a ridurre il rischio idrogeologico, può portare un po’ di fiato al sistema economico favorendo l’occupazione, per farlo occorre mettere nelle condizioni gli enti locali interessati di cantierare quei tantissimi interventi medio-piccoli che hanno la maggiore efficacia, ma per farlo occorre rivedere le regole del patto di stabilità interno che oggi impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione;
Per tali ragioni la mozione chiede al Governo un fattivo impegno per affrontare con grande determinazione il problema del rischio idrogeologico puntando su una adeguata pianificazione dell’uso del suolo, investendo maggiori risorse sulla prevenzione, riconoscendo all’agricoltura un ruolo strategico e favorendo buone pratiche colturali nei terreni più a rischio.
Infatti solo una intelligente miscela di politiche lungimiranti ed a largo spettro ci consentiranno di ridurre i rischi cui sono esposti milioni di italiani, salvaguardando il nostro territorio e alla fine riducendo i costi necessari ad affrontare i danni provocati non solo da una natura inclemente, ma soprattutto dall’insipienza dell’uomo.
Solo la nostra intelligenza, lungimiranza e determinazione potranno dare alle prossime generazioni un futuro più sereno".
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