sabato 30 giugno 2012

Dopo la riforma del lavoro la politica attiva del lavoro

Articolo di Manuela Campanella pubblicato su http://www.nuovitaliani.it/
Il quadro europeo
Il tema del lavoro e della più generalizzata crisi oggi è al centro di tutti i nostri pensieri. Al legislatore italiano a cui spetta intervenire non si può che suggerire di prendere spunto dai sistemi “vincenti” adottati negli altri paesi che sebbene nella stessa situazione hanno saputo dare risposte concrete ed efficaci alla schiera dei nuovi disoccupati. Tra questi il modello europeo, e in particolar modo dei paesi nordeuropei, è da sempre un punto di riferimento sia per le politiche del lavoro adottate, sia per un eccellente sistema di Servizi Per l’Impiego, attraverso il quale la maggior parte di questi provvedimenti trova attuazione sul territorio.
Le politiche attive del lavoro (ovvero le normative per creare nuova occupazione e favorire l’inserimento dei lavoratori nel mercato) adottate più di frequente nell’UE sono:
- incentivi per lo start-up di nuove aziende e per l’assunzione di personale (in genere per categorie come giovani, donne, disabili, ecc.);
- analisi del fabbisogno attuale di personale delle imprese e anticipazione delle caratteristiche della domanda futura;
- orientamento allo studio verso percorsi formativi che abbiano dei reali sbocchi sul mercato;
- riqualificazione dei lavoratori attraverso programmi formativi mirati al matching tra le richieste delle imprese e la manodopera disponibile (identificazione delle capacità e delle competenze attraverso tecniche di profiling);
- programmi di tutoring personalizzati (piani di azione specifici per ciascun lavoratore, alcuni con un operatore a lui dedicato).
Le politiche passive invece coincidono con gli interventi di tipo assistenziale come indennità di licenziamento, sussidi di disoccupazione, sussidi per redditi molto bassi ecc. In molti paesi europei esiste anche la cosiddetta assicurazione contro la disoccupazione, la quale consiste nel contributo a carattere volontario o obbligatorio da parte del lavoratore di una parte di stipendio che gli viene restituita sottoforma di indennità qualora dovesse perdere l’impiego.


Le politiche passive, inoltre, ottengono i migliori risultati quando sono opportunamente collegate alle politiche attive (ad esempio i sussidi collegati alla frequenza di corsi di formazione). Così i lavoratori hanno un reddito garantito durante il periodo della ricerca di lavoro e della eventuale riqualificazione senza gravare troppo sulle casse dello Stato ed evitando di restare inattivi per troppo tempo. Sempre con le stesse finalità molte normative europee prevedono l’obbligo per i lavoratori di accettare anche le offerte di lavoro lontano dal luogo di residenza pena la revoca del sussidio (in alcuni casi da subito altri dopo un certo periodo di tempo).
A loro volta gli SPI (Servizi Per l’Impiego) sono il braccio sul territorio attraverso il quale le normative sul lavoro si realizzano. A detta di alcuni questi oggi rivestirebbero una “posizione storica unica” per il loro ruolo fondamentale nella lotta contro la disoccupazione. In Europa hanno un’ampia diffusione a livello locale (con o senza un coordinamento centrale), spesso oltre alla funzione di placement sono adibiti all’erogazione dei sussidi (in modo da agevolare l’integrazione tra politiche attive e passive - welfare to work), operano in collaborazione con gli enti territoriali (quando non sono una diretta emanazione di questi), e sovente prevedono il Management by Objectives e altre tecniche di valutazione dei risultati. Alcuni paesi europei hanno aperto a soggetti privati per l’espletamento di diversi servizi (nella maggior parte in un’ottica di integrazione con il servizio pubblico ma talvolta anche in competizione). In tale modo agenzie private collocano manodopera con l’obiettivo finale temp to perm, o svolgono attività generica di placement, formazione, outplacement specializzato, ecc. A questo riguardo citiamo anche l’esempio dell’Australia dove vige la totale esternalizzazione (con o senza l’impiego di voucher) della funzione pubblica di erogazione dei servizi per l’impiego (orientamento, mediazione e formazione) ad enti privati, pubblici e appartenenti al terzo settore, selezionati mediante periodiche gare di appalto (con prezzi fissati amministrativamente).
Comune a tutti i Servizi Per l’Impiego è anche il sistema di reclutamento via internet attraverso un database online di curriculum vitae e di posizione disponibili a cui imprese e lavoratori possono liberamente accedere previa registrazione al sito. Sistema utilizzato sia dagli “specialisti” del collocamento, operatori pubblici e agenzie, che dai singoli lavoratori e uffici del personale delle aziende.
Inoltre a disposizione del pubblico vi sono dei siti web appositamente dedicati all’impiego che forniscono il quadro completo delle informazioni che possono essere potenzialmente utili.
La situazione italiana
Nel nostro Paese invece, le politiche del lavoro veramente efficaci sono poche, e la porzione di popolazione che riescono a raggiungere è molto limitata. Tradizionalmente gli interventi sono stati più che altro di tipo assistenziale, come ad esempio i sussidi in caso di riduzioni temporanee dell’attività produttive (Cassa Integrazione Guadagni) e in caso di licenziamenti (Mobilità), le indennità di disoccupazione e i sostegni al reddito per particolari fasce della popolazione. Da notare che, per quanto previsto dalla riforma del lavoro del Ministro Fornero le indennità di licenziamento e di disoccupazione saranno gradualmente sostituite dall’ASPI (Assicurazione Sociale Per l’Impiego), che a sua volta si basa su un sistema di contribuzione obbligatoria simile alla già citata assicurazione contro la disoccupazione. Per quanto riguarda le politiche attive molto si è fatto per la formazione dei lavoratori sia a livello nazionale (Italialavoro, Formez) che locale, per agevolare la creazione di nuove imprese (Sviluppo dell’imprenditoria giovanile nelle aree depresse L. 95/95, incubatori di imprese, ecc.) e per incentivare le assunzioni. Tuttavia questi provvedimenti nel complesso hanno dato risultati di gran lunga insufficienti in quanto spesso sono stati diretti solo a particolari categorie di persone e/o sono stati adottati solo da alcune amministrazioni locali. Per di più molti programmi efficaci sono stati eliminati o ridotti per mancanza di fondi.
Per quanto concerne gli SPI, la Legge Treu del ’97 e la precedente Legge Bassanini hanno dato vita ai cosiddetti Centri Per l’Impiego che hanno sostituito i preesistenti uffici di collocamento. Questi svolgono la funzione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, e in generale hanno il compito di supportare: a) i lavoratori nella ricerca di occupazione; b) le imprese nella ricerca di personale e nell’attività di gestione; c) chiunque desideri porre in essere una nuova attività produttiva.
Il sistema istituito si basa sul totale decentramento, le Regioni rivestono un ruolo di regia e alle Province è affidata la gestione. Come conseguenza di ciò l’implementazione delle politiche del lavoro e la messa a punto dei CPI (Centri Per l’Impiego) e delle relative prestazioni varia molto a secondo delle realtà locali. A livello teorico la gamma dei servizi offerti consiste in: 1) accoglienza 2) orientamento e consulenza 3) servizi alle imprese 4) incontro domanda e offerta (placement) 5) inserimento lavoratori disabili e categorie protette 6) servizi Eures (per cercare lavoro nell’UE) 7) sportello giovani 8) sportello donna 9) servizi per extracomunitari 10) orientamento allo studio 11) promozione tirocini 12) avviamento PA (bandi per assunzioni negli enti pubblici).
Tuttavia, nella realtà il quadro che appare è molto disomogeneo e presenta gravi carenze sia per la differente gestione da parte delle amministrazioni locali sia spesso per l’insufficienza di fondi. Inoltre, se si paragonano le regioni del Nord a quelle del Sud, le discrepanze sono ancora più marcate. Nel primo caso infatti i CPI riescono spesso a porre in essere oltre alle prestazioni summenzionate anche diverse azioni personalizzate e “proattive” quali particolari programmi di incentivi e corsi di formazione. Al Sud invece lo stato di implementazione dei servizi all’impiego è molto limitato e sovente l’attività svolta non va oltre la mera gestione degli adempimenti.
Anche il sistema di raccolta delle informazioni seppur in parte funzionante (le imprese devono obbligatoriamente fornire le Comunicazioni Obbligatorie, ovvero i dati sulle assunzioni, proroghe, trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro) nell’insieme è molto frammentato, confusionario e di difficile accesso. A chi coraggiosamente si appresta ad effettuare una ricerca al riguardo il quadro che si trova di fronte è alquanto raccapricciante: i dati a disposizione sono di diversa natura, difficilmente unificabili e comparabili, e provengono da fonti diverse sia pubbliche che private. Mettere ordine tra queste informazioni e capire bene quali sono i servizi per l’impiego realmente esistenti sul territorio è sicuramente una delle priorità di chiunque decida di affrontare la questione dell’impiego nel suo insieme. Se non sappiamo dettagliatamente cosa succede fuori nel mercato e quali siano i servizi forniti dalla nostra pubblica amministrazione risulta impossibile fare un’accurata analisi della situazione in cui ci troviamo e fare un adeguato piano di intervento. Così come è impossibile verificare attentamente il risultato delle nostre politiche che abbiamo implementato nel passato e/o che andremo ad implementare nel futuro.
In maniera simile, altri interventi normativi come l’apertura del collocamento agli operatori privati (agenzie di selezione del personale, agenzie interinali, ecc.) e delle successive disposizioni a favore dell’intermediazione privata (Legge Biagi del 2003, l’art. 29 della manovra finanziaria 2011 - “Liberalizzazione del collocamento e dei servizi”) non hanno sortito gli effetti sperati. I risultati di una ricerca ISFOL del 2010, effettuata su un campione di 40 mila individui tra i 18 e i 64 anni, ci mostrano un panorama molto deludente. La modalità prevalente di ricerca del posto di lavoro in Italia è ancora il passaparola 30%, le auto candidature presso le imprese sono il 17.7%, il 7,5% trova un impiego attraverso contatti nell’ambiente professionale (in tal caso a far leva sono la reputazione, il merito o anche il semplice passa-parola), un 7% attraverso le agenzie private, e solo il 3% attraverso i servizi pubblici per l’impiego. Quest’ultimo dato è particolarmente sconfortante in quanto è rimasto invariato negli anni, nonostante i tanti sforzi volti a migliorare il collocamento pubblico. Inoltre anche la percentuale di collocamento effettivamente realizzata dalle agenzie specializzate in cui si riponevano molte speranze non è significativa (solo 7%).
“Uno dei motivi per cui l’Italia ha difficoltà di crescita - secondo il Direttore generale dell’Isfol Aviana Bulgarelli - consiste proprio nel cattivo utilizzo del proprio capitale umano: le persone non sanno come far conoscere e valere il proprio talento, le imprese non riescono a trovare lavoratrici e lavoratori con le competenze necessarie ai propri fabbisogni. La scorciatoia di rivolgersi ad amici e parenti non premia professionalità e merito, né aiuta le imprese a competere, crescere e innovare".
Buone pratiche
Detto ciò se si guarda agli interventi intrapresi a livello locale, molte amministrazioni provinciali e regionali hanno saputo porre in essere tante “buone pratiche” che sarebbe utile armonizzare e in molti casi estendere a tutto il territorio nazionale.
La Regione Emilia Romagna ad esempio, tra i provvedimenti adottati a favore dell’occupazione degno di particolare nota è il piano formativo anti-crisi per l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori sospesi o licenziati. Ogni lavoratore viene contattato dai servizi per il lavoro provinciali e attraverso colloqui individuali viene stabilito un piano di azione personalizzato di aggiornamento delle competenze e acquisizione di nuove al fine di favorire un rapido re-ingresso nel mercato del lavoro. Partendo dal presupposto che la formazione rappresenta una leva strategica per contrastare la crisi di un sistema economico-produttivo, la regione in esame mette a disposizione un ampia offerta di percorsi formativi che si caratterizzano per la capacità di rispondere alle reali e concrete esigenze dei lavoratori (inclusi coloro che hanno contrati a progetto) e delle imprese. Inoltre, per promuovere il Lifelong learning sono stati destinati 2,8 milioni di euro del Fondo Sociale Europeo per l’accesso individuale a corsi di alta formazione a persone occupate, inoccupate e disoccupate tra i 18 e i 64 anni residenti in Emilia-Romagna, e per la prima volta anche in altre regioni (attraverso voucher dell’importo massimo di 5 mila euro, oltre a un contributo fino a 3 mila euro nel caso in cui la sede sia extraregionale, a copertura delle spese di alloggio e trasporto).La Regione ha dato avvio anche alla realizzazione di Poli Tecnici per valorizzare la cultura tecnicoscientifica e rispondere alle esigenze di specializzazione e di innovazione delle imprese. Infine, sono stati destinati oltre 5 milioni di risorse del Fondo Sociale Europeo per giovani interessati a creare imprese innovative e sviluppare progetti di ricerca industriale e trasferimento tecnologico.
Perla Regione Lombardia segnaliamo il progetto Labour Lab relativo alla erogazione di politiche attive per specifici target di lavoratori svantaggiati, tramite la rete pubblico-privata regionale. Inoltre in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca ogni anno viene pubblicato un rapporto sulle professionalità più richieste dalle imprese che operano nel territorio.
La Provincia di Como ha ricevuto un finanziamento di 6.747.574,44 euro dall’amministrazione provinciale per il reimpiego di lavoratori disoccupati. Ben quattro milioni sono andati direttamente ai lavoratori, con il sistema delle Borse Lavoro: con 650-700 euro al mese per sei mesi, rinnovabili per altri sei, hanno lavorato nelle aziende e il 48% è poi stato assunto. 2.682 è il numero delle persone seguite con borse lavoro, progetti di riqualificazione e di aggiornamento dal maggio 2008 a febbraio 2012.
La Provincia di Roma ha creato mediante il progetto Porta Futuro un centro di accoglienza al pubblico con uno staff specializzato di assistenza ai lavoratori (intermediazione, redazione CV cartaceo e video, orientamento, offerta formativa), e alle imprese (contrattualistica, tirocini, incentivi alle assunzioni). In più attraverso il portale web, i cittadini posso visionare direttamente i programmi e le offerte di lavoro e formative, inserire il CV e inviarlo alle imprese, che a loro volta possono inserire autonomamente nella banca dati le loro offerte di lavoro. Sono stati realizzati anche 18 Centri Orientamento Lavoro (COL) a Roma e 25 nei Comuni della Provincia, con lo scopo di attuare una strategia mirata sulle esigenze formative e professionali del singolo cittadino. Attraverso un processo di autonomia decisionale e consapevolezza delle scelte (secondo un’ottica auto-orientativa ed esplorativa) viene svolto l’assessment psico-sociale e delle competenze della persona ed elaborato un progetto individuale per la formazione e/o la ricerca del lavoro.
In generale, moltissimi sono i programmi messi a punto a livello regionale e provinciale per rispondere alla crisi occupazionale incentrati su corsi di formazione, tirocini, incentivi all’assunzione di lavoratori in cassa integrazione, incentivi alla creazione di nuove imprese, incentivi all’occupazione femminile, di giovani e disabili. Programmi realizzati anche in collaborazione con agenzie per il lavoro, enti di formazione, Università, ecc.
Conclusioni e proposte
Tuttavia la risposta del sistema Italia alle istanze della crisi è frammentata, disomogenea e di gran lunga insufficiente. Per cui in un contesto nazionale ed internazionale così difficile, con una crisi economica prolungata negli anni e di cui ancora non si intravede con certezza la fine, è indispensabile seguire con una certa solerzia le linee guida dell’UE in materia di lavoro (si veda al riguardola Strategia Europea per l'Occupazione – SEO, e gli orientamenti per le politiche occupazionali degli Stati membri valevoli per il triennio 2005-2008 - Decisione del Consiglio 12 luglio 2005, n.2005/600/CE).
Più precisamente la nostra opinione è che si debba al più presto implementare e ampliare le politiche del lavoro esistenti e sviluppare gli SPI in base all’esperienza dei paesi europei. E questo attraverso:
L’implementazione dell’organo di governance delle informazioni SARA Lavoro e di validi sistemi di valutazione delle politiche del lavoro. Il Sistema di ARchivi per Analisi sul Lavoro consiste in un organismo autonomo di natura tecnico-scientifica avente come compito il monitoraggio delle politiche del lavoro (si veda in proposito le raccomandazioni de “Il lavoro che cambia” – del comitato tecnico scientifico del Cnel presieduto da Pierre Carniti, 2009). SARA Lavoro avrebbe, quindi, libero accesso ai dati, e garantirebbe il coordinamento, l’unificazione e la standardizzazione delle informazioni in modo da ottenere degli output conoscitivi che rispondano pienamente alle esigenze di affidabilità, completezza, adeguatezza, tempestività, comparabilità e accessibilità (tutto ciò che in pratica ora non avviene). Il monitoraggio delle politiche del lavoro consentirebbe finalmente di poter effettuare anche nel nostro Paese una corretta valutazione degli interventi posti in esseri. Oltre a ciò, a tale scopo si potrebbe seguire il principio per cui la legge che instituisce una particolare politica debba prevedere anche la sua valutazione e i sistemi per effettuarla (come già avviene in molti paesi).
L’unificazione del funzionamento dei CPI per la parte sostanziale dei servizi, lasciando libertà alle regioni di legiferare in materia di lavoro e di porre in essere sul territorio i provvedimenti specifici che ritengano più opportuni. I servizi erogati dai CPI devono essere decisi a livello nazionale, così come i parametri per la raccolta delle informazioni e per la gestione del personale (mansioni, training specializzato, ecc..), e i sistemi di valutazione.
Lo sviluppo dei servizi offerti dai CPI (matching tra domanda e offerta di lavoro, riqualificazione, programmi di orientamento e di tutoring personalizzati, ecc.) in linea con gli standard di efficienza europei. A questo riguardo si ritiene necessaria anche una formazione specializzata degli operatori pubblici nonché un incremento del personale in termini numerici.
La costituzione dei Centri per l’impiego integrati, i quali in collaborazione con l’Inps avrebbero anche il compito di erogare direttamente i sussidi, consentendo nell’ottica del Welfare to work l’integrazione tra politiche attive e passive del lavoro. La corresponsione dei sussidi viene in questo modo collegata a l’ottemperanza da parte del lavoratore delle disposizioni dei CPI (obbligo di frequentare corsi di formazione, accettazione offerte di lavoro anche in ruoli diversi da quelli svolti e/o distanti dal luogo di residenza, ecc.). Questi provvedimenti sono particolarmente importanti per l’efficienza dell’intero sistema, sia per combattere gli sprechi e la formazione di lavoro nero, sia per evitare che periodi troppo lunghi di inattività impediscano al lavoratore di rientrare nel mercato (esempi di storture del sistema attuale ce ne sono tanti, basti pensare che in una regione attiva come il Veneto dove nel corso dell’ultimo anno sono stati stipulati 145.000 nuovi contratti a tempo indeterminato vi sono centinaia di lavoratori in cassa integrazione da 7 anni).
La creazione di sistemi di analisi dei fabbisogni di manodopera in modo da offrire adeguati corsi di formazione per i lavoratori e un corretto orientamento allo studio per i giovani. Al riguardo si ritiene particolarmente rilevante l’azione preventiva di anticipazione delle caratteristiche della domanda futura di manodopera.
L’organizzazione dei servizi offerti via internet (www.cliclavoro.gov.it). Le informazioni presenti sul sito devono essere il più possibile complete, aggiornate e di facile fruizione (si veda in proposito il sito ufficiale del Regno Unito, ottimo modello sia per l’organizzazione delle informazioni che per i contenuti). Per quanto concerne invece la ricerca di lavoro online questa necessita di un maggiore coinvolgimento delle parti interessate attraverso dei sistemi di incentivazione alla partecipazione delle imprese e dei lavoratori, quali ad esempio appropriate campagne pubblicitarie sui media tradizionali e non.
Il maggiore coinvolgimento di soggetti privati nello svolgimento di alcune funzioni (intermediazione, formazione, ecc.). Questa è una valida soluzione per adeguare in tempi brevi l’offerta dei servizi alle concrete necessità del territorio creando spesso anche dei margini di risparmio per lo Stato. Inoltre nel caso dei disoccupati di più difficile collocazione si può considerare la totale esternalizzazione dell’intermediazione e la riqualificazione del lavoratore a società specializzate nell’outplacement (di norma riescono a ricollocare l’80% dei lavoratori entro un uno, due anni al massimo), coinvolgendo attivamente anche le imprese che hanno esigenze di riduzione del personale.
L’introduzione di programmi di job rotation e di forme di condivisione del lavoro (job sharing, part-time). In caso di riduzioni temporanee o definitive dell’attività produttiva si potrebbe richiedere alle imprese di adottare di concerto con le parti sociali alcune di queste soluzioni al fine di evitare licenziamenti o lunghi periodi di inattività.
Lo sviluppo di specifiche politiche del lavoro per aree geografiche, settori e categorie (ad esempio incentivi alla creazione di nuove imprese e all’assunzione di particolari tipologie di lavoratori). Riteniamo che molti programmi attualmente esistenti sul territorio siano validi ma insufficienti e scollegati tra loro. Al contrario dovrebbero essere concepiti e implementati a livello nazionale su parametri diversi di quelli puramente territoriali (categorie di lavoratori, settori industriali, aree geografiche, ecc.). Fermo restante per le amministrazioni locali la possibilità di ampliare e integrare tali interventi. A tal proposito il ripristino dei provvedimenti previsti in passato per l’imprenditoria giovanile (L.95/95 ex L.46/86) è auspicabile, insieme all’ampliamento degli interventi a favore di categorie svantaggiate quali donne, disabili, ecc.
L’estensione delle politiche passive esistenti alle categorie non protette. Gli ammortizzatori sociali andrebbero riformati il più possibile in collaborazione con le imprese in modo che chi ha necessità di ridurre il personale partecipi almeno in parte ai costi per le indennità di licenziamento e per la ricollocazione dei lavoratori. Anche sussidi di disoccupazione universali e forme di sostegno per i bassi redditi andrebbero previsti dal sistema.

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