Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 9 ottobre 2012
Dopo l'annuncio di inizio settembre dei nuovi interventi della Banca Centrale Europea (Bce) e il via libera al fondo salva Stati (Esm) da parte della Corte Suprema Tedesca, ieri si è svolto in Lussemburgo un incontro simbolicamente importante. I ministri delle Finanze della zona euro hanno inaugurato l'Esm ed eletto il presidente del suo Consiglio, Jean-Claude Juncker. Le cartucce sono pronte, in teoria, per essere sparate.
Eppure l’incertezza sulla capacità dell’Europa di uscire dalla sua crisi non è mai stata cosi pesante; ed è come una nuvola minacciosa in quella che era la serena calma dei mercati. Una calma che, come si è visto ieri sulle Borse, precedeva segnali di tempesta. La Spagna e Cipro, forse anche la Slovenia, si stanno preparando a chiedere aiuti all’Europa, ma per ora aspettano. Pesa l’incognita di come la richiesta sarà accolta dal Bundestag. Anche la Merkel non ha fretta. Quale sarebbe l’effetto sulla fragile architettura costruita in questi mesi se il Parlamento tedesco rifiutasse di autorizzare gli aiuti? La Spagna quindi guarda con ansia alla Germania e alla sua dinamica pre-elettorale. La Merkel si destreggia tra negoziato europeo e politica interna.
L’Italia, a sua volta, osserva il percorso spagnolo e attende di capire come andrà a finire perché sa che non è da escludere che possa essere la prossima a chiedere aiuto. Nulla si muove. Da un lato è rassicurante che non ci sia una corsa agli aiuti, poiché questa eserciterebbe una pressione sull’Esm, politicamente difficile da gestire, e richiederebbe un intervento addizionale da parte della Bce. Dall’altro lato, non usare gli strumenti che ci siamo dati per alleviare le condizioni finanziarie dei Paesi a rischio e facilitare un processo di riforma per la crescita è paradossale.
Il paradosso si spiega con la mancanza di chiarezza sulle modalità dell’uso di questi strumenti e la fragilità politica degli accordi che ne sono alla base. Questa incertezza fa sì che un prossimo, anche piccolo incidente di percorso, possa coglierci impreparati e trascinarci di nuovo nella tempesta. Le incognite sono molte. La prima è la Grecia. Il rapporto della troika sarà pronto a novembre e con ogni probabilità mostrerà che Atene ha bisogno di più tempo per soddisfare le condizioni imposte dall’Europa. A quel punto si alzeranno delle voci in favore della sua uscita dall’euro con il prevedibile effetto di nuova turbolenza sui mercati.
La seconda sono le regole con cui si attuerà l’aiuto alle banche da parte dell’Esm. A giugno abbiamo festeggiato il principio che questi aiuti sarebbero andati direttamente agli istituti di credito invece che, indirettamente, attraverso gli Stati: l’aiuto diretto facilita la separazione tra il rischio bancario e il rischio sovrano legato ai debiti pubblici. Ma ora questo principio è messo in discussione. I ministri delle Finanze dei Paesi del Nord hanno affermato che gli aiuti debbano essere concessi solo per i nuovi debiti e non per quelli, ingenti nel caso spagnolo, ereditati dal passato. Inoltre dovrebbero scattare non immediatamente, ma solo quando la sorveglianza bancaria europea unica sarà operativa.
Si è aperto quindi un nuovo fronte del negoziato tra Nord e Sud dell’Europa in cui si discute su quale sia la percentuale dei debiti bancari ereditati del passato che potrà beneficiare degli aiuti diretti e quale sia la data rilevante per partire con essi: quella della approvazione della sorveglianza unica o quella della sua operatività? Se prevalesse la più estrema delle interpretazioni (attendere i tempi del varo della vigilanza unica bancaria europea) dovremmo concludere che i progressi degli ultimi mesi verso la costruzione di meccanismi di salvaguardia della stabilità finanziaria sono stati un’illusione. È probabile però che il negoziato porti a un compromesso, ma è necessario che queste incognite siano chiarite al più presto. L’incertezza sulle regole del gioco è sempre la principale fonte di instabilità.
C’è infine un’incertezza ancora più grande, che mina in modo sottile ma sicuro la nostra democrazia. È la mancanza di chiarezza su chi sia a decidere. Su quale sia il nesso tra il negoziato tecnico e astruso sull’architettura economica dell’euro e la dinamica politica nei Paesi dell’Unione. Prevalgono le domande. Quale sarà il prezzo da pagare per un governo che decida di chiedere gli aiuti europei? Come questa decisione ne influenza la possibilità di essere rieletto? E che peso hanno i cittadini nel determinare le scelte sulle riforme necessarie a rimettere in moto la crescita? Quanto pesa il voto di un cittadino di un Paese creditore e quanto quello di un Paese debitore? Le nuove politiche economiche europee basate sulla condizionalità hanno dato luogo a inedite incognite per le nostre democrazie. Non sono solo i problemi della Spagna, sono i problemi di tutti. In un Paese come l’Italia, in cui il processo politico è quanto mai caotico, è necessario affrontarli in modo aperto e trasparente, senza demonizzare la possibilità di una richiesta di aiuti.
La seconda sono le regole con cui si attuerà l’aiuto alle banche da parte dell’Esm. A giugno abbiamo festeggiato il principio che questi aiuti sarebbero andati direttamente agli istituti di credito invece che, indirettamente, attraverso gli Stati: l’aiuto diretto facilita la separazione tra il rischio bancario e il rischio sovrano legato ai debiti pubblici. Ma ora questo principio è messo in discussione. I ministri delle Finanze dei Paesi del Nord hanno affermato che gli aiuti debbano essere concessi solo per i nuovi debiti e non per quelli, ingenti nel caso spagnolo, ereditati dal passato. Inoltre dovrebbero scattare non immediatamente, ma solo quando la sorveglianza bancaria europea unica sarà operativa.
Si è aperto quindi un nuovo fronte del negoziato tra Nord e Sud dell’Europa in cui si discute su quale sia la percentuale dei debiti bancari ereditati del passato che potrà beneficiare degli aiuti diretti e quale sia la data rilevante per partire con essi: quella della approvazione della sorveglianza unica o quella della sua operatività? Se prevalesse la più estrema delle interpretazioni (attendere i tempi del varo della vigilanza unica bancaria europea) dovremmo concludere che i progressi degli ultimi mesi verso la costruzione di meccanismi di salvaguardia della stabilità finanziaria sono stati un’illusione. È probabile però che il negoziato porti a un compromesso, ma è necessario che queste incognite siano chiarite al più presto. L’incertezza sulle regole del gioco è sempre la principale fonte di instabilità.
C’è infine un’incertezza ancora più grande, che mina in modo sottile ma sicuro la nostra democrazia. È la mancanza di chiarezza su chi sia a decidere. Su quale sia il nesso tra il negoziato tecnico e astruso sull’architettura economica dell’euro e la dinamica politica nei Paesi dell’Unione. Prevalgono le domande. Quale sarà il prezzo da pagare per un governo che decida di chiedere gli aiuti europei? Come questa decisione ne influenza la possibilità di essere rieletto? E che peso hanno i cittadini nel determinare le scelte sulle riforme necessarie a rimettere in moto la crescita? Quanto pesa il voto di un cittadino di un Paese creditore e quanto quello di un Paese debitore? Le nuove politiche economiche europee basate sulla condizionalità hanno dato luogo a inedite incognite per le nostre democrazie. Non sono solo i problemi della Spagna, sono i problemi di tutti. In un Paese come l’Italia, in cui il processo politico è quanto mai caotico, è necessario affrontarli in modo aperto e trasparente, senza demonizzare la possibilità di una richiesta di aiuti.
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