martedì 6 luglio 2010

Verona: la gestione Tosi delle antichità

Articolo di Gian Antonio Stella pubblicato su Il Corriere della Sera del 6 luglio 2010
Reperti preistorici coperti di muffa. I rischi del federalismo demaniale
Risolto il caso delle mozzarelle blu, un altro giallo dilania gli studiosi: quello delle selci blu. Gli antichissimi reperti preistorici veronesi che, ammassati in un ex deposito militare, hanno misteriosamente cambiato colore. Come mai? Le opinioni sono diverse. Dietro lo scontro, tuttavia, emerge un problema se possibile più grave: la vendita (svendita?) di palazzi storici che erano stati donati alla città per ospitare musei.
Un tradimento dei benefattori deciso per costruire nuove rotatorie. Sarebbe questa la famosa «valorizzazione » del patrimonio pubblico? Il Museo civico di storia naturale di Verona, aperto nel 1861 nella scia di collezioni ancora più antiche, come il museo Calzolari del 1550 o il Moscardo del 1611, è organizzato sul modello viennese in quattro sezioni: Geologia e Paleontologia, Zoologia, Botanica e Preistoria. Sezione che, grazie ai ricchissimi ritrovamenti sui monti Lessini e negli insediamenti di palafitte sul lago di Garda e nella Bassa veronese, è una delle più celebri del pianeta.
Meglio: sarebbe. Se le quattro stanze un tempo dedicate alla preistoria non fossero state ridotte (con l’aggiunta di una aula per la didattica) a una sola di una cinquantina di metri quadrati. Se il sito Internet del museo non fosse stato sostituito da un link nel portale del Comune dove accanto a due fotine non solo non si fa cenno ai tesori esposti (l’incisione del leone e dello stambecco trovati al Riparo Tagliente, le ceramiche e i bronzi delle palafitte del Garda o della necropoli di Franzine Nuove) ma neppure all’esistenza stessa della sezione nella sede centrale di palazzo Pompei ma solo alla direzione e al magazzino ( non aperti al pubblico) all’Arsenale.
Se infine lo spazio ridicolo rispetto all’importanza della raccolta (un esempio: gli studi sul Dna di un neandertaliano trovato a Riparo Mezzena e la scoperta che aveva la pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli rossi sono finiti in copertina su «Science ») non costringesse a tenere nei depositi migliaia di oggetti tra cui tutti quelli trovati negli ultimi 20 anni. Compresi pezzi straordinari quali quelli recuperati dallo scavo subacqueo di Lazise. Come un panino bruciacchiato conservatosi miracolosamente intatto o uno spillone da cerimonia di 50 centimetri.
Un panorama indecoroso. Che insulta la ricchezza del nostro patrimonio e ci espone al sarcasmo di tutti quei musei del mondo che farebbero pazzie per avere una fetta di questa nostra torta lasciata andare a male. Basti ricordare, come fa Laura Longo, conservatore di Preistoria, «che l’anno scorso una collezione raccogliticcia di 6231 pezzi è stata battuta all’asta a Monaco a 107 milioni di euro ». Un panorama che spingerebbe un direttore alle dimissioni se, sottolineano a Verona, il direttore titolare del museo (non un funzionario nominato dal Comunemagari bravissimo ma non specializzato: un vincitore di concorso, come dicono la legge e il buon senso) non mancasse dal 1997. Un dettaglio che la dice lunga.
Il «giallo delle selci blu» si inserisce in questo contesto. E ha il punto di partenza nella decisione presa anni fa dal Comune di indire un concorso internazionale per sistemare il grande e bello ma ammaccato Arsenale militare, così da trasferire il Museo di storia naturale lì. Ma, ahinoi, il progetto messo a punto dal vincitore, l’architetto inglese David Chipperfield, prevedeva una spesa enorme. E si sa quanto le casse comunali si sian fatte di anno in anno sempre più povere.
Come tirar su i soldi per pagare questo e altri progetti? Idea: mettendo in vendita un po’ di palazzi donati nei secoli al municipio. Prima il Castel San Pietro, comprato dalla fondazione Cariverona, poi via via il Palazzo Forti, il palazzo Gobetti, il palazzo Pompei, l’ex convento francescano di San Domenico. Tutta roba di grandissimo valore. Lo dice il sito Internet municipale. Il convento? «Rappresenta una preziosa testimonianza artistica dell’architettura del XVI—XVII secolo». Palazzo Gobetti? «È uno dei palazzi più caratteristici della rinascenza veronese, con armoniosa facciata quattrocentesca, balconi traforati e portale dagli stipiti finemente scolpiti». Insomma, non vecchie caserme o capannoni: gioielli. Tanto che Palazzo Pompei e Palazzo Gobetti sono (erano) sedi del Museo di storia naturale. E Palazzo Forti, dono «all’amata Verona » d’un ricco ebreo morto un anno prima delle leggi razziali, ospita la Galleria d’arte moderna. A proposito: cosa avrebbe detto, sapendo che quella sua donazione «per farci un museo» sarebbe stata stravolta anni dopo da sindaco e assessori? Amen, ha risposto il Comune. Dichiarando di voler ricavare dalla vendita di questi ultimi edifici la bellezza di 115 milioni per ripianare i debiti, avviare il recupero dell’Arsenale, finanziare il Polo finanziario e altre nuove opere.
«Non sarà che poi, dato il valore dei palazzi, non ci si potrà manco piantare un chiodo?» s’interrogavano i possibili compratori. Tranquilli, ha risposto ufficialmente il Comune on line: «Per detti immobili è stato adottato un apposito provvedimento urbanistico che ha assegnato le diverse destinazioni urbanistiche (residenziale, direzionale e commerciale) consentendo la più ampia possibilità di utilizzo». Rileggiamo: «la più ampia ». Più chiaro di così! Al massimo, com’è accaduto per il «Forti» inutilmente difeso da migliaia e migliaia di cittadini, la Cariverona ha dovuto impegnarsi a lasciarci il museo per venti anni. Un periodo che per i tempi lunghi di una grande banca è un battere di ciglia. In compenso, invece di pagare i 65 milioni pretesi dal Comune ne ha pagati 33.
Chi si contenta gode? Sarà... Certo è che anche Palazzo Gobetti, messo in vendita per 10 milioni è stato venduto a 6 e mezzo scarsi. Per non dire del centralissimo palazzetto del Bar Borsa: in vendita per 6 milioni e mezzo, era stato ceduto per 4,8 alla «Valpadana Costruzioni » ma due settimane fa è saltato fuori che di quei soldi, al Comune, non è arrivato un centesimo: nessun versamento, nessun rogito, nessun contatto ulteriore.
Nel frattempo, tutto il materiale preistorico che non potendo essere esposto per mancanza di spazio era in deposito parte a Castel San Pietro e parte da palazzo Gobetti, è stato sgomberato dagli edifici venduti e accatastato in due stanzoni al piano terra e al primo piano dell’Arsenale che magari domani, ristrutturati, saranno stupendi. Ma oggi sono né più né meno che due magazzini semi-diroccati. Cosa sia successo non si sa. C’è chi ipotizza, come Gilberto Artioli del dipartimento di Geoscienze di Padova, che il magazzino al piano terra fosse impregnato di qualche sostanza non ancora ben definita. Chi ritiene occorrono nuove analisi per capirci qualcosa. Chi ancora si avventura nell’immaginare un sabotaggio. Vero? Falso? Si vedrà.
Fatto è che mentre i pezzi al piano superiore, per quanto messi a rischio da umidità e sbalzi di temperatura, si sono conservati decentemente, quelli al piano inferiore hanno subito una sorprendente metamorfosi. Molti sono diventati, come dicevamo, blu. Subendo un danno così grave che per il conservatore Laura Longo, impegnata in una battaglia che le ha tirato addosso le ire del Comune, «in tanti casi non valgono più nulla: massicciata per le strade». Troppo pessimista? C’è da sperarlo. Un punto, tuttavia, pare chiaro: la storia esemplare dei palazzi di Verona, dei clamorosi ribassi d’asta rispetto alle illusioni finanziarie, dello sfasamento tra la vendita (subito) dei musei di oggi in attesa (chissà...) dei nuovi musei domani, è la prova che il federalismo demaniale è come il tritolo: può essere utilissimo, ma va maneggiato con cura. O sarà accompagnato da regole rigidissime (non complicatissime, ma rigidissime sì) o rischiamo che i Comuni, con l’acqua alla gola, ne facciano di tutti i colori.
Per carità, forse non vale la pena di calcare troppo sulla battuta con cui Flavio Tosi, il sindaco leghista, ha sbuffato contro il blocco dei lavori per un parcheggio sotterraneo dovuta alla scoperta di resti archeologici: «Meglio il parcheggio che la conservazione di quattro sassi». Testuale. Fa però effetto leggere un titolo dell’Arena dedicato al tema: «Palazzo Gobetti regala rotatorie a San Michele». Vi si legge che grazie alla vendita del palazzo che ospitava parte del museo di storia naturale, il Comune «ha stanziato 900mila euro per la costruzione di due rotatorie a San Michele » e «un milione e 100mila per il campo sportivo Audace». Opere indispensabili, forse. Però...

Leggi tutto...

mercoledì 30 giugno 2010

Franco Bonfante propone la trasparenza

Dopo la crisi finanziaria internazionale sono in molti a proporre la trasparenza per uscire dalla crisi e per avviare nuovi comportamenti ispirati all'etica nell’economia, nella finanza, nelle istituzioni e nelle organizzazioni.
Negli anni ’70 Albert O. Hirschaman sottolineava che l’opzione voice consentiva ai cittadini di farsi sentire, di rapportarsi alle organizzazioni e di denunciare le inefficienze. Tale opzione per realizzarsi ha bisogno di un sistema di trasparenza totale.
Durante l’iter di approvazione della legge n. 15 del 2009 di riforma delle PA Pietro Ichino propose un emendamento che si ispirava alla trasparenza totale, approvato dalla maggioranza e dalla minoranza.
Si constata che la trasparenza non interessa solo le Pubbliche Amministrazioni ma anche le organizzazioni private ed i settori internazionali dell’economia e della finanza.
In questi ultimi tempi la trasparenza è stata sostenuta dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nella gestione delle banche e dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nella riforma di Wall Street e dei mercati finanziari.
Il consigliere Regionale Franco Bonfante ha proposto un disegno di legge “Disciplina dell’attività di relazione istituzionale” che si propone di rendere trasparenti i rapporti con le istituzioni regionali.
Per saperne di più ho intervistato Franco Bonfante, Vice-Presidente del Consiglio Regionale del Veneto.

Ritiene che la trasparenza possa aiutare il sistema a migliorarsi ed a ristabilire un nuovo rapporto con i cittadini, considerato il distacco tra cittadini, istituzioni e partiti espresso con il partito delle astensioni?
I cittadini e le istituzioni possono realizzare un rapporto proficuo e democratico se viene realizzato il principio della full disclosure già da tempo in vigore in alcuni stati del nord Europa (Svezia e Regno Unito) e negli Stati Uniti d’America. I cittadini devono essere messi nelle condizioni di controllare il funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni e di partecipare alla co-creazione del valore dei servizi pubblici. In assenza della trasparenza si acuisce il distacco dei cittadini dalle Istituzioni e dalle organizzazioni.

Quali sono gli obiettivi della sua proposta di legge regionale e da quali valutazioni scaturisce?
Scopo della legge è quello di regolamentare le lobbies, rendere trasparente la relazione istituzionale, cioè il rapporto tra il lobbista e il rappresentante regionale (Presidente, Assessore, consigliere,dirigente).
Nel Paese e nel periodo delle "Cricche" ottenere l'approvazione di una simile legge non sarebbe cosa da poco.

Può spiegare brevemente i contenuti della proposta di legge?
In sostanza si tratta di prevedere l'obbligo di registrazione per i lobbisti in registri tenuti dal Consiglio e dalla Giunta Regionali, nonché l'obbligo di depositare annualmente una relazione sull'attività svolta.

La trasparenza nei rapporti istituzionali con l’Ente Regione può semplificare l’attività e reprimere sul nascere i rapporti non leciti che appesantiscono la macchina regionale ed inducono molto spesso a commettere errori?
E' evidente che una legge, da sola, non può avere la presunzione di risolvere il problema della corruzione, ci mancherebbe! Però può aiutare ad una maggiore responsabilizzazione di chi ha il potere di decidere e che così si sente democraticamente controllato nella sua azione.
A mio avviso la trasparenza è importantissima, a livello istituzionale ma anche in qualsiasi altro rapporto associativo. Trasparenza vuol dire correttezza, buona fede, possibilità di conoscere e quindi di decidere.

Leggi tutto...

martedì 29 giugno 2010

Pierluigi Malinverni si racconta

Frammenti di storia della consulenza di direzione in Italia
Ho pensato di pubblicare la testimonianza di Pierluigi Malinverni vissuta nella consulenza di direzione perché ha un valore storico ed aiuta a conoscere l’evoluzione della consulenza di direzione in Italia. Questo articolo di Roberta Leone su  Pierluigi Malinverni  risale a dicembre 2002  in occasione della preparazione della tesi di laurea di Roberta  su "Consulenza di direzione e Knowledge Management". 
Curriculum di Pierluigi Malinverni
Laureato in Ingegneria Industriale al Politecnico di Milano (1951), ha iniziato a lavorare presso l’Orga, ma ha poi conseguito una borsa di studio in Ingegneria Gestionale alla Columbia University di New York (1952/53). In quel periodo il gap fra la scuola italiana e quella americana era molto forte, per cui ha potuto apprendere importanti tecniche innovative nell’area del management.
Di ritorno dagli Stati Uniti è stato assistente all’IPSOA di Torino, la prima Business School italiana con professori americani, nel corso di Organizzazione della Produzione (1953-1956).
Ha quindi ripreso l’attività presso l’Orga, in qualità di “figlio d’arte” perché suo padre, il Prof. Remo Malinverni aveva fondato l’Orga nel 1925 ed era stato sostanzialmente il primo consulente italiano.
Nel 1971 partecipò al corso Executive presso la Stanford Business School di Palo Alto (California)
Pierluigi Malinverni è rimasto in Orga fino ad oggi, attraverso le qualifiche di consulente, consulente senior, presidente)
Durante la sua attività di consulente e di formatore ha anche collaborato con istituzioni del settore. È stato fra i fondatori dell’ASSCO, l’associazione fra le società e gli studi di consulenza, di cui è stato anche Presidente.
Ha fondato l’ASSORES, l’associazione delle società di ricerca e selezione del personale, di cui è stato il primo Presidente.
Negli anni 1981-1985 ha fatto parte del Comitato Esecutivo della FEACO, la federazione europea delle società di consulenza e ne è stato Presidente nell’anno 1984/85
Con un collega francese ha fondato il TIG (The International Group Consultancy and Research), cui hanno poi aderito varie società di consulenza europee, giapponesi e americane.
Contributi alla consulenza
Pierluigi Malinverni ha vissuto i diversi periodi e gli sviluppi della consulenza in Italia.
Negli anni ’50 il tema delle imprese era la ricostruzione dopo la guerra, e la consulenza doveva fornire alcuni strumenti di base per contenere i costi di produzione, per migliorare l’efficienza (l’obiettivo principale era “produrre di più”). Si rivelarono molto utili le tecniche di analisi dei tempi e dei metodi, l’analisi dei costi di produzione, le scelte tecnologiche.
A quei tempi il settore amministrativo delle aziende era assai carente: anche grosse imprese avevano una contabilità che lasciava molto a desiderare. Era il tempo in cui una grande azienda aveva presentato in Tribunale (che giustamente lo respinse) il Conto Economico redatto in questo modo:
Utile lordo sulle vendite
- Spese generali
= Utile netto
Pertanto un altro compito della consulenza era di mettere ordine in quel settore, rivedendo le procedure amministrative e creando le basi per un controllo di gestione.
Cominciavano allora a diffondersi i primi passi dell’informatica, sotto forma di impianti a schede perforate, una tecnologia che oggi ci farebbe sorridere per la sua complicazione e per i suoi stretti limiti di applicazione.
Ciononostante Orga, nella persona di Pierluigi Malinverni, fece studi ed esperienze sul campo per arrivare a fornire alle aziende un servizio completo utilizzando quei mezzi, anche se deboli. Si arrivò in taluni casi a realizzare il controllo dei costi, la programmazione della produzione, la gestione dei clienti e dei fornitori, oltre alle elaborazioni comunemente ottenute con quegli impianti.
L’applicazione delle tecniche citate trovava in quei periodi grosse difficoltà dovute alla scarsa scolarità di gran parte delle persone che lavoravano nelle aziende. Il consulente doveva dedicare molte delle sue energie, e della sua pazienza, per spiegare a ciascuno che cosa doveva fare per arrivare ai risultati voluti. Era in pratica un genere di formazione sul campo, basata sui problemi reali dell’azienda, necessaria per poter applicare tecniche avanzate.
Negli anni successivi, i ’60, il mercato iniziò la sua svolta: il problema si era spostato dal volume di produzione a quello di vendita. Oltre ad aprire le porte alle attività di consulenza nel marketing, questo portò anche a maggiori esigenze di dati economici perché certe scelte non potevano più essere prese ad intuito. Nella produzione si manifestò la necessità di una programmazione più efficace e, soprattutto, una più forte flessibilità, per meglio adattarsi alle nuove esigenze di vendita.
Le applicazioni del controllo di gestione si concentrarono soprattutto su grosse aziende, che volevano disporre di dati certi ed analitici per decidere su prodotti e processi. In parallelo si cominciò ad usare il nuovo mezzo di calcolo, ossia l’elaboratore elettronico, una macchina ancora molto complessa e con diverse limitazioni, tuttavia in grado di elaborare molti dati in tempi ridotti e fornire alle direzioni tabulati sufficientemente completi e tempestivi.
Fra i clienti Orga seguiti da Pierluigi Malinverni vi furono in quegli anni la Lancia, la Piaggio, la Bombrini Parodi Delfino, la Ceramica Pozzi, la Carlo Erba, il Corriere della Sera.
Le aziende erano molto maturate, sia in termini di tecniche applicate, sia di formazione del loro personale, ed erano pronte a fare un ulteriore salto di qualità, l’adozione del sistema budgetario.
Orga, nella persona di Remo Malinverni, aveva fatto alcune esperienze di applicazione del budget negli anni trenta, mentre Pierluigi Malinverni aveva appreso in America i fondamentali principi di questa tecnica.
Così, dopo un convegno sul tema del budget (1966), questo sistema cominciò ad essere applicato a varie aziende, prevalentemente di grosse dimensioni. Furono le prime applicazioni in aziende italiane e generalmente portarono ottimi risultati.
Nel corso dei lavori di consulenza Orga aveva spesso dato la sua collaborazione all’azienda cliente per ricercare e selezionare la persona più adatta a gestire le tecniche che Orga stava applicando in quell’azienda.
Il problema della ricerca di personale si era fatto però sempre più vivo nelle aziende: si cominciava a trovare difficoltà nella ricerca della persona giusta. Le stesse aziende erano spesso poco preparate a svolgere tali ricerche, sia per la vaga definizione dei ruoli e dei compiti da assolvere, sia soprattutto per gli aspetti umani del posto di lavoro.
Orga avviò un nucleo di consulenti a questo incarico, la ricerca e selezione di personale per aziende che lo richiedevano, indipendentemente dall’esistenza di un incarico di consulenza per quell’azienda.
Parallelamente si iniziò la collaborazione con un’azienda francese di ricerca del personale, la Plein Emploi di Parigi, con la quale furono svolte selezioni a livello multinazionale e fu creata una joint venture per l’applicazione della psicologia alla ricerca di personale.
In Orga la divisione ricerca e selezione crebbe rapidamente fino a raggiungere le dimensioni della consulenza.
Ma il bisogno di far crescere il personale per disporre di risorse umane più preparate e qualificate diede luogo ad uno sviluppo della formazione, che Orga realizzò utilizzando i suoi consulenti. La scelta si dimostrò molto valida sul piano professionale: infatti la stessa persona, nello svolgere la consulenza deve affrontare problemi pratici e realizzare soluzioni, mentre nello svolgimento della formazione ha modo di mettere ordine alle sue esperienze fino a crearne una teoria.
Pierluigi Malinverni, anche per la lontana esperienza IPSOA, si buttò decisamente in questo campo e divise il suo tempo fra consulenza e formazione. Quest’ultima sia a favore di singole aziende, sia in corsi interaziendali, ossia con la partecipazione di persone provenienti da aziende diverse.
Agli inizi degli anni ’70 Orga sentì la necessità di internazionalizzarsi. Assieme a due colleghi israeliani fu creata Orga Israel, specializzata nella creazione di collaborazioni fra le aziende israeliane e quelle italiane. Questa fu una prima esperienza perché consentì a diversi consulenti Orga di ampliare il proprio panorama, intervenendo in un mercato diverso e con differenti esigenze.
Questo primo test fu portato avanti da Pierluigi Malinverni che, assieme ad un collega francese, fondò il TIG (The International Group Consultancy and Research). Questo gruppo attrasse altre società di consulenza, fino a coprire quasi tutta l’Europa e con collegamenti in Giappone e in America.
L’attività del TIG consisteva di due parti:
- La possibilità di offrire al cliente una consulenza in qualsiasi nazione utilizzando consulenti locali, con perfetta conoscenza del loro mercato, della mentalità degli operatori, del comportamento delle aziende. Analoga offerta valeva per la ricerca del personale.
- La creazione di nuovi strumenti di consulenza e nuove tecniche aziendali, fatta raccogliendo l’esperienza di diverse società operanti in diverse nazioni.
Facevano parte del TIG le seguenti società:
- Roland Berger per la Germania;
- Van der Torn & Buningh per l’Olanda;
- Eurequip /GMV per la Francia;
- Bedaux Espaňola per la Spagna;
- Binder Hamlyn per la Gran Bretagna;
- IKO Norway per la Norvegia;
- IKO Denmark per la Danimarca;
- Mec-Rastor per la Finlandia;
- ICME per la Svizzera.
Fu data consulenza a molti clienti che avevano già basi all’estero e ad altri che intendevano crearne di nuove. La collaborazione fra consulenti di diverse nazioni non creò problemi.
Dal punto di vista tecnico i prodotti creati assieme furono molti e piuttosto importanti. Fra questi ci furono:
- Un metodo per valutare la posizione strategica di un’azienda;
- Un metodo di riduzione delle spese generali;
- Uno standard comune di valutazione delle aziende per fusioni e acquisizioni;
- Uno studio dell’organizzazione della progettazione;
- Ecc.
Il TIG si sciolse perché alcune società del gruppo decisero di diventare esse stesse internazionali, e si era venuta così a creare una situazione di concorrenza fra gli associati.
Negli anni ’70 e ’80 Pierluigi Malinverni si occupò principalmente di scelte strategiche aziendali. Fra i clienti di questo periodo c’è da ricordare Olivetti, presso la quale fu gestito il passaggio da meccanica ad elettronica, operazione molto difficile per la grande trasformazione di strutture e di tecnologie, nonché per l’elevato numero di persone coinvolte.
A fine anni ’80 Pierluigi Malinverni partecipò alla creazione di Orga Nordest, la società del gruppo che opera nel Friuli Venezia Giulia, con forte specializzazione nell’applicazione dei Sistemi Qualità nelle aziende. Fra i clienti da lui seguiti va menzionata l’Area Scientifica di Trieste dove sono stati realizzati il Controllo di Gestione ed il Sistema Qualità.
Opinioni sul futuro
Il mercato della consulenza è molto confuso per la presenza di un eccessivo frazionamento dell’offerta e, soprattutto, di una definizione della consulenza che risulta tutt’altro che chiara. In realtà questo è sempre stato un problema: far capire al vasto mercato di tutte le aziende ed enti che cosa fanno i consulenti.
Infatti, mentre nella maggior parte delle professioni esiste un titolo di studio che abilita le persone a svolgerle e che dà le linee generali della loro attività, questo non avviene per la consulenza. Di fatto, ci sono consulenti laureati in Economia, in Ingegneria, in Giurisprudenza, in Psicologia, diplomati periti o ragionieri, e chi più ne ha più ne metta
Anche nell’attività operativa, i consulenti spaziano in interventi di tipo ben diverso: dall’applicazione di modeste tecniche allo studio di strategie, dalla selezione del personale alla formazione, e così via.
Si era tentata la strada delle associazioni “chiuse” come l’ASSCO, che potevano almeno definire chi poteva essere chiamato consulente, ma il desiderio di potere di alcuni e lo spirito sindacale di altri hanno dato la preferenza ad un’associazione di ampie dimensioni dove quasi tutti sono ben accetti.
Nella situazione attuale e certamente nel prossimo futuro la confusione continua e molti clienti potenziali della consulenza …non sanno che pesci pigliare.
La consulenza, come tutte le spese discrezionali, è sempre soggetta ai cicli economici. Nei periodi di crisi essa è uno dei settori in cui si operano i primi tagli, come la pubblicità, la ricerca, ecc. perciò una ripresa della consulenza è molto collegata alla ripresa più generale dell’economia.
In questo momento molte aziende ed enti hanno chiuso il rubinetto degli investimenti, e, assieme al rinvio dell’acquisto di impianti e di nuove tecnologie, c’è anche il rinvio degli interventi di consulenza.
Per quanto concerne i contenuti della consulenza, si può dire che gli ultimi decenni hanno visto spostare l’attenzione delle aziende dai problemi tecnologici a quelli umani, per cui ai consulenti sono stati chiesti molti più interventi sulle risorse umane e meno sull’applicazione di tecniche. In realtà la società si è evoluta in fatto di scolarità dei collaboratori di un’azienda, per cui molti di loro sono perfettamente in grado di applicare nuove tecniche e di studiare nuove tecnologie. Rimangono però i problemi umani, il clima aziendale, il lavoro di squadra e tutti quegli aspetti che distinguono un’azienda solida ed efficiente da una debole.
Questa evoluzione certamente continuerà in futuro e, per la consulenza, significherà spazi per la gestione delle risorse umane, per la formazione, per la ricerca di personale qualificato.
Un altro settore che può rappresentare un potenziale mercato per la consulenza è l’internazio-nalizzazione al livello della piccola e media azienda. Infatti anche queste piccole unità non possono prescindere dal fenomeno della globalizzazione: se esse non vogliono andare all’estero a cercare nuovi mercati, hanno comunque da fare i conti con le aziende straniere che entrano nel loro mercato tradizionale. Purtroppo il nostro Paese soffre di un punto di debolezza: la scarsissima conoscenza delle lingue; tutti hanno studiato una lingua a scuola, ma quanti sono in grado di utilizzarla come strumento di lavoro?
L’apertura dei mercati dell’Est europeo ha chiaramente mostrato la debolezza delle strutture italiane che hanno perso le migliori occasioni.
In questo campo i consulenti possono essere di grande utilità per le aziende di piccole e medie dimensioni, se però queste si sensibilizzeranno al problema, per cui prevedere lo sviluppo di questa attività è estremamente difficile.

Leggi tutto...

Nino Lo Bianco: Volevo fare il consulente

Mezzo secolo di capitalismo italiano visto da dentro, Il Sole 24 Ore
E’ il titolo del libro di Nino Lo Bianco, il quale racconta ricordi, esperienze e testimonianze del suo lungo impegno professionale nella consulenza di direzione e nelle imprese. Esprime la necessità di ripensare il capitalismo, il quale non è morto, nei suoi valori etici e nelle sue forme più mature e trasparenti. Nel libro esprime giudizi sulla crisi economica e sugli strumenti da adottare per superarla.
Curriculum di Nino Lo Bianco
Laureato in Giurisprudenza, docente e ricercatore presso l’Insead e docente di Finanza e Controllo presso l’Isida fino al 1970.
Partner di Gea e fondatore e amministratore delegato di Telos Management Consultants nel 1974 e dal 1996, epoca della fusione Telos Deloitte Consulting, amministratore delegato di Deloitte Consulting Italia e Membro dell’European Board. Dal 1999 Senior Global Partner, dal 2000 Presidente e AD.
Lo Bianco ha maturato quaranta anni di esperienza nella Consulenza di Direzione ai più alti livelli nell’industria, nei servizi e nella Pubblica Amministrazione in Italia e all’estero.
Consigliere di amministrazione di numerose società industriali e immobiliari, è stato attivo nelle associazioni di categoria (Presidente ASSCO nel 1993 e vice-presidente FITA).
Tra i suoi interventi su gruppi privati e pubblici si segnalano progetti per aziende quali IRI, ENI, FIAT, Telecom Italia, TIM, Iveco, Pirelli, Finmeccanica, RCS, Fondiaria, Ministeri Interni, Difesa, Esteri.
Ex membro del Board della Saint John’s University – Roman Campus e del Bureau dell’advisor dell’Istituto di Innovazione Tecnologica.
Ha lasciato Deloitte Consulting a maggio 2003 per co-fondare Business Integration Partners dove ha assunto la carica di Presidente e Consigliere Delegato dall’Agosto 2003.

Ho pensato di pubblicare una vecchia ed interessante intervista a Nino Lo Bianco a cura di Roberta Leone del 31 dicembre 2004

Ci racconta la sua carriera professionale dalla docenza in Insead e Isida alla fondazione della società Telos Management Consultants? Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a dedicarsi alla consulenza di direzione? Può indicare le competenze e i progetti realizzati da Telos? Negli anni 70 come si configurava il mercato della consulenza di direzione in Italia?
La partecipazione al VI° Master Isida, nel 1961-1962, è stata un’esperienza chiave per me. Il metodo dei casi, l’impianto del corso, importato da Harvard, la novità dell’insegnamento, tipica di una business school di altissima qualità dato il supporto ricevuto in quegli anni dall’EPA (European Productivity Agency) mi fece scoprire un mondo di problematiche, professionalità e cultura assolutamente diverso rispetto alla mia formazione precedente.
Ne sono rimasto affascinato ed è così iniziato un periodo di intensi stimoli professionali. L’offerta di lavoro avanzata dall’Istituto, al termine del corso, mi ha gratificato ed attratto assai più delle proposte di lavoro ricevute da ENI, OLIVETTI, IRFIS.
Nel corso di circa sette anni dedicati alla docenza presso l‘Istituto e come visiting professor in molte organizzazioni europee, (in ciò favorito dal fatto che l’Isida era l’unica Istituzione Italiana membro dell’EAMTC: European Association Management Training Center) ho progressivamente maturato l’interesse all’applicazione pratica e alla sperimentazione concreta dei temi dell’insegnamento di Strategia, Finanza e Controllo approfondite in Italia e all’estero.
Poichè la Sicilia non offriva un tessuto aziendale di dimensione e livello tali da apprezzare contenuti e cultura tanto più avanzati era gioco forza lavorare molto al Nord o all’estero.
La difficoltà di sviluppare per l’Istituto, ero infatti divenuto Vice Direttore dell’Isida con l’incarico di coordinare le ricerche e le consulenze, oltre le difficoltà logistiche che trasporti e telecomunicazioni dell’epoca comportavano, mi hanno spinto progressivamente a progettare il trasferimento a Milano ed il passaggio alla consulenza, allora in fase nascente e con potenziale culturale, economico, imprenditivo molto attrattivi.
Dopo circa tre anni spesi in Gea e l’esperienza conseguita, l’occasione di incontro di altri giovani consulenti nata nel corso del progetto di lancio dell’Isvor Fiat di Marentino, generò l’idea di sviluppare una struttura di riferimento, italiana come la Gea, ma orientata più decisamente verso il settore della grande azienda e della implementazione operativa delle proposte della consulenza scaturenti dalla fase di analisi strategica.
In tal senso Telos si è orientata sin dall’inizio al servizio dei maggiori Gruppi aziendali dell’epoca e ha partecipato al loro sviluppo, a partire dagli anni ’70 di Fiat, IRI, ENI, Finmeccanica, Stet, etc...
Le aree di maggiore efficacia e successo sono state certamente lo sviluppo organizzativo e il change management di tali conglomerati, la riduzione costi e lo sviluppo delle efficienze operative (con lo sviluppo dello Zero Base Budget di matrice Telos) la fabbrica integrata (con lo sviluppo di rilevanti collaborazioni con strutture giapponesi importate direttamente da Telos) l’approntamento di progetti di formazione di relevanti aspetti di cambiamento strategico; ad esempio per Gruppi come Fiat, Montedison, Stet)
Telos ha pertanto coperto l’esigenza dell’epoca di poter contare su un operatore nazionale, capace di accoppiare la cultura del management anglosassone con le difficoltà di comprensione, adattamento, sviluppo in una realtà diversa e lontana come la nostra.
La crescita è stata continua, com successi economici ragguardevoli e l’acquisizione di una dimensione competitiva di qualche interesse. All’inizio degli anni 90 Telos fatturava, infatti, circa 40 miliardi di lire e poteva contare su uno staff di 160-170 consulenti, in larghissima misura senior e dotati di competenze eccellenti.

Perché ha scelto di concludere l’esperienza di Telos per continuare l’impegno in Deloitte Consulting Italia? Che esperienze ha maturato in questa società internazionale?
All’inizio degli anni 90 il tema della globalizzazione e il predominio delle multinazionali, in particolare Usa, creavano uno scenario molto diverso da quello che si è poi sviluppato.
Le tendenze manageriali configuravano come problematiche di maggiore interesse la revisione dei processi gestionali (BPR) l’integrazione delle strutture (Value chain) la radicale modifica dei sistemi IT (da sistemi di area a ERP). Il mercato di applicazione: l’omogeizzazione delle strutture a livello globale.
I champion nazionali trovavano grande difficoltà nel competere e si stava diffondendo la sensazione che il passaggio alla globalizzazione fosse indispensabile per mantenere il successo precedente.
Fummo avvicinati dai rappresentanti mondiali della Deloitte Consulting che volevano rilanciare l’esperienza precedente, di poco successo, sviluppata in Italia. L’offerta di entrare nella “Confederazione” era attraente sotto il profilo culturale ed economicamente vantaggiosa.
Dopo un’approfondita analisi e visite di studio volte alla comprensione dell’offerta sviluppata da Deloitte, in particolare negli Usa e in UK, è sembrato stimolante per tutti, i fondatori e lo staff professionale sviluppare, un “merge” inizialmente parziale, e successivamente di integrazione completa, con il sistema.
E’ stata un’esperienza molto arricchente e di grande interesse professionale.
Dopo il 1999 il sistema intendeva sviluppare un network internazionale molto integrato, con scambio di risorse tra i vari paesi a seconda delle esigenze e delle specializzazioni richieste. Cito l’esempio di un grande progetto innovativo nelle TLC. In Italia tale progetto ha richiesto nel momento del picco oltre 90 consulenti. Gli stranieri da noi coinvolti erano oltre 60, di 12 diverse nazionalità.
Personalmente la carriere interna e la nomina a Senior Global Partner (categoria che ha inizialmente avuto 6 soli nominati, di cui uno solo Europeo) mi ha dato grande soddisfazione e occasione di confronto internazionale e di scambio culturale molto piacevoli.

Quali sono stati gli obiettivi che l’hanno portata a dedicarsi all’associazione ASSCO? Quali sono stati i cambiamenti che ha introdotto o avrebbe voluto introdurre in ASSCO e le prospettive delle associazione di consulenza direzionali?
Sono stato da sempre convinto che la nostra professione, essendo molto giovane, richiedesse un grande impegno, da parte di tutti, per essere “riconosciuta” e incisiva nel contesto economico nazionale. Essere riconosciuti è un prerequisito per incidere nello scenario socio-tecnico del Paese. Solo un’associazione forte e attiva poteva creare questi presupposti.
La scelta di fondo del mandato ha conciso con la confluenza dell’associazione in Confindustria, al fine di avere una rappresentatività e un ruolo più visibili ed efficaci.

L’entrata delle Big Eight nel mercato della consulenza direzionale e la utilizzazione della tecnologia della comunicazione e della informazione da parte delle grandi multinazionali della consulenza che sconvolgimenti ha portato nel settore della consulenza di direzione?
Il fenomeno più appariscente è stato certamente quello dimensionale.
La quantità di capitale disponibile da parte delle grandi Società di Audit e la loro presenza in tutti i Paesi economicamente sviluppati ha prodotto un gigantismo societario impensabile e imprevedibile. La loro vicinanza all’amministrazione delle grandi organizzazioni pubbliche/private e alle esigenze informatiche, ha spostato il focus della nostra attività dalla strategia e dall’organizzazione, all’IT e ai sistemi più in generale portando il baricentro dell’attività sul prodotto e sulla standardizzazione delle applicazioni rispetto al “servizio artigianale” di grande qualità e innovazione offerto dalle società operanti in precedenza con risorse più limitate ma particolarmente selezionate in base alla qualità.
Il mutare dello scenario e una certa stanchezza delle domande dopo il 2000 (saturazione della richiesta di ERP, anno 2000, sboom dell’E-economy) ha creato e sta creando grandi difficoltà e mettendo in discussione il modello creato da tali società nel corso degli anni 90.

Considerati gli effetti dello scandalo Enron (scomparsa di Arthur Andersen in pochi mesi e crisi di fiducia) perché le società di audit collegate alle attività di consulting si ostinano (non tutte) a continuare a gestire le due attività?
Non me lo so spiegare. E’ una scelta antistorica, priva di motivazioni razionali. Probabilmente è difficile vendere o smontare strutture elefantiache, composte da migliaia di addetti e con strutture patrimoniali deboli e situazioni debitorie molto esposte.

A luglio del 2003 nasce Business Integration Partners, la quale si presenta con delle caratteristiche uniche nel mercato della consulenza italiana in quanto si posiziona tra i grandi system integrator (Accenture, Cap Gemini, Deloitte) e le società di business strategy (Boston Consulting Group, Bain & Company, Booz Allen Hamilton). Può spiegare la posizione originale di mercato di BIP, i settori ai quali si rivolge ed i servizi di consulenza che offre?
Ci è sembrato che l’evoluzione del mercato richiedesse nuovamente strutture professionali più flessibili, capaci di cogliere le esigenze locali (tanto delle multinazionali che dei champion nazionali) e di offrire competenze e seniority atte a cogliere le necessità di innovazione e di adeguamento di strategie superate e poco adatte al nuovo clima competitivo.
In particolare puntiamo, come dice il nostro marchio, all’integrazione verticale, trasferendo le esigenze strategiche in risposte organizzative e nella strumentazione IT e non più efficaci; orizzontale trasferendo l’efficacia ipotizzata per un operatore del Settore nella compatibilità degli interessi di vari attori coinvolti nella value chain complessiva.
Operiamo pertanto con uno staff adeguatamente selezionato e preparato (soprattutto mediamente dotato di qualità ed esperienza superiore alla concorrenza) puntando ad offrire collaborazioni efficaci e non solo pretese specializzazioni funzionali (spesso di tipo standard, o informatico, spesso applicando pedissequamente i manuali interni di riferimento).
La dedizione al servizio e il focus sull’efficacia dell’intervento, prevalenti rispetto al profitto e al rispetto del budget della società di consulenza, sono le chiavi del successo annunciato (oltre 20 milioni di euro di fatturato nel 2004, e 14% di EBIT al termine del primo anno di vita della BIP)
Dopo l’acquisizione della leadership di Settore (Energia e Telecoms) puntiamo alla penetrazione in nuove industries in cui le esperienze in precedenza accumulate dello staff interno possano riprodurre lo stesso modello di offerta e di successo.

Che importanza ha la formazione delle business school per chi intende impegnarsi nel settore della consulenza di direzione?
La formazione delle business school ha rappresentato, e tutt’ora rappresenta, una tappa obbligata per chi desidera intraprendere una carriera professionale di lungo periodo nel settore della consulenza direzionale.
Si potrebbe dire che le due attività sono due facce di una sola medaglia, in particolare ove l’attività di consulenza intrapresa sia di tipo organizzativo e strategico.
Se un consulente specialista, in particolare operante nell’IT o nelle operations può crescere in assenza di approfondite conoscenze di general management, chi voglia esprimersi nell’area della consulenza direzionale ha la necessità (quasi la soddisfazione di un pre-requisito) di acquisire una vision strategica e bilanciata dei vari aspetti gestionali.
Il processo di formazione, tipico dei master in Business Administration, risulta la migliore palestra per inquadrare le successive esperienze professionali o l’ambiente più utile per sistematizzare e razionalizzare le esperienze compiute nei primi anni di esercizio della professione.
La peculiarità delle business school, orientate all’insegnamento del cosa e del come intervenire su casi concreti, con metodologie sofisticate e innovative, rende tale esperienza fondamentale nello sviluppo professionale dei futuri manager e ancor più dei futuri consulenti.
L’impegno di studio, il costo, la naturale durata temporale necessari rendono, pertanto, estremamente importante la scelta della business school presso la quale vivere l’esperienza del Master.
Possiamo concludere che il master è divenuto, di fatto, una condizione irrinunciabile per una carriera di successo; ma la scelta del Master e la sua qualità sono gli elementi che determinano l’efficacia e la redditività dell’investimento.

Leggi tutto...

lunedì 28 giugno 2010

Quando io ero piccolo

Il gruppo in Facebook “Quando io ero piccolo” è riuscito nell’intento di pubblicare un libro di racconti. Il gruppo è stato fondato da Alberto Giarrizzo, Onorina Vargiu, Eleonora Cardogna Mencucci e Augusto Montaruli. Il libro comprende i racconti di quando erano piccoli gli iscritti al gruppo.
“Abbiamo cominciato per caso...così, solo per il piacere di raccontarsi... ed eravamo solo un pugno di nostalgici che raccontavano di quando erano piccoli.
Quando il gruppo su FB ha cominciato a crescere al di là di ogni più ottimistica previsione, ha preso forma anche l'idea di pubblicare il libro e destinare i proventi sul conto di "Annulliamo la distanza" a favore dei bambini dell'Eritrea.
Grazie all'impegno di alcuni amici che hanno curato l'organizzazione, preso contatti, pianificato il progetto, come Augusto Montaruli, il sogno si è realizzato.
A volte la virtualità è più tangibile della più pragmatica realtà.
Adesso ci si aspetta uno slancio generosissimo da parte di tutti.
Il libro si acquista online presso ilmiolibro del gruppo Repubblica L'Espresso a questo link: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=456387. Il costo come sapete è di 15 € più le spese di spedizione.
Nel libro sono pubblicati tre miei racconti ma vi assicuro che non avrei mai fatto pubblicità a me stesso (anche perchè non ho mai pensato di pubblicare nulla) ... Utilizzo l'elenco degli amici di FB per veicolare l'informazione su questa iniziativa perchè ritengo che possiate condividere la finalità che ci siamo posta.
"Se un'idea non sembra inizialmente assurda, allora è senza speranza". Albert Einstein
Forza amici...conto su di voi!
Linkate, pubblicate, replicate questo messaggio ... insomma trasformatevi in generosa cassa di risonanza di solidarietà.
Grazie a tutti”
Giuseppe De Santis

Leggi tutto...

venerdì 25 giugno 2010

La Repubblica degli Stagisti

Come non farsi sfruttare, Editori Laterza
L’Italia ormai è una Repubblica fondata sullo stage, spesso utilizzato come espediente per risparmiare sul costo del personale. Ma quali sono le leggi che lo regolamentano? E come si fa a distinguere le occasioni buone dalle fregature? Eleonora Voltolina, direttore del sito Repubblicadeglistagisti.it, raccoglie le voci di tanti giovani che sono passati attraverso questa esperienza, indica le strade per uscirne indenni e lancia proposte per moltiplicare le ‘buone pratiche stagistiche’.
Il libro "La Repubblica degli stagisti Come non farsi sfruttare - editori Laterza, comprende le esperienze dei giovani stagisti, le inchieste condotte a difesa dei giovani in materia di stage ed i consigli utili affinchè i giovani non vengano sfruttati.
Il libro di Eleonora Voltolina verrà presentato a Milano, il giorno 5 luglio 2010 alle ore 18,30, presso la Libreria Popolare di via A. Tadino 18. Intervengono con l’autrice il giuslavorista e senatore Pietro Ichino e Alessandro Rosina, docente di Demografia e autore del libro "Non è un paese per giovani".
 

Leggi tutto...

lunedì 21 giugno 2010

Art. 41 della Costituzione ed i geologi

di Alessandro Cascone
Alcuni giorni fa il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha espresso la volontà di cambiare l’articolo 41 della Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Come ricordato in questi giorni dal costituzionalista Stefano Ceccanti l’art. 41 fu affrontato durante l’Assemblea Costituente in modo da evitare impronte cattocomuniste così come da impostazione voluta dal liberale Francesco Saverio Nitti che l’8 maggio 1947 osservava che: «nella unione attuale fra democristiani e comunisti non si può procedere troppo avanti senza danno… la falce e il martello e la croce e l’aspersorio non possono avere né gli stessi ideali né la stessa azione» e maggiormente delineato da Paolo Emilio Taviani (DC) il giorno dopo: «Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva, secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività» preparando in questo modo, come evidenziato da Meuccio Ruini (socialdemocratico) il terreno per il legislatore successivo tagliando fuori solo il «comunismo puro» e il «liberalismo puro».
Sempre Ceccanti ricorda che la giurisprudenza costituzionale ha proseguito sulla linea di Taviani e Ruini, dando interpretazioni moderate della «utilità sociale», nonché dei programmi e dei controlli del comma successivo, ritenendo illegittima la riduzione dell’iniziativa privata a «residuale » e concependo il ruolo dello stato come agente «per incentivo» anziché per obbligo, come commentava Vittorio Bachelet già nel 1961 annotando la prima sentenza in cui l’art. 41 era stato ampiamente utilizzato, con esiti anti-dirigisti. Una tendenza accentuatasi coi Trattati europei.
E’ interessante, a questo punto, soffermarsi su un passaggio dell’art. 41: “(…) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“.
In pratica, se lo Stato decide di limitare l’attività economica pubblica e privata lo può fare esclusivamente attraverso una norma avente forza e valore di legge con la conseguenza di conferire ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone così la sfera giuridica attraverso quel provvedimento amministrativo chiamato concessione, consentendo a soggetti privati lo svolgimento di determinate attività prima loro precluse oppure riservate a soggetti pubblici.
Attualmente l’art. 41 Cost. viene violentato a danno dei geologi liberi professionisti il cui lavoro non può prescindere dalle indagini e dalle prove, sia in laboratorio sia in sito, alla stregua di un cardiologo che usa un eco cardiografo o di un chimico che usa un laboratorio di analisi. Le indagini e le prove sono parte integrante e sostanziale dell’attività professionale di un geologo.
Nel luglio 2009 entravano in vigore le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), alle quali il lavoro professionale dei geologi si rifà seguendone le direttive: al punto 6.2.2 si dispone che “Le indagini e le prove devono essere eseguite e certificate dai laboratori di cui all’art. 59 del DPR 6.6.2001, n.380. I laboratori su indicati fanno parte dell’elenco depositato presso il Servizio Tecnico Centrale (abbreviato STC) del Ministero delle Infrastrutture”.
L’art. 59 sopra richiamato, rifacendosi inizialmente ad una norma di legge (la L. 1086/71) il cui ambito di applicazione era esclusivamente riferito ai materiali da costruzione, veniva esteso alle “prove geotecniche su terreni e rocce” (cosa ben diversa dai materiali da costruzione) grazie all’art. 8 del DPR 246/93. In pratica un vero e proprio meccanismo di scatole cinesi fatte di combinati disposti.
L’elenco dei laboratori veniva allora composto da quei soggetti gestori (ditte individuali, società o enti pubblici) ai quali “ai sensi dell’art. 8 comma 6 del D.P.R. n. 246 del 21.4.93, il Ministro dei lavori pubblici (oggi Ministero delle Infrastrutture, ndr) ha la facoltà di rilasciare, con apposito decreto, concessioni ad emettere certificazioni ufficiali relative all’esecuzione di prove geotecniche sui terreni e sulle rocce per la determinazione delle caratteristiche geotecniche del sottosuolo” così come disposto nella Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 16 dicembre 1999, n. 349/STC, che ne definiva i criteri tecnici e amministrativi per richiedere la concessione.
In pratica il Ministero attribuiva facoltà nuove al privato come al pubblico allargandone la relativa sfera giuridica con la creazione di un diritto (di certificazione) prima inesistente, richiamandosi ad un Decreto (il DPR 246/93) non avente né forza né valore di legge ma esclusivamente funzione di regolamento. Tale condizione di illegittimità è stata ampiamente chiarita dal TAR Lazio (sentenza del 18 febbraio 2008 n. 1422, passata in giudicato): “La necessità di un’espressa previsione legislativa (norma avente forza e valore di legge, ndr) discende dall’art. 41 della Costituzione il quale pone una riserva di legge in ordine alle limitazioni dell’iniziativa economica privata da parte dei pubblici poteri., così come da sentenza“.
Con la sentenza del TAR, venendo meno il regime concessorio per le indagini e prove geotecniche verrebbe meno anche il relativo obbligo così come disposto nelle NTC al punto 6.2.2. sopra richiamato, essendo stato annullato l’art. 8 del DPR 246/93 con la conseguenza di far aprire, distruggendole, tutte le scatole cinesi dei combinati disposti di cui sopra.
Purtroppo, come spesso capita in Italia, le sentenze vengono disattese e così, ad oggi, nonostante l’annullamento reso esecutivo dal giudice amministrativo nella sentenza di cui sopra, gli uffici tecnici regionali (ex Genio Civile) continuano a chiedere che le prove e le indagini siano eseguite e certificate dagli stessi soggetti gestori titolari delle concessioni citate. E il Ministero delle Infrastrutture continua a concedere concessioni ex novo o a rinnovarne le precedenti (che avevano una durata di tre anni), questa volta in maniera del tutto arbitraria essendo venuto meno il regolamento (Circ. STC/349) che ne stabiliva i criteri. E a livello regionale si è fatto anche di peggio.
Tutta questo vulnus sta di fatto danneggiando la maggioranza dei circa 15.000 geologi italiani liberi professionisti, che, senza alcun supporto imprenditoriale alle spalle, sia per mancanza di fondi sia per le onerose, e spesso proibitive, condizioni richieste dalla certificazione, si trovano a subire una concorrenza sleale dovendo rivolgersi al mondo imprenditoriale dei servizi certificati non potendo adoperarsi in proprio con conseguente aggravio di costi e perdita di concorrenzialità sul mercato.
Il problema non è l’art. 41, ma la sua reale applicazione da parte di coloro deputati a farlo.
Articolo su Facebook

Leggi tutto...

Alberto Alesina e Andrea Ichino replicano a Brunetta

Il Ministro Brunetta ci accusa di non aver riconosciuto i suoi meriti. È vero: lui è una delle voci di questo governo, con il Ministro Gelmini, che a parole hanno proposto una differenziazione delle retribuzioni nel settore pubblico. Ma lui stesso ci ricorda che compito di un ministro è “tradurre le idee in azioni di governo”: ossia fatti non parole.
Sul tema della tanto sbandierata meritocrazia abbiamo sentito molte parole ma visto pochi fatti. Gli spiragli positivi aperti dal D.L 150/2009 (che ben conosciamo!), sono stati chiusi dalla manovra: per tre anni almeno, le retribuzioni sono bloccate per tutti, buoni e cattivi.
Il Ministro Gelmini aveva preso l’impegno di restituire agli insegnanti in forma premiale il 30% dei risparmi conseguiti, ma non si sa ancora se l’impegno sarà mantenuto nonostante sia stato trovato il modo per farlo.
Nell’università ci sono professori che non fanno ricerca e non insegnano, a fianco di precari più meritevoli. Ma il governo non ha il coraggio di prendere provvedimenti e potrebbe benissimo farlo senza alcuna nuova legge. L’unica cosa che ha saputo fare, è stato tagliare nella scuola tutti i precari indiscriminatamente, sia quelli bravi sia quelli incapaci, salvando invece gli insiders con il posto fisso, senza eccezioni e senza meritocrazia.
Stiamo ancora aspettando una riforma che dia autonomia agli atenei nell’offerta formativa e nella gestione delle risorse umane (licenziamenti, retribuzioni e avanzamenti di carriera), a cui faccia seguito un’erogazione differenziata dei fondi sulla base della qualità (e magari la chiusura degli atenei che non meritano). Di nuovo, molti annunci mediatici ma pochi risultati concreti.
Il ministro cita come cosa fatta l’autorità indipendente (Civit) istituita un anno fa per garantire e coordinare la valutazione delle amministrazioni pubbliche. La realtà è che il governo non ha ancora emanato i decreti necessari per il suo funzionamento. Né ha risposto ad un’interpellanza urgente presentata in proposito al Senato da oltre un mese.
Infine, ed era un punto importante del nostro articolo, nulla è stato fatto per tenere conto delle differenze di costo della vita nel paese. Ministro Brunetta, siamo pronti a riconoscerle i suoi meriti, e avremmo dovuto scriverlo. Ma vorremmo vedere piu fatti e meno parole dal governo in tema di meritocrazia nell’amministrazione pubblica.
Articoli

Leggi tutto...

PA e libertà d’impresa

Dichiarazioni di Pierluigi Bersani, Federico Testa e Irene Tinagli
Continua l’impegno di Tremonti a favore della libertà d’impresa attraverso la modifica della Costituzione. Infatti, il Governo ha iniziato ad esaminare la bozza del Ddl che integra gli articoli 41 e 118 della Costituzione.
L’art. 41 della Costituzione verrà integrato dalla responsabilità personale in materia di attività economica non finanziaria e dai controlli ex post.
All’art 118 della Carta verrà aggiunto: “lo Stato, Regioni ed Enti locali riconoscono l’Istituto della segnalazione di inizio attività e quello delle auto certificazioni”.
L’obiettivo di semplificare e di eliminare lacci e zavorre per rendere veloce l’attività delle PA e delle imprese è lodevole e condivisibile. Gli strumenti adoperati fanno discutere per i tempi e le modalità.
Occorre ricordare che la riforma delle PA è stata bloccata dalla manovra economica del Governo, prima che iniziasse ad esprimere i suoi effetti, con l’introduzione del congelamento delle retribuzioni e del salario incentivante nel pubblico impiego e di quella parte della riforma che prevedeva l’introduzione della trasparenza, valutazione e competenze.
Qui il resto del post Il Governo assume comportamenti contradditori perché da una parte accelera le modifiche costituzionali per ampliare di spazi di libertà all’impresa e dall’altra congela l’unica riforma approvata bloccando il processo di cambiamento nelle PA che avrebbe consentito migliori servizi ai cittadini ed alle imprese.
Il sistema Italia per essere competitivo richiede alle PA velocità e qualità nell’offerta dei servizi, maggiore produttività e diminuzione dei costi della burocrazia. Tali fattori pesano enormemente sulla posizione competitiva delle imprese.
Sull’argomento sono intervenuti esponenti autorevoli ta i quali Valerio Onida, Pietro Ichino e Augusto Barbera sottolineando che l’art 41 non ha mai limitato la libertà d’impresa e non esiste un caso in cui la Corte Costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme liberalizzatrici dell’attività econonomica.
“E’ interessante, dichiara Irene Tinagli, andare a guardare le classifiche internazionali sulla competitività e scoprire che i Paesi più competitivi del mondo hanno alle spalle Costituzioni, modelli di Stato e di Governo completamente diversi l’uno dall’altro”. “La competitività, afferma Irene Tinagli, è legata ad altro” … ad una molteplicità di fattori tra cui: “un sistema di ricerca e dell’istruzione moderno e competitivo, una PA funzionale e trasparente, ed un sistema fiscale e redistributivo efficiente ed equo, che supporti il lavoro e gli investimenti”.
"Indubbiamente, nel nostro Paese, dichiara Federico Testa – parlamentare PD, troppo spesso abbiamo registrato ostacoli al fluido organizzarsi e crescere dell'attività economica: in questo, la burocrazia ha dato il peggio di sé. Ma proprio per questo motivo non serve "parlare d'altro", mettere in mezzo la costituzione. Ci sono una serie di cose operative che possono essere fatte, aumentando l'autocertificazione e snellendo le procedure, che possono diventare realtà in pochi giorni. Ma forse il Governo preferisce parlare d'altro, per far dimenticare una manovra ingiusta e sbagliata"
"Per semplificare il governo ha scelto la strada più lunga, più inutile, più improbabile". Inutile per Bersani l'intenzione di modificare la Costituzione: "L'articolo 41 non ha mai impedito la libertà di impresa o la semplificazione. E' possibile intervenire già domattina su questi settori". Bersani ricorda quindi che il Pd ha presentato sei emendamenti alla manovra in cui ci sono liberalizzazioni in settori come la benzina, i farmaci o gli ordini professionali. "Se si vogliono fare i fatti - ha proseguito - si possono fare; se si vogliono fare chiacchiere se le faranno da soli".
Se effettivamente il Governo crede nella libertà di impresa e nella eliminazione della burocrazia che la ostacola può intervenire usando lo strumento della legge ordinaria, il quale è più agevole e meno complicato della modifica costituzionale. Inoltre, dovrebbe modificare la manovra economica nella parte in cui vengono bloccati le retribuzioni dei lavoratori pubblici. In questo ultimo settore si può risparmiare eliminando dal 2010 gli sprechi ed il salario accessorio per gli enti o organi della PA che sono sprovvisti di un piano di performance o che non raggiungono gli obiettivi programmati.
Il principio di Tremonti è che “tutto è libero, tranne ciò che è vietato”. Peccato che questo principio non sia applicato ai dati ed alle informazioni in possesso delle PA che rappresentano una ricchezza nell’offerta dei servizi e nel conseguimento degli obiettivi programmati. L’integrazione e la condivisione delle informazioni presenti nelle PA e la conseguente elaborazione analitica consente al sistema di operare in modo efficiente ed efficace, di eliminare le certificazioni e le dichiarazioni di autocertificazione che dovrebbero essere vietate nel caso in cui i dati e le informazioni siano in possesso delle PA e di combattere alcuni fenomeni tra cui la lotta all’evasione. Pertanto, dovrebbe valere il principio che “i dati e le informazioni in possesso delle PA sono condivisibili dal sistema, tranne i casi in cui la legge lo vieti”. Questa regola farebbe risparmiare spese, tempo e renderebbe i processi di produzione del servizio veloci e snelli. Al contrario si assiste giornalmente che un ente pubblico o un organo della PA richiede certificazioni o autocertificazioni che sono già in possesso del sistema rendendo farraginoso, burocratico e lento il rapporto tra le PA e gli utenti (cittadini e imprese). Si registrano i casi più frequenti in cui l’Inps eroga la pensione al delegato di un pensionato defunto e che l’Asl corrisponda il compenso al medico di base per un assistito defunto in quanto non esiste una condivisione di informazioni in tempo reale tra i comuni, l’istituto previdenziale e le Asl.
L’integrazione e la condivisione delle informazioni deve essere accompagnata dall’ampliamento e dalla trasparenza della base informativa. Per esempio la lotta all’evasione fiscale può essere condotta attraverso la trasparenza di tutti i redditi e non solo di quelli derivanti da lavoro dipendente, la lotta alla mafia può essere realizzata in modo efficace attraverso il controllo dei redditi e la costituzione di un data base che comprenda le opere pubbliche e le imprese aggiudicatarie degli appalti.
Tante cose possono essere fatte senza scomodare la Costituzione, la quale non si frappone alla realizzazione di un sistema pubblico integrato e trasparente. Oggi le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono di studiare i fenomeni e di intervenire in modo efficace, risparmiando sui costi.

Leggi tutto...