E’ il titolo dell’ultimo libro di Pietro Ichino, Mondadori.
«Giù le mani dall'articolo 18!» si gridava, nelle piazze e non solo. Poi, quando si
è capito che quella norma poteva essere davvero mandata in soffitta, la
tensione è arrivata al calor bianco. Eppure tutti sanno che il sistema di
protezione di cui l'articolo 18 è la chiave di volta, quello che oggi chiamiamo
job property, è nato mezzo secolo fa, nel lontano 1970: da allora tutto, o
quasi, è cambiato. Cinquant'anni fa non c'erano ancora i computer, non esisteva
Internet, ma neppure fax e fotocopiatrici. Esisteva, invece, il «posto fisso»:
si entrava in azienda a 16 anni per rimanerci fino alla pensione, fabbricando
sempre gli stessi oggetti, con gli stessi strumenti. In una società dove erano
ancora gli aiuti di Stato ad assicurare la continuità delle grandi strutture
produttive, non era neppure pensabile che aziende come Olivetti, Fiat o
Alitalia potessero ricorrere a un licenziamento collettivo o tanto meno
chiudere. Mentre era pensabile che il «risarcimento» per la perdita del posto
in aziende come quelle consistesse in anni e anni di Cassa integrazione, fino a
un prepensionamento a 57 o 58 anni. Ma nel frattempo l'articolo 18 generava un
regime di apartheid tra i garantiti e i precari, cui la grande crisi ha
aggiunto gli esclusi.
In questo libro scritto con il rigore dello studioso ma con la penna agile del giornalista, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore della Repubblica, racconta perché e come nel nostro ordinamento è stato introdotto l'articolo 18, spiega il meccanismo giudiziale che ha fatto di questa norma la fonte della job property, traccia la storia politica della riforma che va sotto il nome di Jobs Act, ne ripercorre il tormentato iter legislativo fino al varo della legge-delega del dicembre 2014 e all'entrata in vigore nel marzo 2015 dei primi due decreti attuativi, uno sul contratto a tutele crescenti e l'altro sul nuovo trattamento universale di disoccupazione e sul contratto di ricollocazione, mirati a proteggere il lavoratore nel mercato anziché dal mercato.
Attraverso una galleria di esempi reali, spiega come la soluzione di compromesso tentata con la legge Fornero è stata svuotata del suo contenuto per il modo in cui è stata applicata, ma soprattutto ci racconta la «storia segreta» del Jobs Act, il braccio di ferro sui contenuti dei primi decreti attuativi e sulla disciplina del contratto a tutele crescenti: che cosa è accaduto fin qui e che cosa deve ancora accadere.
Affinché il lavoro sognato, perduto, rivendicato sia, prima di tutto, un lavoro ritrovato.
In questo libro scritto con il rigore dello studioso ma con la penna agile del giornalista, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore della Repubblica, racconta perché e come nel nostro ordinamento è stato introdotto l'articolo 18, spiega il meccanismo giudiziale che ha fatto di questa norma la fonte della job property, traccia la storia politica della riforma che va sotto il nome di Jobs Act, ne ripercorre il tormentato iter legislativo fino al varo della legge-delega del dicembre 2014 e all'entrata in vigore nel marzo 2015 dei primi due decreti attuativi, uno sul contratto a tutele crescenti e l'altro sul nuovo trattamento universale di disoccupazione e sul contratto di ricollocazione, mirati a proteggere il lavoratore nel mercato anziché dal mercato.
Attraverso una galleria di esempi reali, spiega come la soluzione di compromesso tentata con la legge Fornero è stata svuotata del suo contenuto per il modo in cui è stata applicata, ma soprattutto ci racconta la «storia segreta» del Jobs Act, il braccio di ferro sui contenuti dei primi decreti attuativi e sulla disciplina del contratto a tutele crescenti: che cosa è accaduto fin qui e che cosa deve ancora accadere.
Affinché il lavoro sognato, perduto, rivendicato sia, prima di tutto, un lavoro ritrovato.
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