I più scettici in questi giorni le fanno tutti più o meno la stessa domanda: «Perché dovresti riuscire tu dove altri hanno fallito?». Perché proprio lei, giovane ministra al suo esordio al governo, dovrebbe riuscire a rivoluzionare la Pubblica amministrazione, carriere, posizioni, permessi sindacali? Marianna Madia risponde con la tranquilla determinazione di sempre: «Perché sono maturi i tempi, come ha dimostrato ampiamente il voto delle europee, e perché c’è un premier che mi dà un forte commitment politico e mi dice di andare avanti, non di mediare».
Nessuna mediazione?
L’Unadis, il sindacato della P.A., ha definito la sua riforma uno “spoils
system becero”. Un giudizio pesante a cui lei come risponde?
«Sarà il Parlamento a dire l’ultima. Ma deve essere chiara una cosa: sì ai miglioramenti, nessuno spazio per difendere rendite di posizioni. Quanto al sindacato, la loro mi sembra una critica ingenerosa intanto perché non c’è una norma contro i lavoratori. Il faro che mi ha guidato in questa riforma e nelle nuove regole sulle persone è quello di non avere esuberi e quindi, anche quanto parliamo di mobilità obbligatoria all’interno di cinquanta chilometri di distanza, per far sì che nella riorganizzazione le persone stiano al posto giusto per far funzionare la macchina, lo facciamo proprio per evitare tagli del personale».
Altro allarme: il capitolo demansionamento.
«Noi ne parliamo soltanto in alternativa alla messa in mobilità. Ogni iniziativa punta a rendere più efficiente la macchina amministrativa e quindi a colmare le lacune laddove ce n’è più bisogno evitando così i arrivare agli esuberi».
Non crede che in un Paese come il nostro la valutazione sui dirigenti, lo spoils system come lo chiamano i sindacati, sia un rischio reale?
«Abbiamo fatto in modo di evitare ogni forma di valutazione che non sia super partes. Sarà una commissione che non avrà nulla a che vedere con la politica e con i sindacati, penso a quella istituita da Saccomanni per le nomine del Mef, a valutare una rosa di nomi per ricoprire i ruoli apicali di cui ci sarà bisogno. Fino ad oggi nella Pubblica amministrazione ogni ministero ha pensato ai dirigenti come se fossero proprietà privata. D’ora in avanti non sarà più così, ci sarà un concorso unico per dirigenti che saranno a disposizione di tutta la P.A e poi sarà la Commissione a stabilire chi andrà dove. Ci sarà un vero e proprio “mercato” della dirigenza, si creerà di nuovo competizione, si potranno avere incarichi di grande responsabilità ma se non ci saranno risultati all’altezza delle aspettative, la volta successiva potrà capitare di avere un ruolo meno importante».
Perché ha dimezzato i permessi sindacali retribuiti?
«Perché oggi i cittadini chiedono a ogni corpo intermedio finanziato con le risorse pubbliche di fare un passo indietro. Dimezzare i permessi sindacali non è una misura punitiva, è la risposta a ciò che ci chiedono e mi creda nelle oltre 40mila mail che ho ricevuto in molti mi hanno indicato questo come un intervento necessario».
Quanto hanno influito le mail sulle decisioni?
«Molto. Le ho lette con grande attenzione insieme al Dipartimento Funzione pubblica, e ne ho fatto tesoro o per migliorare alcuni punti, come è avvenuto sui criteri per la dirigenza, o per toglierli proprio, e penso all’esonero dal servizio, che volevo introdurre per cercare di liberare nuovi posti, dando il 65% della retribuzione a chi andava via un po’ prima della pensione. C’è stata una vera e propria sollevazione dei dipendenti che ci dicevano che in questo modo avremmo pagato delle persone per farle stare a casa. L’ho trovata un’obiezione giusta e ho agito di conseguenza».
«Le dico subito che numeri certi non ce ne sono e a me non piace dire bugie. Le varie misure possono avere delle platee potenziali. Faccio qualche esempio: nel decreto c’è una norma che prevede che le singole amministrazioni possono decidere di mandare in pensione chi ha raggiunto il massimo della contribuzione. Si tratta di una platea di circa 20mila persone l’anno per tre anni, ma da un lato bisogna sottrarre coloro che comunque lo farebbero e dall’altro verificare quante amministrazioni attueranno questa norma. Sarà la differenza tra questi due dati a dirci quanti posti di lavoro si creeranno davvero. A questo si aggiungono una stima di circa 15mila posti che si libereranno con l’abrogazione della norma sul trattenimento in servizio e quelli che si arriveranno con il divieto di lavorare nella pubblica amministrazione per chi è in pensione. Poi, altri posti potrebbero derivare dal fatto che abbiamo bloccato l’assunzione di nuovi dirigenti a favore di ingressi di qualifiche più basse. Sarà la somma di tutte queste norme a determinare il risultato finale, cioè lavoro per i giovani».
Nella vita pratica dei cittadini cosa cambierà dopo la sua rivoluzione?
«L’obiettivo è quello di rendere la vita migliore a cittadini e imprese. Avremo servizi offerti in modo digitale. Entro il 2015 i cittadini avranno un pin unico per accedere a tutti i servizi delle p.a., dal 30 giugno parte il processo civile telematico e dal 2015 quello amministrativo telematico. Il 6 giugno è entrata in vigore la fatturazione elettronica che migliora l’efficienza dei servizi e evita fenomeni corruttivi. Inoltre le Regioni entro il 30 giugno dovranno presentare il piano per il fascicolo sanitario elettronico. E concludo, ma l’elenco è lungo, con una norma che semplificherà moltissimo la vita per i malati cronici e i disabili che non saranno più costretti a dover continuamente certificare il loro stato dal medico della Asl per accedere ai servizi di cui hanno diritto».
«Noi ne parliamo soltanto in alternativa alla messa in mobilità. Ogni iniziativa punta a rendere più efficiente la macchina amministrativa e quindi a colmare le lacune laddove ce n’è più bisogno evitando così i arrivare agli esuberi».
Non crede che in un Paese come il nostro la valutazione sui dirigenti, lo spoils system come lo chiamano i sindacati, sia un rischio reale?
«Abbiamo fatto in modo di evitare ogni forma di valutazione che non sia super partes. Sarà una commissione che non avrà nulla a che vedere con la politica e con i sindacati, penso a quella istituita da Saccomanni per le nomine del Mef, a valutare una rosa di nomi per ricoprire i ruoli apicali di cui ci sarà bisogno. Fino ad oggi nella Pubblica amministrazione ogni ministero ha pensato ai dirigenti come se fossero proprietà privata. D’ora in avanti non sarà più così, ci sarà un concorso unico per dirigenti che saranno a disposizione di tutta la P.A e poi sarà la Commissione a stabilire chi andrà dove. Ci sarà un vero e proprio “mercato” della dirigenza, si creerà di nuovo competizione, si potranno avere incarichi di grande responsabilità ma se non ci saranno risultati all’altezza delle aspettative, la volta successiva potrà capitare di avere un ruolo meno importante».
Perché ha dimezzato i permessi sindacali retribuiti?
«Perché oggi i cittadini chiedono a ogni corpo intermedio finanziato con le risorse pubbliche di fare un passo indietro. Dimezzare i permessi sindacali non è una misura punitiva, è la risposta a ciò che ci chiedono e mi creda nelle oltre 40mila mail che ho ricevuto in molti mi hanno indicato questo come un intervento necessario».
Quanto hanno influito le mail sulle decisioni?
«Molto. Le ho lette con grande attenzione insieme al Dipartimento Funzione pubblica, e ne ho fatto tesoro o per migliorare alcuni punti, come è avvenuto sui criteri per la dirigenza, o per toglierli proprio, e penso all’esonero dal servizio, che volevo introdurre per cercare di liberare nuovi posti, dando il 65% della retribuzione a chi andava via un po’ prima della pensione. C’è stata una vera e propria sollevazione dei dipendenti che ci dicevano che in questo modo avremmo pagato delle persone per farle stare a casa. L’ho trovata un’obiezione giusta e ho agito di conseguenza».
«Le dico subito che numeri certi non ce ne sono e a me non piace dire bugie. Le varie misure possono avere delle platee potenziali. Faccio qualche esempio: nel decreto c’è una norma che prevede che le singole amministrazioni possono decidere di mandare in pensione chi ha raggiunto il massimo della contribuzione. Si tratta di una platea di circa 20mila persone l’anno per tre anni, ma da un lato bisogna sottrarre coloro che comunque lo farebbero e dall’altro verificare quante amministrazioni attueranno questa norma. Sarà la differenza tra questi due dati a dirci quanti posti di lavoro si creeranno davvero. A questo si aggiungono una stima di circa 15mila posti che si libereranno con l’abrogazione della norma sul trattenimento in servizio e quelli che si arriveranno con il divieto di lavorare nella pubblica amministrazione per chi è in pensione. Poi, altri posti potrebbero derivare dal fatto che abbiamo bloccato l’assunzione di nuovi dirigenti a favore di ingressi di qualifiche più basse. Sarà la somma di tutte queste norme a determinare il risultato finale, cioè lavoro per i giovani».
Nella vita pratica dei cittadini cosa cambierà dopo la sua rivoluzione?
«L’obiettivo è quello di rendere la vita migliore a cittadini e imprese. Avremo servizi offerti in modo digitale. Entro il 2015 i cittadini avranno un pin unico per accedere a tutti i servizi delle p.a., dal 30 giugno parte il processo civile telematico e dal 2015 quello amministrativo telematico. Il 6 giugno è entrata in vigore la fatturazione elettronica che migliora l’efficienza dei servizi e evita fenomeni corruttivi. Inoltre le Regioni entro il 30 giugno dovranno presentare il piano per il fascicolo sanitario elettronico. E concludo, ma l’elenco è lungo, con una norma che semplificherà moltissimo la vita per i malati cronici e i disabili che non saranno più costretti a dover continuamente certificare il loro stato dal medico della Asl per accedere ai servizi di cui hanno diritto».
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